Home » Attualità » Opinioni » Elezioni regionali 2025, il centrodestra non sottovaluti il segnale

Elezioni regionali 2025, il centrodestra non sottovaluti il segnale

Elezioni regionali 2025, il centrodestra non sottovaluti il segnale

Il risultato di ieri non stupisce. Ma se a settembre la maggioranza si dividesse e perdesse Veneto e Marche, tirerebbe la volata all’opposizione. E nella primavera del 2026 si vota a Milano e Roma: vincere è possibile, però i candidati vanno scelti per tempo

Che il centrodestra rischiasse di perdere Genova si sapeva almeno dalla fine di ottobre dello scorso anno, cioè da quando si votò per decidere il presidente della Liguria. Infatti, la vittoria di Marco Bucci, sindaco per due mandati del capoluogo ligure, fu accompagnata da un dato sorprendente. Il governatore aveva battuto il candidato del centrosinistra nella zona di Imperia e della Spezia, ma non sotto la Lanterna. Nei carruggi, tra lui e l’ex ministro del Pd il distacco superò i settemila voti a favore del secondo, che peraltro non è neppure genovese ma spezzino. Insomma Genova, che è stata a lungo in mano a socialisti, comunisti e perfino in quelle di un marchese rosso come Marco Doria (pur se discendente di una nobile casata non esitò a iscriversi al partito di Nichi Vendola), con Silvia Salis è tornata alle origini, chiudendo la parentesi di una giunta moderata ed efficiente. 

Tuttavia, se anche non desta sorpresa il risultato in Liguria, così come non lo desta quello in Romagna, con la vittoria al primo turno del candidato progressista a Ravenna, qualche riflessione è comunque necessaria. Non tanto per darsi da fare in vista dei ballottaggi che si terranno fra due settimane a Taranto e Matera (e dove la sinistra è avanti), quanto perché a settembre si voterà in sei Regioni d’Italia e il centrodestra non pare avvantaggiato. Tornati dalle vacanze, gli italiani saranno chiamati a scegliere il governatore di Veneto, Marche, Campania, Toscana, Puglia e Valle d’Aosta. Lasciamo perdere la più piccola delle sei, dove vige lo Statuto speciale ed esistono alcune formazioni politiche locali. E accantoniamo anche Toscana, Puglia e Campania, dove da molti anni primeggia la sinistra e dove le speranze di mettere fine al predominio sono ridotte. Pensiamo piuttosto a Veneto e Marche, entrambe governate dal centrodestra. A parte un breve periodo tra il 1993 e il 1994, la Regione guidata da Luca Zaia non ha mai avuto un presidente che fosse espressione della sinistra. Il Doge, come lo chiamano a Palazzo Balbi, a Venezia è in carica da 15 anni. E prima di lui c’era il dimenticato Giancarlo Galan. Venticinque anni almeno sotto il segno dei moderati. Però adesso il monopolio vacilla, perché la sostituzione di Zaia, imposta dalla legge, rischia di mandare in pezzi la maggioranza di centrodestra. Non è ancora chiaro chi verrà candidato alla presidenza e se l’incarico toccherà a un leghista o a qualcuno del partito del premier. Al punto che non è esclusa la possibilità che il centrodestra si presenti con più nomi, uno per ogni partito che fa parte della coalizione, con Zaia a sorreggere un suo delfino per poter rientrare dalla finestra dopo essere uscito dalla porta. La vittoria non sembrerebbe in discussione perché a sinistra non hanno candidati credibili. Tuttavia, le certezze traballano.

Nelle Marche, un tempo feudo progressista, Francesco Acquaroli, esponente di Fratelli d’Italia, cerca la riconferma, ma l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, ora europarlamentare del Pd, punta a scalzarlo e si sta dando un gran da fare. In altre parole, la campagna per il rinnovo dei consigli regionali in sei Regioni parte male perché la sinistra, che è in campagna elettorale per il referendum dell’8 e 9 giugno, mira a strappare un successo per candidarsi a governare il Paese. Elly Schlein dicono che si senta elettrizzata e si prepari al 2027, con la speranza però di riuscire ad accorciare la legislatura, grazie a uno di quei tranelli che a Roma sono bravissimi ad allestire. Nel frattempo, dopo il voto sul Jobs act e quello per le Regioni, nella primavera del 2026 si terranno le elezioni a Milano e Roma, entrambe in mano alla sinistra. Riconquistarle sarebbe importante, ma per riuscirci non si potrà pensare certo all’ultimo minuto a chi candidare, come accaduto in passato. Soprattutto, non ci si può dividere, come successe nella Capitale quattro anni fa.

Dunque? Urge riflettere sulla sconfitta di Genova, non per fare mea culpa, ma almeno per preparare la vittoria alle regionali e alle prossime amministrative. Infatti, più si temporeggia e più si rischia.

© Riproduzione Riservata