A pochi giorni dalla Brexit che sancisce l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, pubblichiamo un articolo che Panorama aveva scritto nell’ottobre del 1962 nel primo storico numero andato in edicola (Panorama al tempo era un mensile). Lo scenario era completamente diverso da quello attuale. Il Regno Unito si accingeva ad entrare in Europa: nel 1961 aveva ufficialmente chiesto l’ingresso nel Mercato comune europeo.

È da nove secoli ormai, da quando Guglielmo il Conquistatore vinse la battaglia di Hastings, che la Manica viene considerata una difesa tra la Gran Bretagna e i nemici, tra «una terra benedetta» e «l’invidia altrui». Oggi che gli aviogetti oltrepassano il canale in tre minuti (tre secondi impiegherebbero i missili nucleari) l’equilibrio si e spostato. L’invidia non è piu dalla parte del Continente. I turisti inglesi che a primavera invadono l’Europa a migliaia, raccontano, tornando a casa, cio che vi hanno visto, e la descrizione della dolce vita continentale colpisce i compatrioti direttamente al cuore.
Se la Manica non rappresenta più una barriera non per questo e solamente un ricordo. Nell’età atomica, come nel Medioevo, e ancora la linea di demarcazione tra la sovranità britannica e il resto del mondo, il simbolo delle differenze di lingua e di costumi, che separano inglesi da europei e che sono state spesso la causa di battaglie. «Gli inglesi» si dice «sono sempre pronti a morire per gli altri, ma non a vivere con loro.»
Il tentativo di costruire un ponte sulla Manica, legando indissolubilmente le proprie fortune a quelle di una nuova Europa, e per la Gran Bretagna una impresa di importanza storica. Una decisione che sui suoi rapporti con i 724 milioni di abitanti del Commonwealth avrà un’influenza profonda. Coloro che continuano a sognare le gesta di Drake e di Raleigh, e l’egemonia anglosassone in tutto il mondo, saranno costretti a volgere le spalle a ciò che resta dell’lmpero e ad abbandonare (cost molti credono) i vasti orizzonti di ieri per una costa vicina e ancora sospetta. E tuttavia, anche se ciò sembrava assurdo qualche anno fa, l’adesione al MEC potra essere per la Gran Bretagna una fortunata avventura che le restituirebbe l’antico prestigio.

Unirsi o morire
Si comincia a parlare dell’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune nell’ottobre dell’anno scorso a Parigi. Dietro le porte chiuse della sala delle conferenze, al Quai d’Orsay, il lord del Sigillo Privato, Edward Richard George Heath, annuncia ufficialmente ai ministri dei sei paesi del MEC «una grande decisione» del suo governo: «Desideriamo diventare, con pieni diritti, membri della comunità europea» disse con vo ce commossa «e procedere insieme a voi nella costruzione di una nuova Europa». Un’Europa, aggiunse, che deve inevitabilmente «unirsi o morire».
Non era avvenuto mai che la Gran Bretagna si mostrasse cosi entusiasta di un’unione economica e politica con il Continente. Da secoli aveva mantenuto quella che Disraeli elegantemente definiva «astensione». Gli ostacoli esistevano, ed erano gravi: tuttavia l’ammissione pareva probabile, per non dire certa. Con l’lnghilterra il MEC potrà contare su 224 milioni di abitanti, piu della Russia che ne ha 218 e degli Stati Uniti (185). Produrrà più carbone e acciaio delle grandi potenze, più automobili degli Stati Uniti, e assorbirà quasi la meta delle esportazioni mondiali. Se poi si unissero anche i membri dell’EFTA (e cioè la Norvegia, la Svezia, la Danimarca, l’Austria, la Svizzera e il Portogallo), la comunità raggiungerebbe i 264 milioni di abitanti. E nel prossimo decennio, in cui, per virtu del trattato di Roma, si potrà avere una stabile e sempre «piu stretta unione», il Mercato Comune potrebbe trasformarsi negli Stati Uniti d’Europa, dalle isole Orkney alla Sicilia.
L’uomo adatto
Il Primo Ministro britannico Macmillan ha scelto la persona per raggiungere la meta: Ted Heath, un uomo di quarantasei anni europeista convinto. Nel suo discorso alla Camera dei Comuni, pronunciato nel 1950, egli aveva inutilmente esortato il governo a partecipare alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, primo passo verso una federazione. (Soltanto nel mese di giugno i membri della CECA hanno deciso di prendere in esame la domanda d’ammissione.) L’uomo piu vicino a Macmillan e lui, il «Ministro per l’Europa», come spesso lo definisce la stampa. «Heath» dice il Primo Ministro «e I’uomo con cui andrei perfino a caccia alia tigre».
