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Generazione Z, i figli indesiderati di Xi Jinping

Generazione Z, i figli indesiderati di Xi Jinping

Vivono di cellulare e acquisti compulsivi, amano le boy band, si lasciano influenzare dagli stili di vita occidentali e hanno un linguaggio tutto loro. I giovani cinesi vivono in modo inaccettabile, secondo il potere di Pechino. Che sta mettendo in atto una stretta in nome di sobrietà e nuovo pensiero socialista.


Da capo di una potenza dilagante, le sfide certo non mancano al presidente cinese Xi Jinping. Eppure c’è una questione interna che rischia di spezzare l’impassibile espressione sul suo volto: i giovani vogliono fare come gli pare. Le nuove generazioni cresciute nel benessere sembrano infischiarsene di precetti, ideologie e dettami, e pur vivendo sotto un regime che sa essere crudele, deragliano dall’immagine del buon cinese tanto cara dalle parti di Zhongnanhai, il quartiere di Pechino dove hanno sede il Partito comunista e il governo della Repubblica popolare.

Il «disallineamento» tra le scarlatte stanze della politica e il lifestyle giovanile non era del tutto chiaro finché, storia delle ultime settimane, non sono piovuti provvedimenti «correttivi» che coinvolgono soprattutto la Generazione Z, cioè i nati nella seconda metà degli Anni Novanta.

L’ultimo è di pochi giorni fa: una direttiva che inibisce la visione sui social e in tv di «idoli effeminati e altre deformazioni estetiche». Nel mirino le boy band dal successo travolgente e dai molti emuli (come gli Uniq, i Super Junior-M, gli Exo-M) che pongono estrema attenzione a moda, a make-up per sbiancare la pelle e ispessire le sopracciglia, a movenze poco marziali che avrebbero contribuito a diffondere messaggi troppo distanti dagli stilemi del patriottismo guerriero narrato dal Dragone.

Insieme agli «effeminati» (il termine usato è il dispregiativo «niangpao», ovvero pistole da femminuccia), la mannaia è calata sui personaggi famosi che ostentano la bella vita. I regolatori cinesi hanno chiesto a tutti i media di «resistere risolutamente alle eccessive dimostrazioni di ricchezza e divertimento, a dare risalto al gossip e alle faccende private, a trattare argomenti negativi, a parlare di volgari celebrità di internet».

Sotto accusa, tra l’altro, i reality show con format sudcoreani o britannici, importati in Cina per divertire un pubblico giovanissimo. Le trasmissioni più note si chiamano Youth with You e Produce 101 (poi chiuso). Una manciata di perfetti sconosciuti vengono assemblati in gruppi musicali e trasformati in star da milioni di fan. Format simile ai nostrani Amici o XFactor, ma con un quoziente idolatria sconosciuto a queste latitudini e inaccettabile per Pechino. Al loro posto, si suggerisce una lista di 24 programmi, più sobri, molti dei quali sulla vita e sul pensiero di Xi Jinping.

Gli «idoli pagani» vanno affossati, dunque, e le celebrities finiscono nella polvere con accuse variegate. Solo nell’ultimo mese l’attrice Zheng Shuang è stata multata per 46 milioni di dollari per evasione fiscale, mentre un’altra famosa interprete, Zhao Wei, è stata cancellata da social media e piattaforme streaming causa false dichiarazioni fiscali. Ma era, da prima, nella lista nera dell’Associazione dei giovani comunisti per aver coinvolto in un suo film un attore già «attenzionato» per il supporto al separatismo taiwanese.

Altra recente campagna di Pechino per raddrizzare i giovani è quella contro lo slang. I ragazzi usano termini «nuovi» per differenziarsi dagli adulti ma anche per sfuggire a uno Stato «grande fratello». Così capita che si creino neologismi unendo le iniziali di termini cinesi scritti in alfabeto latino anziché in ideogrammi. Per esempio «yyds» combina le iniziali della pronuncia cinese di «Dio per sempre» ed è usato per esclamare «figo». Ingegnosità viste male dalla vecchia guardia. L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua l’ha stigmatizzato come «disordine verbale» perché meme, simboli e abbreviazioni negherebbero l’espressione dei propri sentimenti. Il portale web di intrattenimento e commenti più usato dalla Generazione Z, Bilibili, ha comunicato che caccerà via chiunque usi le abbreviazioni in caratteri latini.

Il governo ormai prova a cambiare la vita dei ragazzini in tutti i modi, fin dai primi anni di età. Sono stati vietati i corsi doposcuola per non stressare troppo i piccoli (e per tagliare fuori i professori privati, spesso occidentali). Il ministro dell’Istruzione Chen Baosheng ha chiesto di fare più sport nelle classi per «prevenire la femminilizzazione dei maschi» e ha disposto che dalle elementari all’università – con livelli crescenti di difficoltà – si studino anche libri di testo sull’ideologia del presidente Xi Jinping, che sulle pagine dei più piccoli viene chiamato «Nonno Xi».

