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La resistenza (intelligente) dei bancari

La resistenza 
(intelligente) 
dei bancari

Con il rinnovo del contratto nazionale del credito si tutelano, per la prima volta, non solo i dipendenti degli istituti, ma anche i clienti. Perché contrasta la vendita di prodotti a rischio e protegge il risparmio, come racconta Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi.


Il contratto nazionale di lavoro dei bancari è un successo per la categoria: abbiamo ottenuto 190 euro di aumento su 200 euro richiesti, norme migliori per la qualità della vita di lavoratrici e lavoratori, la cabina di regia su nuove tecnologie, eliminato il salario d’ingresso dei giovani che era penalizzato del 10 per cento» dice Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (primo sindacato dei bancari), contratto alla mano. «E c’è una stretta sulle pressioni commerciali, che dà a questo rinnovo un’importante valenza sociale perché per la prima volta tuteliamo i clienti. Ora dovremo affrontare i prossimi piani industriali di Unicredit, Ubi e poi Banco Bpm».

Come vi comporterete quando i banchieri proporranno nuovi tagli all’occupazione?

Il tema occupazionale è centrale, non faremo sconti a nessuno. A un determinato numero di prepensionamenti e pensionamenti volontari dovranno corrispondere migliaia di assunzioni, altrimenti le banche non avranno la nostra firma di adesione. E, senza il nostro via libera, i gruppi bancari diventeranno ingestibili. È vergognoso che si continui ad abbattere il costo del lavoro, facendo solo tagli sul personale, senza concentrarsi sui ricavi, che devono crescere, e solo per le ambizioni personali di amministratori delegati come Jean Pierre Mustier che vuole alleggerirsi in Italia per creare poi le condizioni di una grande fusione europea. Unicredit parla francese, ma non può permettersi di abbandonare le economie dei territori nazionali.

Chi si sta avvantaggiando dalla chiusura degli sportelli bancari?

Poste Italiane, che non avendo piena licenza bancaria, comprano e vendono carte di credito e mutui di istituti di credito italiani ed esteri. Le banche chiudono migliaia di sportelli, ma continuano a vendere i loro prodotti nella rete postale. Più contraddizione di questa…

Il contratto è importante anche per i negoziati sui piani industriali?

Sì, per tre motivi: perché finalmente tutela il risparmio. Sono previste due fasi, una aziendale e una nazionale, per verificare eventuali pressioni commerciali e per contrastare la vendita di prodotti a rischio. Il valore strategico di questo rinnovo contrattuale, dunque, non assume un’importanza politica soltanto per il nostro settore, ma protegge anche la clientela. Gli altri due obiettivi centrati sono il rafforzamento dell’area contrattuale per gestire al meglio le esternalizzazioni e la strategica cabina di regia, aziendale e nazionale, per la condivisione di nuove figure professionali, di nuove attività e nuovi mestieri. Inoltre, la riconversione professionale diventerà il tema più attuale dei prossimi piani industriali. Con questi strumenti dovremo sconfiggere la richiesta di esuberi. Insomma, un patto per l’occupazione da condividere con tutte le organizzazioni sindacali.

L’emergenza clima, come emerso al summit di Davos, è ormai centrale per le banche. È una strada corretta?

Sì. Intesa Sanpaolo, guidata da Carlo Messina, è all’avanguardia e ha deciso di finanziare, con 50 miliardi di euro, un grande piano di sostenibilità ambientale. È una scelta lungimirante e un modello da seguire: dimostra che l’Italia può tornare a investire e a scommettere sul futuro, anche in sostituzione di una parte della politica, troppo ingessata da vecchi modelli di relazioni e poco attenta nel programmare il futuro del Paese. È una strada che potrà garantire anche nuova occupazione nel settore bancario. Sono da ricordare tutte le iniziative sociali delle banche, come i social bond emessi dal gruppo Ubi guidato da Victor Massiah, destinati a opere altamente benefiche.

Finora è stato decisiva la Bce, ma Mario Draghi non è più presidente dell’Eurotower: cambierà qualcosa?

L’azione e la determinazione del presidente Draghi sono state decisive per la tenuta dell’area euro e per l’Italia. Al suo posto, nel board Bce, adesso c’è Fabio Panetta, e l’ex direttore generale di Banca d’Italia ha capacità e professionalità per lavorare bene a Francoforte, dopo aver ben operato a Roma. Nutro profonda stima per lui: sarà un affidabile punto di riferimento per il settore bancario italiano.

Entro il 2021, lo Stato dovrà cedere il 68 per cento di Monte dei Paschi di Siena: è possibile un’operazione con Ubi e Banco Bpm?