Per la caccia di Bruxelles, il lord del Sigillo Privato ha scelto uno ad uno i suoi uomini, che, capeggiati da sir Pierson Dixon, l’ambasciatore inglese a Parigi, vengono chiamati per i loro titoli nobiliari e per i continui spostamenti da una città all’altra «i cavalieri volanti».

Le barriere
Konrad Adenauer e Charles De Gaulle, che hanno accettato la partecipazione bri tannica al MEC come un fatto inevitabile, sono sempre stati rigidi sulle loro posizioni. Secondo loro, il Mercato Comune e un successo esclusivamente europeo, e gli inglesi, buoni ultimi, potrebbero ricavare da esso tutti i vantaggi, tentando di controllarlo e di mutarne la fisionomia. E poiché sono state chieste per il Commonwealth tariffe speciali, Adenauer e De Gaulle temevano che la Gran Bretagna volesse fare entrare nel MEC l’intero Commonwealth: il che sarebbe come mettere «un elefante nella vasca da bagno».Al principio De Gaulle non si curava affatto del Mercato Comune: poi lo ha considerato una specie di comodo club franco-tedesco, le cui abitudini potevano essere radicalmente sconvolte dall’intervento inglese; e sebbene l’ingresso della Gran Bretagna fosse caldeggiato dalla maggior parte dei leaders europei (perfino Ludwig Erhard affermava che senza l’lnghilterra il MEC assomiglia a «un uomo senza testa»), egli ha sempre avuto del Continente una visione carolingia. Va però notato che dopo i suoi colloqui con Macmillan, nel giugno scorso, era diventato meno intransigente. Doveva averlo probabilmente lusingato l’implicito consenso britannico a una «Europa delle patrie», secondo un’antica proposta francese, piuttosto che a una federazione di tipo americano. Inoltre, anche se la Gran Bretagna non può trasmettere alia Francia le nozioni nucleari acquisite grazie ai suoi «speciali rapporti» con gli Stati Uniti, De Gaulle conosce molto bene ed apprezza l’entità del potenziale contributo inglese a un deterrent nucleare europeo.I punti stabiliti La maggiore difficolta per Heath riguardava il commercio del Commonwealth. Due furono i punti stabiliti per primi: gli inglesi hanno accettato di applicare, dopo il 1970, le tariffe del MEC ai manufatti importati dal Commonwealth; e gli europei hanno consentito alia Gran Bretagna di importare determinate materie prime senza dazi. II problema più grave era quello di fissare le tariffe sui prodotti «tropicali» (cacao, caffe, banane, ecc.) provenienti soprattutto dall’Africa e dalle Indie occidental. Per proteggere le sue ex colonie, la Francia e riuscita a far entrare nel Mercato Comune, come membri associati, diciotto nazioni africane che ora godono di un trattamento di favore per le loro esportazioni.Di recente queste nazioni hanno rinnovato la loro adesione per altri cinque anni, ma prudentemente hanno respinto la proposta francese di limitare il numero dei membri associati al MEC e quindi di usare una discriminazione nei confront delle antiche colonie africane della Gran Bretagna. Nella speranza di legare sempre di più l’Europa all’Africa (malgrado Kruscev sostenga che il Mercato Comune sia «una nuova forma di colonialismo») i delegati africani hanno ottenuto il consenso dei Sei a «un trattamento analogo» per le ex-colonie britanniche.Ma il problema cruciale riguarda i paesi della Zona Temperata, in particolare l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda, tradizionali fornitori della Gran Bretagna. Gli inglesi sperano che essi trovino per grano, came e latticini, un mercato sicuro anche quando la GranBretagna dovrà adottare le tariffe del MEC, destinate a proteggere gli agricoltori europei: ma a cid e contraria la Francia, principale produttrice di grano nell’Europa occidentale, poiché intende conquistare per se il mercato britannico. Due erano le soluzioni previste: 1) un’adozione graduale delle tariffe per un periodo di 8-12 anni allo scopo di consentire al Commonwealth di trovare nuovi mercati; 2) accordi su scala mondiale, entro il 1970. Le reazioni degli australiani si sono fatte sentire. Essi dicono che gli accordi commercial tra Gran Bretagna, Australia e Canada, non sono serviti che a viziare l’economia di questi due ultimi paesi, incoraggiando le esportazioni