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Fermiamo la fuga dei medici di base

Fermiamo la fuga dei medici di base

Al concorso per medici di base, a Roma, c’erano 531 posti disponibili. Si sono presentati solo 104 candidati. È la sanità pubblica la vera emergenza.


In tutte le questioni, anche in quelle politiche, per provare a risolverle occorre trovare il bandolo della matassa, cioè cercare un baricentro da cui prendere le mosse per riformare il sistema di cui ci stiamo occupando. Per quanto riguarda la salute e la sanità, a mio avviso, non possiamo che ripartire dai medici di base o di famiglia. Questa figura ha attraversato tutto il Novecento della sanità italiana ed è stato il riferimento per i cittadini riguardo alla propria salute. Una volta si chiamava medico condotto e aveva sotto di sé una porzione di territorio e un numero prestabilito di pazienti. Perché in questa modalità ha funzionato egregiamente per molti anni, anzi per molti decenni?

Se vogliamo prenderla un po’ dall’alto, la risposta è la seguente: perché la cura della salute è primariamente un fatto di contatto umano, di umanità, e questo tipo di professionisti, nella grande maggioranza dei casi, la assicuravano. Le famiglie sapevano che c’era un punto di riferimento vicino – spesso i medici di famiglia visitavano il malato a casa – era frequente vedere arrivare il medico con la sua tipica borsa di pelle anche all’ora di cena e, a volte, anche dopo perché prima era stato in ambulatorio e poi aveva fatto il cosiddetto «giro dei malati»: la visita a casa. A pensarci ora sembra una cosa impossibile. In certe ore del giorno e della notte l’unica alternativa è recarsi al Pronto soccorso, altro che visita a domicilio. Qui non stiamo facendo una critica ai medici di famiglia di oggi che, tra l’altro, sono sempre più in fuga da questo ruolo così come quelli del Pronto soccorso, è piuttosto la presa d’atto di una situazione che è sotto i nostri occhi. E non è neanche un caso che scappino dal Sistema sanitario i medici di base e quelli dell’emergenza: i secondi sono divenuti, in un certo senso, i medici di famiglia o, meglio, i loro supplenti.

Capite che è un sistema completamente sbagliato perché delega all’ospedale quelle funzioni che devono essere precedentemente svolte da una figura intermedia importantissima, il medico di medicina generale appunto, che sta tra l’ospedale e il paziente. In questo modo il paziente non si sente abbandonato, allo stesso tempo, gli ospedali e i reparti di prima emergenza verrebbero, verosimilmente, decongestionati. Sembrano ragionamenti talmente semplici da rasentare la banalità; invece hanno caratterizzato a lungo il Sistema sanitario italiano finché in molti hanno deciso praticamente di smantellarlo. I medici di famiglia, adeguatamente preparati per il loro ruolo, spesso risolvevano casi senza passare dalla struttura ospedaliera. Erano abituati a un’analisi completa del malato, non erano visite frettolose, erano visite mediche umane. I pazienti davanti a sé non avevano né un computer, né un cellulare ma una persona in carne e ossa che era lì per occuparsi della loro salute. Non c’era spersonalizzazione, non c’era una tecnologia difficile e spesso disumanizzante. C’è poco da girarci intorno: in conclusione, i pazienti devono avere uomini e donne di fronte a sé, che si occupino di loro.

Pensate alle zone di montagna, dove le abitazioni non sono molte e per raggiungere il primo ospedale occorre fare chilometri e chilometri: qual è la soluzione se non il medico di famiglia? Ma pensate anche ad alcune periferie urbane dai tratti disumanizzanti delle nostre metropoli, dalle quali per raggiungere gli ospedali occorre prendere mezzi su mezzi, anche per coloro che si muovono e deambulano con difficoltà. Qual è la soluzione, ripeto, se non il medico di famiglia? Pensate che a Roma sono rimasti solo 1.982 medici di base. Nulla. L’ultimo bando è stato un flop assoluto. Si sono presentati 104 candidati per 531 posti (nei concorsi pubblici, di solito, succede l’esatto contrario). E ogni anno vanno calando. Sarà sempre peggio perché le condizioni economiche e anche strutturali che legano il medico di famiglia al Servizio sanitario nazionale andrebbero completamente riviste, partendo dalla convinzione che questa figura professionale è centrale nel sistema e non marginale.

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