Tutto è iniziato con un blog autoironico sul ruolo delle madri rispetto ai figli adolescenti. Ora, Francesca Fiore e Sarah Malnerich, contattate da Meta di Mark Zuckerberg, aiutano altri genitori a capire gli utilizzi sbagliati dei social.
Se per Sofocle i figli sono le ancore della vita di una madre, Francesca Fiore e Sarah Malnerich sono state le prime ad avere avuto il coraggio di dire che i figli più che ancore sono piombi di metallo pesante, anzi pesantissimo. Le celebri blogger, creatrici del seguitissimo @mammadimerda, guru della genitorialità tutt’altro che infallibile, sono state scelte da Meta (società cui fanno capo Facebook, Instagram e Whatsapp) come ambasciatrici di un importante progetto: aiutare i genitori a capire il rapporto che i figli hanno con i social. «Con Meta cerchiamo di far comprendere alle altre madri quali sono le problematiche, i disagi, gli eventuali usi sbagliati della piattaforma» raccontano.
Le indomite e dissacranti scrittrici, che del leitmotiv (poi libro di successo) Il non farcela come stile di vita hanno fatto un mantra vincente, in un mondo di genitrici per antonomasia infallibili hanno sdoganato l’idea che la maternità non è sinonimo di perfezione e pargoli da pubblicità. Tutt’altro. È una faticaccia mostruosa. «Nel 2016, quando abbiamo aperto il blog, ci sentivamo sole nella narrazione beatificata della genitorialità. Spesso intorno a noi si levava un coro di biasimo. Oggi tutto è cambiato» ricorda Fiore. Si sono aperte le cataratte, migliaia di donne che le seguono hanno confessato di sentirsi inadeguate, raccontato difficoltà, solitudine, il lato oscuro della maternità. E il lato oscuro è anche non capirci nulla dei pargoli.
«Meta ha sempre investito per la sicurezza e il benessere dei ragazzi, sviluppando oltre 30 strumenti per tutelare i più giovani sulle piattaforme, soprattutto Instagram. Noi parliamo ai genitori, perché moltissimi non conoscono neanche l’esistenza di questi strumenti di supervisione» prosegue. Così da «mammadimerda» a «mammadimeta» è stato un attimo. «I social sono creati a misura degli adolescenti, vanno conosciuti, non demonizzati. Le famiglie devono smettere di pensare che siano il male assoluto» precisa Malnerich. Insieme al progetto, stanno portando in tour per l’Italia fino a settembre una pièce teatrale dove si parla anche di questo (Uno spettacolo esecrabile al sole, sempre sold out, a Roma il 19 e 20 settembre). «Per capire e controllare i nostri figli su Instagram la prima cosa da fare è dialogare. Parlare è la base di tutto. Devi conquistarti la fiducia anche nella loro vita virtuale. Non puoi obbligarli, ti devono dare il consenso, altrimenti non si può attivare nessuna funzione di supervisione» precisa.
Attivare una sorveglianza sui social è fondamentale per capire in quali pericoli possono ingenuamente incappare: «Non si potranno leggere i messaggi privati, è giusto che ci sia privacy, ma avremo un minimo di contezza di ciò che succede intorno ai nostri figli. Se un adulto gli chiede l’amicizia, se lui o lei blocca qualcuno. Almeno si ha un’avvisaglia che qualcosa non va» afferma Fiore. Da «Prenditi una pausa» alla possibilità di nascondere il numero di «Mi piace», che scatena solo paragoni crudeli e competizioni, spingendo a postare foto ammiccanti per ottenere sempre più pubblico, fino al profilo privato automatico per tutti i minorenni che si iscrivono. «Per evitare che i ragazzi si imbattano in contatti indesiderati, all’iscrizione il loro account viene impostato automaticamente come privato, così possono controllare chi vede e interagisce con i contenuti. È un modo per farli nuotare in uno stagno e non subito in mare aperto» confermano entrambe.
E poi la funzione più recente e importante: la verifica dell’età. «Possono iscriversi su Instagram dai 13 anni in su, ma tutti sappiamo che lo fanno molto prima. Meta ha messo a punto un sistema per verificare l’età. Quando un adolescente prova a modificarla su Instagram, da minorenne a maggiorenne, viene chiesto di caricare un video selfie o un documento d’identità. Questo consente di offrire ai più giovani un’esperienza adatta. Certo, se un genitore avalla il profilo del figlio 12enne non si può intervenire».
Gli adolescenti sono una generazione complessa, difficile da decifrare, apatici e velocissimi insieme: «Anche noi da “boomerissime” ci siamo rese conto di essere profondamente ignoranti. I nostri figli volano non corrono. Sono nativi digitali. Mia figlia in seconda elementare mi ha chiesto perché mai dovrebbe sforzarsi di scrivere quando ormai c’è il computer» dice Manerich. Sua figlia ha otto anni e da tempo ha abbandonato gli unicorni per gli YouTuber. Francesca ha una tredicenne pronta a scattare ai nastri di partenza e una bambina di 11 anni «che si sente adolescente da quando ne ha due».
Sul sito mammadimeta.it c’è la prima guida-breviario a Instagram per genitori e istruttori, mentre Meta ha creato un Family Center (www.familycenter.meta.com) dove rivolgersi per qualsiasi dubbio. «L’esperienza con i social va vissuta, capita e discussa insieme. C’è bisogno di un’educazione digitale anche a scuola, oltre a quella sesso-affettiva. Ormai è chiaro a tutti che non si possono separare». Questi strumenti di supervisione permettono di vedere quanto tempo l’adolescente trascorre su Instagram, impostare un limite e pause programmate, ricevere notifiche su segnalazioni che desidera condividere e account che decide di bloccare o silenziare. «Il progetto si amplierà e noi continueremo a comunicarlo al maggior numero di genitori. Invece di autoflagellarsi con il cilicio qualche volta dovremmo farci una carezza: siamo la prima generazione di mamme che si mette in discussione, si fa domande, ammette di avere sbagliato. Prima volavano solo gli schiaffi». O quelle belle ciabatte svedesi di legno, ora tornate di gran moda, che lanciate alla Babe Ruth colpivano sempre inesorabilmente l’obiettivo.