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Il Battiato artista che pochi conoscono

Il Battiato artista che pochi conoscono

Sicuramente, un grande musicista. Ma da questa prima espressione, l’artista si è messo in viaggio cercando suggestioni e risposte in altre forme di creatività. Straordinarie, da pittore neobizantino, le sue tele dal fondo oro. Opere che comunicano un’intensa tensione mistica verso altri spazi, altre dimensioni.


Ho avuto con Franco Battiato un lungo rapporto a distanza. Per anni, favorito dalle incursioni di mia sorella Elisabetta, l’ho incontrato, ho dialogato con lui, ne ho apprezzato il libero pensiero; ma una parte di Battiato è sempre rimasta per me misteriosa. La visione filosofica che ispira le sue canzoni e le sue opere richiede un’attitudine spirituale, metafisica, che mi è estranea. Non so dire se sono ateo, perché non lo so neppure io, però ho una visione aristotelica, razionalistica, legata alla realtà che vedo. Battiato invece aveva un’aura di sacralità, una dimensione sacerdotale di cui avevo grande rispetto, pur essendo lui una persona che mostrava una confidenza e una simpatia immediate, di natura istintiva. Con questo rispetto, e da questa prudente distanza, ho capito che Battiato era un artista assolutamente autentico, e lo è tutt’ora perché l’opera dei grandi è immortale, sopravanza la loro esistenza terrena. Un artista che entrava nella verità profonda nelle cose, il contrario del manierismo: rendeva vere, autentiche, anche le questioni più distanti dalla vita delle persone: l’assoluto, il divino, la vita ultraterrena.

Lui abitava in un mondo che non è quello in cui vivo io, così che lui attraversava la mia vita, ogni volta, come un’apparizione. Con questo dico che mi univa a Franco Battiato un formidabile sentimento dell’unità delle arti. Battiato è stato un pittore molto sensibile, era molto attento al teatro e all’opera, al cinema. Anche Pasolini, che Battiato guardava con attenzione, si esprimeva su tasti diversi, non era soltanto un poeta. La prova della sua versatilità è il fatto che esca dal campo della canzone leggera dei suoi anni per stabilire un rapporto stretto e quasi fraterno con Manlio Sgalambro. Battiato era, ed è ancora, filosofia, teatro, musica, pittura, uniti a una curiosità potente ed estesa. Cantare era forse il modo più diretto per far conoscere meglio la struttura molto articolata del suo pensiero.

Anche come pittore Battiato è fedele a una concezione mitopoietica del creare. Guardiamo alla storia delle arti: la musica è la prima forma di espressione della creatività, la parola arriva molto più tardi. La danza è successiva alla musica, nel senso che il corpo si muove in sintonia con i rumori della natura. Se dovessimo fare una genealogia delle arti partiremmo dalla musica, seguita dalla danza, e poi, quindicimila anni fa, in luoghi probabilmente conosciuti da Battiato, alcuni uomini, cacciatori o cos’altro fossero, hanno disegnato nelle grotte dell’Akakus in Libia, o in Spagna o in Francia, meravigliose immagini di animali, di bisonti, che venivano fermati sulla pietra. La pittura ha una storia più recente. La parola poi, intesa come lingua narrativa, è modernissima, ha solo 3.500 anni, i poeti più importanti non hanno più di tremila anni. Per una persona curiosa come Battiato, esercitarsi nella pittura era un modo per partecipare di una delle più antiche forme di comunicazione delle emozioni.

Nelle sue tavole ha spesso scelto il fondo oro, che è il riferimento più diretto alla religione, uno stile antico che ci arriva dal mondo bizantino. È l’idea che l’oggetto possiede una sacralità, non è un’immagine che sta nella natura, come saranno i paesaggi e le storie raccontate con la prospettiva, dalla seconda metà del Quattrocento in avanti. Battiato attraverso il fondo oro intende che una rosa, un volto, un qualunque oggetto che sceglie di rappresentare è sacro. In quel colore comunica la fede, la religione, la spiritualità che gli sono proprie. Quanto ho visto le sue opere ho visto un pittore neobizantino, una miscela fra un pittore orientale del Duecento, forse anche più antico, e Piet Mondrian. Così come ci fa incontrare Igor Stravinskij, oggi, sulla Prospettiva Nevskij, Battiato mette insieme il più estremo dei pittori astratti, appunto Mondrian, che è tutto ragione, intelligenza, ma anche misticismo, e la proiezione di uno spazio divino che è il fondo oro dell’arte bizantina. L’artista che gli assomiglia di più ha fatto lo stesso percorso, è un russo che veniva da una tradizione religiosa: Vasilij Kandinskij. Nonostante non ci sia un’affinità morfologica tra di loro, in Kandinskij c’è un percorso che va dallo spirituale nell’arte, con il Cavaliere azzurro e il figurativo, fino all’astrazione, che è un cammino che mi pare di poter recuperare nella produzione di Battiato.

Tutto questo rientra in quella dimensione dell’assoluto che ci divide. Io sento nostalgia dell’assoluto ma ho coscienza della mia natura di relativo. Lui invece aveva l’aspirazione e la convinzione dell’assoluto. L’assoluto è nei suoi testi, nella sua musica, ed è anche nella sua pittura con i fondi oro, in questo Oriente conquistato. La ricerca dell’assoluto richiede la certezza di Dio. Non so a quale Dio credesse lui, non mi pare che corrisponda perfettamente al Dio cristiano. A me pare già molto credere nell’umanità di Cristo, che mi sembra la più alta forma di divinità che abbia espresso un Dio: essere uomo è la massima manifestazione di divinità che un Dio può esprimere, ma questo è certamente un Dio molto diverso da quello di Franco Battiato.

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