Nella mente di alcune società internazionali di consulenza e nelle ambizioni di questo governo esiste anche questa possibilità. Dovrà confrontarsi con elementi di difficoltà come l’età anagrafica degli attuali amministratori delegati, le loro ambizioni, le norme Antitrust e una improbabile volontà di cambiamento, virtuale e dichiarata solo a parole. Nel 2021 qualcosa accadrà anche perché il capo della vigilanza della Bce, Andrea Enria, ha una politica meno aggressiva del suo predecessore, Danielle Nouy, ma dovrà arrivare a dama. Le criticità oggi del settore sono in taluni casi rappresentate dalla governance e dalla redditività delle banche.

Il ruolo del sindacato sta mutando, è al passo col cambiamento del settore bancario?

Godiamo di ottima salute, come dimostra il continuo aumento degli iscritti. Stiamo valutando alcuni importanti progetti. Il nostro obiettivo, come Fabi, è migliorare il paradigma dell’attività sindacale. Non più sola rappresentanza, contrattazione e tutela, ma supporto costante ai nostri iscritti e a tutti i lavoratori nel percorso professionale e nella crescita, anche con una formazione innovativa dei bancari. Non lo fanno le banche, lo faremo noi. Nel futuro prossimo bisogna mettere al centro le competenze e il capitale umano. Perché le moderne professionalità bancarie sono come le azioni di Enrico Cuccia: non si contano, ma si pesano. Vogliamo fare un salto di qualità e realizzare un sistema che da un lato formi e dia maggiore consapevolezza ai dipendenti con un database informativo, dall’altro misuri, con una sorta di rating, il valore complessivo delle competenze all’interno dei gruppi. Sarà una rivoluzione perché poi sarà la nostra organizzazione a giudicare la qualità del capitale umano delle banche e quanto realmente le stesse investono in professionalità. L’intero settore ne trarrà vantaggi e noi saremo i primi in Europa a gestire il cambiamento.

La crisi del settore bancario ai raggi X

Il settore bancario è in crisi da tempo in tutta Europa e l’Italia non fa eccezione. Nel Vecchio continente dal 2012 sono stati persi 470.000 posti di lavoro, il 70% dei quali con licenziamenti.

In Italia, entro il 2020, dovremo dire addio a 29.693 esuberi, 16.434 di questi già completati e 13.269 da realizzare entro la fine dell’anno. La buona notizia è che, a partire dal 2012, attraverso il fondo per l’occupazione sono stati assunti 22.550 giovani con meno di 35 anni.

Solo nel 2019, nel dettaglio, sono stati assunti 1.750 “ragazzi”, quasi 150 al mese (6.657 nel 2012, 2.164 nel 2013, 2.126 nel 2014, 2.969 nel 2015, 2.585 nel 2016, 2.511 nel 2017, 1.538 nel 2018).

Circa il 57% delle assunzioni complessive ha riguardato personale femminile e il 43% il personale maschile. I nuovi ingressi hanno bilanciato in parte gli esuberi del settore già completati, tutti gestiti solo con pensionamenti e prepensionamenti volontari.

Secondo i dati forniti dalla Fabi, il maggiore sindacato italiano dei bancari, che ha preso in esame i primi gruppi bancari in Italia, a farla da padrone in fatto di esuberi ci sono Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Il gruppo guidato da Carlo Messina ha al momento 4.850 lavoratori in uscita e 5.700 che hanno già lasciato la banca.

Unicredit al momento ha 1200 lavoratori in uscita e 2.250 già usciti. A questi, però, si devono aggiungere i dati previsti dal piano industriale Team 23 con 8.000 esuberi dichiarati.

In terza posizione per esuberi troviamo il Monte dei Paschi. La banca senese ha tagliato 4.500 posti di lavoro, 2.250 in uscita e altrettanti già usciti.

Non va meglio a Banco Bpm. Secondo i dati Fabi, il gruppo guidato da Giuseppe Castagna, stando all’ultimo piano industriale, ha tagliato 2.600 posti di lavoro.

Segue in classifica Bper con 2.333 esuberi, 1.044 già usciti (come da piano industriale) e 1.289 che lasceranno l’azienda entro la fine del 2020.

Anche il gruppo Ubi ha avuto bisogno di tagli al personale. In questo caso i posti di lavoro tagliati sono in totale 2006: 1089 di questi hanno già lasciato il gruppo guidato da Victor Massiah e altri 917 se ne andranno entro fine anno.

Hanno avuto bisogno di limare il personale anche gruppi come Bnl (1571 uscite divise in 171 professionisti già fuori e 1250 entro fine anno) e Carige: in questo caso tutti i tagli devono ancora essere attuati. Si prevedono 1250 tagli entro la fine del 2020.

A fine anno, insomma, il sistema bancario italiano avrà detto addio a quasi 30.000 professionisti. Il lavoro dei sindacati per arginare l’emorragia è di certo importante, ma le esigenze della rivoluzione digitale devono essere capite in primis dai vertici dei grandi gruppi bancari.

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