È stato un maestro della pittura centro-meridionale, nel Quattrocento con un’interpretazione originale dello stile tardo gotico maturata nei contatti e nelle collaborazioni in importanti città italiane. È però nel suo Abruzzo che se ne ammirano i capolavori.
Chi dice Quattrocento artistico in Abruzzo, chi dice pittura rinascimentale in quella regione, dice innanzitutto un nome: Andrea Delitio. Una delle situazioni più appassionanti che gli studiosi trovano nel Rinascimento è lo sviluppo di quelle che, forse non troppo propriamente, vengono considerate «le periferie» rispetto ai centri propulsori, Firenze in primis. Molte volte questi «Rinascimenti» locali hanno avuto un maestro particolarmente rappresentativo, una personalità decisamente più distinta ed elevata; molte volte questi maestri hanno finito per essere identificati con l’intero fenomeno di cui erano espressione, un po’ per pigrizia, un po’ per necessità (spesso i documenti sono carenti). Così, per esempio, Ludovico Brea è il maestro per eccellenza del secondo Quattrocento e del primo Cinquecento fra Liguria e Nizzardo; così Martino Spanzotti ha lo stesso ruolo qualche chilometro più a nord, in Piemonte; e ancora si potrebbe continuare con Antonello e gli antonelleschi in Sicilia; con Antoniazzo Romano per il Lazio centro-settentrionale, con Cristoforo Scacco per il Lazio centro-meridionale, con i Crivelli per la costiera marchigiana, con Andrea Sabatini da Salerno per la Campania, con Pietro Cavaro per la Sardegna meridionale, fino ad Andrea Delitio e, più tardi, Saturnino Gatti per gli Abruzzi.
Tutti artisti rinascimentali, tutti maestri, senz’altro, ma tutti profondamente diversi, specchi di «parlate» locali che dovevano fare i conti con abitudini visive e culturali diverse rispetto a quella a cui potevano riferirsi Ghirlandaio o Botticelli. Per l’Abruzzo il maestro per eccellenza del Rinascimento locale è Andrea Delitio. Delitio significa «da Lecce», non la città salentina, ma l’omonimo borgo marsicano. Come nel caso di molti altri maestri del Rinascimento italiano «periferico», la fama e il giusto prestigio che ha acquisito nel tempo non sono proporzionali alle notizie documentarie che su di lui possediamo. È successo allora che per non rinunciare alla figura di Delitio ci si sia impegnati a ricostruirla per via ipotetica e stilistica, secondo le letture offerte da storici come Mason Perkins, Roberto Longhi, Ferdinando Bologna, Federico Zeri, Giulio Carlo Argan, Enzo Carli. L’attenzione di questi studiosi testimonia che il significato dell’artista abruzzese esula dalle ristrettezze dell’ambiente locale e si pone nel cuore dell’arte dell’Italia centrale attingendo a una condizione universale.
Poche le informazioni certe sul pittore, ma assai preziose. La prima ci viene dall’Umbria, da Norcia, ed è del 1442. Apprendiamo che Andrea, insieme a Luca Laurenzi (o Di Lorenzo) «di Alemania» e Giambono Di Corrado da Ragusa, è impegnato nel progetto di decorazione ad affresco che Bartolomeo di Tommaso e Niccolò di Ulisse stavano realizzando per la tribuna della chiesa di Sant’Agostino. Ci troviamo dinnanzi a un’impresa a carattere «multiregionale», addirittura multinazionale, come altre dovettero esservi in quegli anni; due magistri maggiori, due veri e propri impresari, il folignate Bartolomeo di Tommaso e il senese Niccolò di Ulisse, associavano altri magistri minori, vaganti da un luogo all’altro della penisola in cerca di lavoro o per apprendistato, nell’esecuzione di un’opera di grandi dimensioni.
