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Alberto Brambilla: «C’è un futuro anche con meno culle»

Alberto Brambilla: «C’è un futuro anche con meno culle»

Con i numeri alla mano e un’analisi demografica razionale, uno studioso come Alberto Brambilla afferma nel suo ultimo libro che il declino dell’Italia non è inevitabile. Ma occorrono scelte nette su lavoro, pensioni, sanità.


E non domani: subito.Nel 2023 l’Italia ha conquistato un nuovo record, ma negativo: lo scorso anno sono nati solo 379 mila bambini, il 3,6 per cento in meno rispetto a 12 mesi prima. Anche la mortalità è in calo e il risultato è che la popolazione italiana continua ad invecchiare: gli ultra 80enni sono ormai oltre quattro milioni, quasi 50 mila in più rispetto al 2022. Culle vuote e più anziani. Un quadro a tinte fosche, accolto con toni preoccupati se non terrorizzati dai media. Ma non tutti sono convinti che una riduzione della popolazione sia una tragedia: Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, ha fiducia che il nostro Paese possa avere uno sviluppo positivo pur attraversando l’inverno demografico. Come spiega in modo esauriente nel suo ultimo libro intitolato Italia 2045. Una transizione demografica e razionale (Guerini e associati).

Professor Brambilla, ci siamo lamentati per anni dell’aumento demografico, ora perché calano gli italiani. Non è una contraddizione? E si può immaginare il Paese che cresce economicamente con popolazione stabile o addirittura in declino?

Alla prima parte della domanda si risponde facilmente: la maggior parte degli esseri umani viventi è nata dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi e considera normale un aumento della popolazione, del Pil, dei consumi. Siamo sempre cresciuti a ritmi che anomali: dall’anno zero del nostro calendario, quando eravamo sulla Terra 250 milioni, ci abbiamo messo 1.945 anni per arrivare a due miliardi. E abbiamo impiegato appena 78 anni per passare da due a oltre otto miliardi. Una crescita innaturale, che io definisco la «grande accelerazione». Che ora però si sta fermando: alla fine del secolo scorso la curva demografica in tutti i Paesi del mondo, compresi quelli africani, il tasso di natalità ha cominciato a flettere. Ed esistono già casi di nazioni «avanzate», come Cina o Corea del Sud, che sono entrate nella fase successiva, con una contrazione della popolazione. È un quadro demografico già scritto, è inutile fare allarmismo e non possiamo invertire la tendenza. Bisogna avere paura di questo fenomeno per noi nuovo? No, purché venga affrontato subito con le misure adeguate.

Perché nel suo titolo indica il 2045?

Nel 2045-2050 ci sarà il picco dell’invecchiamento della popolazione italiana ed europea. Nel nostro Paese saremo 53-54 milioni invece dei 59 di adesso. E da quel momento, assai lentamente ci sarà un abbassamento dell’età media. Ma i problemi non ci saranno allora, ci sono adesso. L’Italia si deve preparare per tempo a quella nuova fase. E non si sta attrezzando.

Come dovrebbero fare, o non fare, i politici italiani per gestire un Paese che invecchia?

Da evitare sono quelle manovre sulle pensioni per facilitare l’uscita dal mondo del lavoro in anticipo, quando l’aspettativa di vita degli italiani continua a crescere. Non si può andare in pensione a 60 anni e campare fino a 85. Il sistema previdenziale regge solo correlando il momento del pensionamento a quella aspettativa. Così avremo anche più persone in età da lavoro. A chi dice «ma come, facciamo andare gli anziani sui ponteggi!», io rispondo che l’Italia è uno dei pochi Paesi che nei contratti di lavoro non ha alcun collegamento tra la mansione e gli anni effettivi. Facciamolo. Così come non c’è formazione continua per aiutare chi è in età avanzata nei cambiamenti tecnologici. In campo sanitario non si fa prevenzione: a parte il sangue occulto nelle feci, il pap test e la mammografia – e solo in alcune regioni – non c’è altro. Ma il grosso della spesa sanitaria si può ridurre proprio con la prevenzione e i check up. E se avremo il 14 per cento della popolazione con più di 80 anni, perché non abbiamo un’assicurazione pubblica o privata che copra i costi della non-autosufficienza? L’elenco di misure per far sì che il Paese arrivi al 2045 con prospettive di sviluppo potrebbe continuare a lungo.

Meno nascite in Italia e Europa vuol dire più immigrazione dall’Africa, la cui popolazione continua a crescere, seppure più lentamente?

L’aumento degli immigrati dipende dalle scelte dell’Europa. E dall’emancipazione femminile. Nell’Africa centrale una donna rimasta nella sua tribù genera quattro-cinque figli, una ragazza che esce dal liceo al massimo ne farà due e se avrà frequentato l’università, solo uno. Vogliamo evitare davvero che la popolazione africana prema ai nostri confini? Dobbiamo dare a quel continente scuole, cultura, ospedali. E qui l’Italia rappresenta un esempio virtuoso con il Piano Mattei che incorpora questi tre elementi: se avrà successo, il continente africano potrà progredire e i problemi saranno gestibili. Se ogni Stato europeo fornisse a due nazioni africane i sostegni che ho indicato, per molte persone non ci sarebbe più la necessità di traversare il Mediterraneo.

Perché nel libro consiglia di consumare meno carne, uova, latte: che cosa c’entra con la demografia?

Dalla fine della Seconda guerra mondiale non c’è stato soltanto un abnorme aumento della popolazione umana, ma abbiamo dovuto far crescere anche quella degli animali da allevamento. Nel 1940 la stragrande maggioranza di volatili e mammiferi viveva in libertà. Oggi si trova in natura solo il 30 per cento dei volatili, e addirittura il 4 per cento dei mammiferi. Gli animali di allevamento respirano, mangiano, producono CO2 ed escrementi: secondo i calcoli della Fao rappresentano l’equivalente di altri 25 miliardi di esseri umani con un peso medio di 45 chili. Cioè siamo oltre 33 miliardi di esseri che io ho chiamato «respiranti». Oltre ad alleviare il trattamento incivile riservato a questi animali, se riuscissimo a ridurre il consumo di carne del 20 per cento entro il 2030 e del 50 per cento entro il 2050, nonostante un aumento della popolazione mondiale fino a 9,7 miliardi previsto al 2064, la massa degli esseri respiranti si ridurrebbe a 22 miliardi invece di 33 miliardi. La carne è legata fortemente alla demografia. In questo senso, anche l’alternativa di quella «coltivata» può aiutarci.

E che cosa succederà nel 2064, un’altra data che lei evoca nel libro?

Secondo i calcoli più accreditati nel 2064 la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere il suo picco massimo stimato in 9,7 miliardi di esseri umani. E nel 2100 dovremmo essere tra i 7 e gli 8 miliardi di abitanti. Il «big bang» dell’umanità sarà finito.

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