Il caso di Marco, che durante il percorso per il cambio di sesso si è scoperto incinto. Sì, esistono disturbi nella identità di nascita. Ma farne «manifesti» politici è follia.
E poi, però, alla fine c’è la natura. E la natura, nella sua estrema complessità, è di una semplicità disarmante: maschio e femmina Iddio li creò. Possiamo inventarci tutte le formule che vogliamo, possiamo riempire volantini con genderfluid, biggender, pangender, demigender, trasnwoman, transman, cis gender, non binari e genderqueer, ma alla fine la natura non cambia. Le sue leggi neppure. Se una persona nasce donna è donna e come tale può rimanere incinta. Pensate che cosa fuori dal coro sto dicendo: chi ha l’apparato genitale femminile, in quanto donna, può mettere al mondo figli. Anche se ha preso gli ormoni per diventare uomo. Anche se ha la barba. Anche se si è fatta togliere il seno. Anche se si fa chiamare in altro modo. Anche se è maschio per l’anagrafe. La natura è più forte persino dell’anagrafe, pensate un po’.
Torna a farsi viva Daniela, il nume tutelare alternativo che al Grillo manca molto. E mi chiede un parere sul caso che fa discutere, quello del romano chiamato Marco, che durante il percorso di cambio sesso ha scoperto di essere incinto, al quinto mese di gravidanza. Era donna, voleva diventare uomo. Aveva fatto la terapia ormonale, le erano comparsi i peli, aveva fatto la mastectomia per avere il petto piatto. E aveva avuto il riconoscimento della nuova identità anche dallo Stato. Le mancava però l’asportazione dell’utero. In questo frangente ha avuto rapporti con un uomo. Ed è rimasta incinta. Se n’è accorta solo al quinto mese, troppo tardi per abortire a meno di gravissime malformazioni o rischi di vita, cose che non sembrano verificarsi in questo caso. Come se ne esce?, chiede il nume tutelare alternativo.
Domanda legittima che affonda le radici nel caos creato sovvertendo le leggi di natura in modo sempre più esteso. Il caso degli uomini incinti, i cosiddetti «cavallucci», infatti non è nuovo: si tratta di transgender, donne che diventano uomini, ma conservano l’apparato genitale femminile e perciò possono portare avanti una gravidanza. Proprio come Marco, in questa particolare fase della sua vita. I social e i siti internet sono pieni di immagini del genere, anche piuttosto impressionanti: maschi barbuti e pelosi in dolce attesa. In Italia, finora, non se ne sono manifestati, ma all’estero, specialmente negli Stati Uniti, è un fenomeno piuttosto diffuso. Qual è la differenza tra i «cavallucci» e Marco? Semplice: loro la gravidanza la desiderano. La cercano. Per questo, pur trasformandosi in tutto e per tutto, mantengono l’apparato genitale femminile. Marco no. Quell’apparato voleva toglierlo. Non desiderava e non desidera quel figlio.
E allora: come se ne esce? Nel caso specifico io non avrei dubbi. Non dev’essere certo una creatura al quinto mese di vita a pagare le nostre peripezie di genere. Quindi quel bambino deve essere fatto nascere senza se e senza ma. Poi, se la sua mamma/papà non desidera averlo, basta che non lo riconosca. Rimane in ospedale e viene dato in adozione, come dice la legge (ah, se fosse più conosciuta e applicata questa legge: quanti aborti si potrebbero evitare?). Sperando, per altro, che venga dato in adozione a una mamma e a un papà che lo facciano crescere sereno e con modelli sessuali ben definiti. Di ciò che è successo prima del suo parto, il piccolo, per fortuna, non saprà mai nulla.
Ma il problema, caro nume tutelare alternativo, non è il caso specifico. Il problema che questa vicenda solleva, come dicevamo, purtroppo è più ampio e devastante. Riguarda il sovvertimento totale delle leggi di natura, che provocano un effetto inevitabile: la natura che si ribella. E allora il problema non è tanto uscire dal caso di Marco, ma uscire dalle follie del medico di Belgrado che dice che vuol far partorire gli uomini, impiantando utero e vagina al posto del pene. Uscire dalle follie dei medici (ne abbiamo anche in Italia, all’ospedale Careggi di Firenze) che dicono che già a tre anni i bambini soffrono di disforia di genere e devono essere accompagnati al cambiamento di sesso. Uscire dalle follie dei centri dove si cominciano a distribuire farmaci per impedire lo sviluppo della sessualità a ragazzini di 12 o 13 anni, come raccontato da Panorama con la cover story di due settimane fa.
Questo mi sembra il vero problema. Che ci siano forme di disturbi, come ci sono sempre stati, è inevitabile. Ma trasformare questi disturbi in un manifesto della nostra epoca, usarle per influenzare le persone più fragili organizzando esperimenti di massa sui bambini (com’è successo a Londra, con il centro Tavistock) o campagne di confusione sessuale, usando in modo diffuso e devastante, oltre che eticamente riprovevole, gli strumenti che la tecnica oggi ci offre, è una follia. Una follia in cui siamo immersi e di cui non ci rendiamo più conto. È contro natura. Perciò la natura, che è saggia, ogni tanto ci ricorda le sue leggi. Per darci un piccolo choc. E vedere se ci svegliamo.