alia lontana Inghilterra piuttosto che ai mercati vicini. La Nuova Zelanda le ha sempre destinato il 62 per cento delle esportazioni (in maggior parte came e latticini) e non potrebbe certo competere con il Mercato Comune.I motivi contro Il futuro del Commonwealth e diventato argomento di quotidiana discussione per gli inglesi che ricordano il suo generoso apporto di uomini e munizioni nelle due guerre mondiali. Lord Beaverbrook e il promotore di una violenta campagna a favore del Commonwealth e contro gli Stati Uniti e la Germania, accusati dai suoi giornali di voler «rubare» i mercati inglesi: basti dire che il Daily Express ha predetto all’Inghilterra un’inondazione di «stufato di came francese». Più significativo e il timore della sinistra Iaborista che vede nell’adesione al MEC compromessa l’eventuale nazionalizzazione dell’industria, cui si aggiunge la stizza per il successo avuto dall’iniziativa privata nell’Europa occidentale. Il leader dell’Opposizione, Hugh Gaitskell, personalmente favorevole all’ingresso nel MEC, avrebbe voluto attendere un’occasione migliore: e i conservatori sapevano che senza condizioni soddisfacenti per la nazione, il partito Iaborista e la stessa destra conservatrice avrebbero messo il governo in grave imbarazzo. Altro elemento, di cui si e sempre parlato fin dai tempi di Enrico VIII, e la riluttanza della Gran Bretagna ad associarsi a un’Europa prevalentemente cattolica: la Chiesa di Scozia ha gia ammonite i suoi fedeli a difendersi dalle «insidie di Roma». Per non parlare poi della prevedibile invasione dell’isola da parte dei disoccupati europei in cerca di lavoro e di fortuna. I motivi a favore Molti uomini di affari, soprattutto i grandi industriali, approvano l’ingresso della Gran Bretagna nel MEC, sperando in un abbassamento dei salari al livello europeo: salari che, viceversa, stanno aumentando. L’ingresso al MEC rialzerebbe il ritmo produttivo: in molte zone manca la manodopera e pur di avere operai le fabbriche sarebbero disposte perfino a rallentare la produzione. L’industria ha bisogno di riorganizzarsi: e per riorganizzarsi ha bisogno di drastici provvedimenti. La competizione europea, dice Macmillan, e per l’lnghilterra «una doccia tonificante» e serve ad eliminare i più deboli. La competizione, aggiunge, è gia cominciata: gli inglesi possono meglio affrontarla entrando nel Mercato Comune.Quando si parla di Commonwealth, pochi ricordano che il suo famoso, sacrosanto legame con la Gran Bretagna ebbe inizio come un matrimonio d’interesse. Dal 1880 in poi, gli uomini politici inglesi hanno sempre visto l’lmpero come un vasto mercato, capace di assorbire i manufatti in cambio di materie prime. Ma non risponde a verita. Oggi, come gia Richard Cobden notava all’inizio del XIX secolo, il Cowealth e diventato, sotto il punto di vista economico, «una palla al piede, sfarzosa e pesante, che accresce la grandiosita britannica senza nulla aggiungere all’equilibrio commerciale».
Le necessity della Gran Bretagna
L’industria inglese deve diminuire le spese, migliorare la qualità e vendere con la stessa aggressività dei concorrenti europei. Ma soprattutto ha bisogno di un mercato piu vasto e dinamico del Commonwealth, in cui appena 90 milioni di persone hanno potere di acquisto (perfino l’Australia, la migliore cliente della Gran Bretagna, ha una popolazione appena superiore a quella di Parigi e Roma messe insieme). Nonostante le alte tariffe imposte alle importazioni inglesi, gli europei del Continente hanno voglia di marmellata d’arancio, Jaguar, porcellane di Wedgwood e whisky scozzese. Golf, scarpe da uomo, cioccolata e tessuti (eccetto il tweed, ormai bollato col marchio di «noioso» dalla moda parigina) sono altrettanto apprezzati. Gli inglesi, da parte loro, sono sempre piu entusiasti dei prodotti del MEC. Preferiscono la Volkswagen pur pagandola circa 220.000 lire più di un’ottima Anglia, bevono aperitivi francesi, fumano sigari importati dall’Olanda, e le donne indossano maglioncini «all’italiana». All’accusa di tradimento lanciata da Sidney e da Ottawa, si ribatte che la Gran Bretagna pud meglio giovare al Commonwealth entrando nel MEC che rimanendone