Il legame fra Delitio e Bartolomeo di Tommaso è stato ritenuto decisivo nella definizione dello stile dell’abruzzese, da quel momento in poi sempre documentato «in patria». Si ritiene che Andrea abbia potuto compiere la sua formazione professionale più significativa a Foligno. Il fatto è particolarmente rilevante dal momento che la città si sta rilevando una, non abbastanza considerata, capitale della pittura quattrocentesca. Ha rivestito per esempio un ruolo di grande interesse e originalità nel passaggio della pittura tardo-gotica a quella rinascimentale, e Gentile da Fabriano ne è stato il massimo esponente. È ormai stato accertato su base documentale che gli affreschi più significativi nella residenza dei Trinci – i mecenati principali di Foligno – sono opera preziosissima di Gentile, realizzata con aiuti, fra i quali Jacopo Bellini. È probabile che la presenza di Gentile presso i Trinci abbia determinato a Foligno un fervore artistico senza precedenti; il primo ad usufruirne potrebbe essere stato un pittore che fino a tempo fa era stato considerato il capostipite della scuola folignate quattrocentesca, Giovanni Mazzaforte.
In prossimità dell’ultima attività documentata del Mazzaforte giunge a Foligno il pittore destinato a scalzarlo nel primato locale: Bartolomeo di Tommaso, proveniente da Ancona, si sposa proprio nel 1442, l’anno in cui vengono documentati i suoi rapporti con Delitio, con la figlia di un altro pittore folignate, Pierantonio Mezzastris. La famiglia, ovvero le botteghe artistiche da essa gestite, ha un ruolo fondamentale nelle tradizioni dei pittori folignati. È il caso dell’Alunno – o Di Liberatore, che dir si voglia – da considerare il pittore della svolta: abbandonate le cadenze gentiliane, ecco arrivare a Foligno, già poco dopo la metà del secolo, le novità introdotte nella vicina Umbria da Benozzo Gozzoli, viatico alla successiva accoglienza della lezione dei perugini. Se è questo l’ambiente dove si è formato Delitio, bisogna dire che esso è stato certamente fra i più interessanti e vivaci del Centro Italia.
Il secondo documento a disposizione fra quelli che c’informano sul Delitio (anno 1450) ce lo dice finalmente operoso nella sua terra, l’Abruzzo, anche se purtroppo con un’opera perduta: gli affreschi della chiesa di San Francesco a Sulmona. Non meno importante è il fatto che questo documento si trovi non a Sulmona, non a Foligno, non a Lecce dei Marsi, ma ad Atri, in provincia di Teramo, nella cui cattedrale esistono gli affreschi più noti e celebrati di Delitio, peraltro non firmati o testimoniati. Ciò che è certo è che nel ciclo di Atri – che ha per soggetti tra gli altri della Vergine e dei Vangeli apocrifi – Andrea dimostra di avere ormai acquisito la sua piena maturità, da un lato ancora debitore delle formule spaziali e delle cadenze formali tardo-gotiche, dall’altra già in possesso di una sensibilità plastica e di una sapienza anatomica di chiara derivazione rinascimentale. Affreschi, quelli del Duomo di Atri, che comunque sono di sicuro lontani dal 1450, forse vent’anni dopo, forse ancora più tardi secondo la datazione più probabile. Nel 1473 Delitio è impegnato a Guardiagrele, in provincia di Chieti, dove firma un grande affresco con un San Cristoforo sul prospetto esterno della cattedrale. È una presenza almeno simbolicamente importante quella del Delitio a Guardiagrele, luogo dove aveva operato fino a un ventennio prima un altro grande petit maître del Quattrocento abruzzese, lo scultore e orafo eponimo Nicola.
Delitio prosegue in un certo senso il discorso intrapreso a suo tempo da Nicola, anche se in termini notevolmente diversi dai suoi: il graduale aggiornamento dell’arte abruzzese alle istanze più evolute del Quattrocento centro italiano, il passaggio «indolore» dal tardo-gotico al Rinascimento. Il San Cristoforo è l’unica opera firmata e datata di Andrea Delitio. A rigore storico, sarebbe il termine oltre il quale nulla si potrebbe immaginare, la dichiarazione di resa nei confronti di un destino che ci ha permesso di intuire un grande artista, ma che crudelmente ci ha anche privato di quasi tutto sulla sua impresa di pittore. No, non vogliamo rinunciare a Delitio, a recuperarne la memoria finché è possibile, a ricostruirne la carriera e l’identità sulla base di quello che la sua arte dice agli occhi esperti. È questo il lavoro dello storico dell’arte.