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Chi raccoglie l’eredità politica di Silvio Berlusconi

Chi raccoglie l’eredità politica di Silvio Berlusconi

Anni fa, durante un pranzo, chiesi a Marina Berlusconi se davvero volesse entrare in politica. La risposta fu netta: «Mi chiamo Berlusconi, non Silvio Berlusconi». La figlia del Cavaliere intendeva che nessuno, neanche qualcuno che portasse il suo cognome, avrebbe potuto rimpiazzare il padre.


Può darsi che la presidente di Fininvest e Mondadori in passato avesse valutato la necessità di dover scendere in campo, ma solo come reazione a un temuto arresto del papà, dopo che questi, a seguito della condanna per i diritti tv, era stato privato dell’immunità parlamentare e dichiarato decaduto dalla carica di senatore della Repubblica. In effetti, lo stesso Cavaliere in quel periodo era preoccupato che questa fosse la fine che gli volevano far fare i suoi più acerrimi nemici, ossia alcuni magistrati e anche qualche oppositore. Fuori dal Parlamento, con la possibilità di essere arrestato senza neppure dover chiedere la preventiva autorizzazione alle Camere, il leader di Forza Italia era più fragile e anche una preda ambita. Per fortuna, nostra e sua, nessun pm si spinse a tanto: a prescindere da come la si pensi sul fondatore di Forza Italia, l’idea di un ex presidente del Consiglio dietro le sbarre sarebbe stata devastante. Per lui innanzitutto, ma anche per il Paese, e non solo per questioni d’immagine, ma anche di sostanza. Come si è visto ai funerali e si registra ancora oggi a distanza di settimane dalla sua scomparsa, la leadership esercitata da Berlusconi dopo trent’anni di vita politica resta forte.

Tornando alla primogenita del Cavaliere, credo davvero che se fosse capitato qualcosa al padre, come ad esempio un arresto, lei nonostante fosse ben conscia delle differenze, avrebbe accettato il sacrificio di candidarsi per difenderlo e impedire che il suo capitale politico fosse disperso. Ma, come dicevo, il Cav sebbene per un certo periodo sia stato messo ai domiciliari e condannato ai servizi sociali, non ha conosciuto l’onta delle sbarre e dunque Marina Berlusconi non è stata costretta al grande passo.

Ovviamente, si può sempre cambiare idea e dunque quel «no» pronunciato anni fa potrebbe oggi essere un «sì», e magari in memoria del padre la figlia maggiore del Cavaliere potrebbe decidere di raccoglierne l’eredità politica. Tuttavia, io credo che non ci sarà nessuna Dynasty o Succession, per citare le serie tv sulle saghe familiari che tanto piacciono alla stampa di casa nostra.

Marina Berlusconi resterà a fare quel che sa fare, così come Pier Silvio, Luigi e le sorelle Barbara ed Eleonora. Un po’ perché nessuno dei cinque fratelli, nemmeno Marina che è più solita rilasciare interviste che sfiorano temi politici, mi pare interessato davvero alla politica. E un po’ perché per guidare un partito, anzi una coalizione come fece il padre, serve un carisma politico che non si può lasciare in eredità come una villa o una partecipazione azionaria. Certo, il nome aiuta a farsi conoscere, ma poi c’è bisogno di quel qualcosa in più che il Cavaliere chiamava «quid» e che non trovò in nessuno dei vari delfini che abbiamo visto sfilare in trent’anni.

Lo so, a giornali e tv che per decenni hanno campato con la storia di un leader dato per finito una quantità di volte e sempre risorto, solletica l’idea che ci sia un sequel anche dopo la sua morte e che il testimone venga raccolto da uno dei figli. Ma questa non è una soap opera e dunque credo che rimarranno delusi. Marina, Pier Silvio e i fratelli cercheranno di aiutare Forza Italia, perché il capitale politico del padre non si estingua in liti fra correnti di partito e per naturale consunzione, ma nessuno di loro succederà al papà. Perché, come mi disse Marina anni fa, con estremo realismo, «sono Berlusconi, non Silvio Berlusconi».

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