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Evviva la tassa sugli extraprofitti

Evviva la tassa sugli extraprofitti

Il Grillo fa i conti in tasca alle banche e dimostra come abbiano fatto utili record. Un piccolo contributo, allora, sarebbe buono e giusto.


Ho sempre pensato che la tassa sugli extraprofitti delle banche fosse sacrosanta. Se mai avessi avuto dei dubbi, me li ha fatti passare una missiva nella rubrica delle lettere del Corriere. Temo che sfuggita ai più, ma per fortuna non è sfuggita all’occhio vigile del nume tutelare del Grillo. La lettera è scritta da un pensionato, Carmine Carbone. E comincia così: «Ho 94 anni, mia moglie 85. Tutti i nostri risparmi li lasciamo sul conto corrente bancario per avere l’immediata disponibilità qualora le nostre condizioni di salute, per ora discrete, dovessero peggiorare e richiedere l’impiego di denaro per cure sanitarie e assistenziali». Chiaro no? Carbone e la moglie hanno risparmiato una vita e tengono quei soldi da parte per qualche cura medica, un ricovero, magari l’assistenza domiciliare. Non ha senso per loro investire i risparmi in altro modo. Perciò li lasciano sul conto corrente. E perciò si sentono sfruttati dalla banca.

A 95 anni, infatti, Carmine è più lucido di tanti analisti laureati alla Bocconi e tanti editorialisti di giornali. E fa due conti: «La giacenza media del nostro conto bancario nell’anno 2022 è stata di 48.774,17 euro sulla quale la banca ha corrisposto interessi per 31,70 euro. La banca in sostanza ha utilizzato i nostri risparmi, a costo quasi zero, per darli in prestito ad interessi di oltre il 4 per cento annuo, realizzando così l’extraprofitto che il governo intende tassare». Conclusione: «Tassare tale extraprofitto sarebbe giusto e doveroso; non tassarlo, come qualcuno chiede, sarebbe l’ennesima beffa ai danni dei risparmiatori e ingiusto arricchimento da parte delle banche».

Non conosco Carmine Carbone, ma se fossi il direttore del Corriere gli chiederei di scrivere alcuni editoriali per la prima pagina, altro che la letterina nascosta in fondo a pagina 29. Sul tema delle banche mi sembra imbattibile. Lo è diventato, per altro, pagandolo sulla sua pelle. Con un deposito di 48 mila euro, infatti, ha preso 31 euro di interessi, poco più di 2 euro al mese. In pratica due caffè. E giustamente si chiede: può essere che i risparmi della mia vita, lasciati nelle mani della banca, valgano così poco? E perché quando poi quei soldi vengono prestati, invece, per la banca valgono molto di più? Certo: se sentite parlare gli economisti amici dell’Abi (Associazione bancaria italiana), i soloni di Confindustria, i commentatori amati dai salotti finanziari la tassa sugli extraprofitti vi apparirà un mostro. Ma vista dal tinello di nonno Carmine appare, per com’è: ineccepibile.

Come dargli torto? Nel noto e competente ufficio studi della Cgia di Mestre hanno fatto un calcolo interessante. Hanno preso il luglio 2008, l’anno in cui il tasso Bce era uguale a quello di luglio 2023 (4,25 per cento). Ebbene: sapete quanto era allora il tasso d’interesse pagato sui conti correnti degli italiani ? Dell’1,85 per cento. E oggi? Dello 0,38 per cento. Vuol dire che oggi il tasso di interesse che le banche chiedono per mutui e prestiti è simile a quello di quindici anni fa, mentre quello che pagano sui depositi è quasi cinque volte inferiore. E sapete quanto vale questa differenza? La Cgia ha fatto anche questo conto: quasi 20 miliardi di euro, 19,7 per l’esattezza. Di cui 5 miliardi di tasse. E 14,6 miliardi di soldi in più ai risparmiatori. Ora se i risparmiatori hanno perso 14,6 miliardi, le banche non ne possono restituire 1 o 2? E per quale motivo? Lesa maestà dello sportello? Vilipendio al caveau?

Fate attenzione: vedrete che d’ora in avanti, fra titoli di tg e pappagalli da talk show, cercheranno di far passare a reti unificate l’idea che i tassi sui depositi stanno crescendo. La linea l’ha dettata Il Sole 24Ore pochi giorni fa: «Depositi, salgono i rendimenti», titolava. Da luglio ad agosto in effetti c’è stato un mini incremento dello 0,4 per cento. Briciole. Che certamente non confortano il 95enne Carmine e tanto meno cancellano gli extraprofitti delle banche in questi mesi. Dove finiscono quei soldi? Tutti in super dividendi agli azionisti? In aumenti da Paperone per i top manager? E davvero merita di essere premiato chi ha realizzato utili record non per capacità e talento ma solo sfruttando rendite di posizione?

Ogni tanto sento dire, anche da alcuni amici e persone che stimo, che la tassa sugli extraprofitti sarebbe una tassa illiberale. Oh bella: ma quando mai le banche sono state liberali? In questi ultimi anni hanno fatto di tutto: hanno succhiato soldi alle casse dello Stato (vedi Mps), hanno coperto scandali e operazioni bislacche, hanno messo in ginocchio i propri clienti. Hanno speculato, come ora, sulle difficoltà altrui. Non sono mai state quello che si dice un esempio limpido di trasparenza e valori di mercato. Perché dunque ora dovrebbero essere difese in nome di princìpi che loro hanno sempre calpestato? Prima glielo spiegassero a nonno Carmine. Io lo accetto solo se lo leggo in un suo prossimo editoriale sul Corriere.

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