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Obiettivo: rimettere il nostro debito

Obiettivo: rimettere il nostro debito

Quello italiano ha raggiunto i 2.700 miliardi di euro. Il Paese ha punti di forza, come la tenuta economica di privati e imprese. Ma bisogna fare attenzione.


Duemilasettecento miliardi di debito pubblico. L’anno scorso ne abbiamo pagati circa 70 di interessi, perché naturalmente chi presta soldi allo Stato lo fa per avere vantaggi: il primo è che ritiene – è evidente – che quei denari siano in mani buone; l’altro è che da quella cifra prestata vuole ricevere degli interessi. Su quest’ultimo motivo non c’è dubbio: lo Stato, a ogni scadenza, li deve riconoscere ai prestatori. Sulla prima ragione, l’affidabilità del creditore, qualche riflessione va fatta.

Per esempio, il termine credito viene dal latino creditum e dal verbo cre¯ de˘re che vuol dire «affidare» e rimanda a significati come buon nome, credibilità, pubblica stima, fiducia. È l’elemento principale della «tenuta» del debito pubblico. Quando si parla della fiducia dei mercati in Italia a questo ci si riferisce, alla sua affidabilità. Quel credito è in buone mani? I debitori sarebbero in grado di restituirlo? Il Paese è capace di resistere alle crisi economiche o si farà travolgere e con esso porterà a fondo tutti i creditori?

Ricordate la crisi Argentina del 2001, quando gli investitori esteri iniziarono a ritirare i loro capitali da quel Paese, e le interminabili e indimenticabili code dei cittadini agli sportelli bancari per riprendersi i propri soldi? Ecco, tutto ciò scaturì dalla perdita di fiducia che l’Argentina potesse risollevarsi dalla crisi economica, le cui radici risalivano agli anni Novanta, e ora mostrava la sua faccia più terrificante. Non c’è dubbio che Mario Draghi, da questo punto di vista, sia – a oggi – un punto di riferimento saldo per la credibilità internazionale. E dopo? Che tipo di «dopo» ci sarà? Con lui ancora presidente del Consiglio – l’unico tecnico che ci capisce di economia pubblica e di Europa – o presidente della Repubblica, oppure con uno dei nomi che circolano e fanno accapponare la pelle a noi, figuratevi agli investitori…

La seconda ragione riguarda un aspetto positivo del nostro debito pubblico. A differenza di qualche decennio fa, non troppo lontano, oggi la maggior parte del debito nazionale è in mano a famiglie, imprese e istituzioni bancarie e finanziarie italiane. Ora, come diceva Winston Churchill, il creditore non vuole mai la morte del debitore. Semmai avviene il contrario: nel secondo caso si tratta di una liberazione, nel primo caso di una fregatura totale. Se ciò vale sempre, vale ancora di più quando si tratta dei cittadini o delle istituzioni che abitano in una nazione dove conducono i loro affari. E questo è certamente è un punto di forza del debito italiano.

Anche la terza ragione rappresenta un punto a favore dell’Italia che, pur non essendo riconosciuto e contabilizzato dalle istituzioni europee – perché non conviene a Francia e Germania che comandano quelle istituzioni in barba agli interessi degli altri Paesi membri – il nostro debito nazionale complessivo, dato dalla somma di quello pubblico con quello dei privati, è largamente inferiore al loro. Questo vuol dire che a fronte di un debito pubblico evidentemente eccessivo, esorbitante, insopportabile, non c’è un debito delle famiglie e delle imprese e, quindi, il sistema economico complessivo ha una grossa debolezza ma anche un notevole motivo di forza. Se si sommassero i debiti pubblici e privati la nostra percentuale di debito sul Pil sarebbe inferiore a quella della Germania. Che non vuol dire poco, bensì molto.

Con tutto questo possiamo dormire tra quattro guanciali dei sonni tranquilli? Assolutamente no. Intanto perché il 2020, con i tassi di interesse al minimo, ci è costato circa 70 miliardi, un po’ di più della metà di ciò che spendiamo ogni anno per la sanità. Risorse sottratte ad altre possibili attività dello Stato perché sono spesa corrente, quella con cui vengono pagati i servizi, per esempio i ridicoli stipendi degli operatori Forze dell’ordine.

E poi perché più debito hai, più sei esposto alle tempeste finanziarie internazionali e, pur possedendo gli italiani i 2/3 del debito, questo non mette totalmente al riparo dalla possibilità di esserne coinvolti. Purtroppo c’è stato un lungo periodo in cui chi ci ha governato ha speso soldi pubblici più per accontentare questo e quello che per contribuire allo sviluppo economico del Paese o per alleviare la situazione dei più deboli (vedi le pensioni sociali o minime).

Questo però è il passato. Per il futuro sarà necessaria una riduzione molto graduale ma costante, e di tutto ciò ne riparleremo dopo il Covid. Ora non è tempo.

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