fuori, sollecitando una riduzione delle tariffe. facendo diminuire le tasse interne e incanalando gli investimenti verso i paesi sottosviluppati. All’adesione al MEC, dicono Macmillan e Heath, c’e sempre stata una sola alternativa: rinunciare per sempre al ruolo di grande potenza e rassegnarsi, come si rassegno Venezia nel XVIII secolo, all’isolamento e alia decadenza.I negoziatori all’opera Ma e proprio per evitare questa decadenza che Ted Heath si e improvvisato economista: perfino i «grandi sacerdoti» (come i negoziatori inglesi chiamano i nove membri della Commissione per il Mercato Comune) hanno ammesso d’aver sbagliato quando Heath si e opposto ad una loro interpretazione imprecisa del Trattato di Roma. Ed e anche un buongustaio: erano noti i suoi banchetti al «Chez Soi» di Bruxelles, ai quali invitava i vari delegati. «Comincia subito a parlare di lavoro», diceva no gli ospiti, «e continua a domandare per tutto il tempo: ma perché fate questo? Perché volete quest’altro? Quando si arriva al dessert, sa tutto quello che voleva sapere.» Al principio, si giudicava con scetticismo l’intenzione della Gran Bretagna di entrare nel MEC: ma poi Heath e riuscito a convincere i Sei della sua serietà. «Se cosi non fosse», ha detto un funzionario belga, «dovremmo pensare che Heath e un attore nato.» Racconta un vecchio collega: «Se Macmillan lo chiama alle 11 di un sabato mattina e gli dice di andare da lui per il week-end, Heath ubbidisce subito perché non ha altri impegni da disdire». Forse un giorno diventerà lui Primo Ministro: il maggior compito della Gran Bretagna, in futuro, sara bilanciare le contrastanti pretese della NATO, dell’Europa, degli Stati Uniti e del Commonwealth, e in Heath gli inglesi vedono l’uomo più adatto a questo scopo. Finora ha sempre seguito gli ordini dei superiori e nessuno può dire se sarà in grado di andare avanti da solo. Ma del leader Ted Heath ha gia un requisite indispensabile: e un uomo politico di grande valore.Musica d’organo E nato il 9 luglio 1916 a Broadstairs, la cittadina del Kent, in cui Dickens scrisse il suo David Copperfield. Il padre era capomastro. Da bambino, ricordano i compagni, Ted «non era nulla di speciale»: invece di giocare con gli altri sulla spiaggia, preferiva stare a casa, a leggere. Trascorse la giovinezza in una villetta di sei stanze, vicino alia stazione. Da ragazzo aveva una grande passione per la musica. Dopo i primi studi a Broadstairs, ottenne una borsa di studio per il Balliol, uno dei migliori colleges di Oxford, in cui aveva studiato anche Macmillan. Nella cappella suonava 1’organo e dirigeva il coro. Si specializzo in economia, politica e filosofia, ma per molto tempo fu incerto se scegliere, per l’avvenire, giurisprudenza o musica. Nel 1940 si arruolò nella Royal Artillery e combatte in Francia, Belgio, Olanda e Germania: quattro dei sei paesi del MEC. Alla fine della guerra s’impiegò al Ministero dell’Aviazione, poi fu assunto come redattore da un giornale anglicano, il Church Times, e successivamente entro con funzioni direttive in una banca privata.Fu in questo periodo che pote conoscere alcuni uomini politici conservatori, e furono questi a invitarlo a conquistare i favori di Bexley (Kent) che, nel 1946, aveva votato per i laboristi. Heath, timido e scontroso, riusci subito a ottenere i voti delle donne: «Il suo sorriso ci affascinò», ricorda una di loro. Al Parlamento a Bexley, spendendo i suoi stessi risparmi, Heath fondò una delle piu salde organizzazioni del partito, passo al vaglio ogni situazione, fece speciali conferenze per i professionisti, e durante le riunioni era lui che suonava l’inno nazionale al pianoforte. Per molti inglesi, ancora oggi, il vero Ted Heath è un direttore d’orchestra: per questo i giovani assistevano sempre numerosi ai suoi comizi, convinti che si sarebbero conclusi con una festa da ballo.

Appena eletto deputato, Teddy Heath tolse al nome l’ultima sillaba e si accorciò la chioma fluente. Per completare l’opera, ricorse a un noto sarto di Savile Row. In pochi giorni il nuovo membro del Parlamento, il delegato di Bexley, seppe trasformarsi in un tipico rappresentante del Conservatorismo britannico.
