I canali per un’occupazione restano per lo più «informali». Ma un Paese civile ha il dovere di far incontrare domanda e offerta.
Come si trova lavoro in Italia? Attraverso i Centri per l’impiego inesistenti e mal funzionanti? Neanche per sogno. Attraverso altre istituzioni pubbliche che favoriscano l’incontro tra l’offerta, cioè di coloro che cercano un lavoro, e la domanda di lavoro, ossia le imprese che cercano addetti, operatori di diverso tipo per le loro attività produttive? Manco per l’anticamera del cervello. Si trova attraverso i cosiddetti canali informali – detti anche volgarmente raccomandazioni – e in particolare: per il 23 per cento grazie ad amici, parenti e conoscenti (espressione molto vaga come vago è il pantano che la caratterizza), il 18,2 per cento con un’autocandidatura, il 9,5 per cento tramite contatti nell’ambiente di lavoro, il 3 per cento attraverso un’attività autonoma, l’1,8 per cento con App, social network in genere (per dire quanto conta Internet per le cose veramente importanti: un’inezia, ma questo sarebbe un altro discorso).
Questi 4,6 milioni di posti di lavoro, il 56 per cento del totale vengono trovati così, con lo Stato totalmente assente, senza neanche ciò di cui si dice «tracce», cioè l’albumina nel sangue. Lo Stato non c’è per chi cerca lavoro. Non c’è, non c’è stato e vedremo se ci sarà come ha promesso la ministra del Lavoro, Marina Elvia Calderone. Senza nessun riferimento alla ministra nello specifico, ma il suo cognome, Calderone, è un’immagine che descrive esattamente la situazione in Italia fino a questo momento. Sta a lei e al governo sciogliere questa matassa e evitare a chi cerca lavoro di fare il giro delle sette chiese per mendicare un colloquio, un incontro. Eppure per il 58 per cento dei casi avviene in tal modo. Ce lo certifica una ricerca dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). All’interno della stessa ricerca si registra un 7 per cento di persone che non sanno o preferiscono non indicare la via attraverso cui hanno ottenuto un lavoro.
A fronte del citato confronto del 56 per cento di persone che si procura un impiego per canali informali, cioè senza nessuno aiuto da parte dello Stato, scopriamo una molto più esigua parte di persone che lo trova per i cosiddetti canali formali: in tutto raggiunge uno scarno 37 per cento di lavoratori. Nello specifico si tratta di: 10 per cento concorsi pubblici, 6,4 per cento agenzie per il lavoro, 5,8 per cento offerte su stampa, 5 per cento scuole e università, 4,2 per cento centri per l’impiego, 2,8 per cento società di selezione, 1,7 per cento stage e tirocini, 1,0 per cento sindacati. Io credo che i dati che il lettore ha qui sott’occhio bastino per decretare in modo definitivo alcune mancanze gravi, alcuni evidenti fallimenti, alcune grosse lacune, per esempio quell’1 per cento dei sindacati. È vero che il ruolo delle organizzazioni sindacali è divenuto ormai marginale, ma queste macchinone burocratiche svolgono comunque delle attività, hanno molto personale, sono distribuite su tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Soffermiamoci un attimo sui Centri per l’impiego che avrebbero dovuto essere il perno centrale di tutto il sistema di incontro tra domanda e offerta nel Paese. Ebbene, «navigator» compresi, sono riusciti a collocare in un posto di lavoro un irrilevante, assurdo e scandaloso 4,2 per cento. Tra l’altro, è il motivo per il quale si può affermare che il Reddito di cittadinanza non ha funzionato. Doveva fornire un aiuto temporaneo ai disoccupati (involontari) per poi ditribuire offerte di lavoro e reinserire i beneficiari del Reddito stesso nel mondo del lavoro. Doveva essere la finalità primaria perché, come ha ripetuto fino allo stremo il compianto Marco Biagi, ucciso per mano delle Br, «la prima forma di risposta al bisogno è il lavoro». Ed è anche la forma più dignitosa, non certo quella non incentivante al lavoro bensì assolutamente e solamente assistenzialistica del Reddito di cittadinanza che Beppe Grillo, recentemente, in una delle sue innumerevoli rivelazioni esoteriche, ha definito «un atto d’amore». E vabbè, è il solito Grillo che ormai non si fila più nessuno a partire da Giuseppe Conte.
Ora la ministra del Lavoro ha dichiarato che settembre sarà pronta la nuova piattaforma digitale per la ricerca di un impiego. Si consiglia vivamente di considerare gli oltre 2.500 comuni di montagna disconnessi, la massa enorme di cittadini, soprattutto dai 50 in su, che non hanno competenze digitali e tutte le zone d’Italia dove il segnale arriva in misura ridotta e spesso cade nel vivo della conversazione. Sennò a chi e a che cosa serve?