Dopo un anno dalla sua elezione, entrò a far parte dei «whips», gli incaricati, cioè, di mantenere la disciplina del partito. Un compito che gli uomini politici più ambiziosi cercano di evitare, poiché e talmente impegnativo da offri- re a chi voglia imporsi nella vita politica nazionale poco tempo e scarse possibilità. Heath invece l’accettò, prevedendo di poter così controllare i sottili meccanismi del Parlamento e dello stesso partito. In pochi mesi riuscì a distinguersi tra i «whips» e a diventarne il capo nel 1955. Dopo meno di un anno, la sua abilità fu messa alla prova dalla crisi di Suez. Per settimane e settimane, le crisi interne minacciarono di far crollare da un momento all’altro il governo conservatore, e fu lui che, quasi per miracolo, riuscì ad evitare la catastrofe. Quando le dimissioni di Eden parvero inevitabili, convocò gli altri «whips» nel suo ufficio, al numero 12 di Downing Street, e fu praticamente lui a scegliere il nuovo Primo Ministro. «Parlammo per ore e ore», ricorda uno di coloro che parteciparono alla riunione. «Solo lui taceva e ascoltava». E dopo aver ascoltato per tutta la notte ciò che gli altri dicevano, Heath fu in grado di assicurare l’adesione compatta di tutto il partito all’elezione di Harold Macmillan.
Il nuovo Premier lo fece Ministro del Lavoro nel 1958. Dopo appena nove mesi gli affidò l’incarico difficilissimo di far entrare la Gran Bretagna in Europa. Fu nominato lord del Sigillo Private e portavoce del Ministero degli Esteri alia Camera dei Comuni. Ma ancora oggi Heath non dimentica la città in cui è nato questo suo successo e appena possibile sale sulla sua vecchia automobile nera e torna a Bexley. Dopo quindici minuti di conversazione con il rappresentante locale del partito e una visita alia mostra di fiori organizzata dalla società d’orticultura, si ferma al «pub» preferito, «The King’s Head», dove tutti lo riconoscono e lo salutano col nome di «cavaliere». Mentre si dirige in macchina a Bexley ha l’occasione di notare i cartelloni stradali inneggianti «al sole italiano», e i fruttivendoli che espongono nelle botteghe fragole olandesi e asparagi francesi insieme alle mele della Nuova Zelanda: un contrasto che immancabilmente gli ricorda i problemi del Mercato Comune.

Fine di un sogno
E sono problemi che diventano ogni giorno più incalzanti. Un’inchiesta su scala nazionale riferisce che alia fine di giugno il numero di inglesi favorevoli all’ammissione al Mercato Comune era sceso dal 47,1% dell’aprile scorso al 28,2%. Apparentemente la diminuzione indicava la preoccupazione degli inglesi per il futuro: in realtà rifietteva solamente una manovra del governo, che voleva moderare l’entusiasmo per non fare troppo alzare il prezzo d’entrata.
E comunque fuori dubbio che il dibattito e responsabile di un nuovo soffio di energia nella politica britannica. Men tre dopo la guerra i popoli europei hanno ricostruito cid che era stato distrutto, la Gran Bretagna e affondata in un sogno che rischia di trasformarla in un museo di glorie passate. «Gli inglesi non lavorano più di quanto lavorassero alcuni anni fa», scrive Robert Elson dell’ufficio londinese di Time. «Continua la filosofia di tutto-va-bene. Ma un cambiamento e in corso. Gran parte degli inglesi ancora non se ne e accorta, ma inconsapevolmente hanno tutti gia capito che nel mondo d’oggi e meglio muoversi e non basta rimanere dove si è».
Il vecchio e il nuovo
Il senso dell’avventura e sempre spuntato fuori, prima o poi, nel popolo inglese. Sia che derivi dagli iberi o dai celti, dai vichinghi o dai saggi normanni, l’ansia di attraversare oceani e di fondare comunità nuove e sempre stata una delle principali caratteristiche della nazione, e in tre secoli di espansione la bandiera britannica e sventolata nel Nuovo Mondo, in Asia, e nei paesi africani.
Trasformando l’lmpero in Common wealth, la Gran Bretagna ha dimostrato di sapere come si adattano i vecchi sistemi alle necessita nuove, contrariamente a qualsiasi altro impero della storia crollato per un cancro interno o per opera di invasori. Dovrebbe quindi essere facile per essa operare il passaggio dal Commonwealth al Mercato Comune e cost realizzare quella fusione di spirito anglosassone e latino, che lo storico Andre Siegfried chiamo «l’anima dell’Europa». Come Edward Heath ha recentemente dichiarato alia Camera dei Comuni «non e di tariffe o di commercio che ci si occupa, bensì di problemi umani che riguardano il futuro di milioni di persone, in Gran Bretagna, in Europa, nel Commonwealth e in tutto il mondo».