È una vera riforma dell’educazione patriottica, e non ammette distrazioni. Così da giugno una nuova legge sulla protezione dei minori chiede ai social network di imporre limiti a tempi e modi di utilizzo. Non è un caso se pochi giorni fa ByteDance, proprietaria di TikTok (che in Cina si chiama Douyin e ha 500 milioni di utenti), agli under 14 ha ridotto l’accesso a soli 40 minuti al giorno, mai tra le 22 e le 6 del mattino.

E già si era molto parlato della decisione di porre un tetto al consumo di videogiochi per i minori di 18 anni: non più di un’ora al giorno, solo nel weekend. Un rinsavimento forzato che ha lo scopo, dice una nota dell’Ente nazionale cinese per la stampa, di «proteggere la salute fisica e mentale dei minori» e di «creare un ambiente di crescita sano».

Ma l’offensiva «contro» le giovani generazioni va inquadrata in un fenomeno più ampio. Qualcuno l’ha chiamato «neoRivoluzione culturale», riferendosi alla sanguinosa svolta imposta da Mao Zedong nel 1966. Oggi non è così violenta, ma certo il cambiamento è in atto, ed è voluto dal presidente Xi Jinping. La sua crociata per rimodellare la società in base alla dottrina «Socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era» ha già investito il settore economico, che sta sterzando verso un modello di sviluppo con meno libera impresa e più mercato interno, «reprimendo» importanti aziende del settore privato e relativi tycoon.

In questo scenario serve guidare i giovani verso un solido patriottismo. Solo che loro non sono più quelli che quarant’anni fa si spaccavano le mani a girar zolle nei campi, senza conoscere altro. Oggi la Generazione Z – il 15% della popolazione cinese, 210 milioni di persone – ha un benessere diffuso, con uno stile di vita da «villaggio globale» a trazione occidentale. Un’analisi della società di consulenza McKinsey spiega che «la loro infanzia ha coinciso con la più rapida espansione economica della storia. E sono anche i primi nativi digitali, a loro agio con tecnologie che usano per divertirsi, connettersi e acquistare».

Generalizzando, spendono e spandono al punto da autodefinirsi «clan dei chiari di luna», avendo la propensione a dilapidare entro la fine del mese quanto guadagnano, convinti di un futuro più prospero. Seguono i trend, si lasciano ispirare da Kols, Key opinion leaders, come Mia Kong e Fil Xiaobai. E dal cellulare all’acquisto è un attimo.

Una ricerca della pubblicazione online Vogue Business stima che il 30% delle spese fatte in Cina sia dovuto a loro. In particolare amano il lusso: il 79% dei prodotti alta gamma è comprato da chi ha meno di 40 anni. Jing Daily, la più importante pubblicazione digitale sulle tendenze nei consumi cinesi, spiega che la «Gen Z» è un prodotto della politica del figlio unico obbligatorio, attiva fino al 2013. I genitori si sono sfiniti di lavoro concentrando sui figli l’improvviso benessere, ma anche chiedendo loro di essere super-competitivi. Le conseguenze su molti di questi ragazzi sarebbero stati stress e ansia.

Così qualcuno cade in uno stato di rifiuto totale definito «tangping» (sdraiati a terra), altri scelgono la via del disimpegno consumistico. E si fanno pochissimi figli, mentre spopolano i felini come animali da compagnia (il 38% dei proprietari di gatti è nato tra il 1990 e il 1999). Piuttosto, spiega ancora Jing Daily, preferiscono intrattenersi con leggeri programmi tv, social network, videogiochi, shoppertainment (acquisti di impulso influenzati dai social media): tutte fonti di svago oggi finite nella morsa di Pechino. Anche se con effetti incerti.

Forse dai piani alti di Zhongnanhai non rimane che guardare a chi è nato dopo il 2010, la cosiddetta Generazione Alfa. Anche loro sono soprattutto figli unici (una scelta di molte coppie anche se non c’è più divieto), ma crescono in un benessere consolidato. La famiglia li vorrebbe studenti agguerriti, soprattutto nelle materie scientifiche, ma le distrazioni tecnologiche per questi bambini sono massime. Durante i lockdown, avrebbero passato una media di quattro ore e 36 minuti al giorno sui vari device. Questo finché non sono arrivati gli «editti» della Nuova rivoluzione culturale, insieme ai libri con il nuovo pensiero socialista e altri svariati correttivi. Chissà se almeno loro assimileranno l’idea nazionalistica di un Dragone che guardi dall’alto in basso un mondo libero e futile, orgogliosamente smarcati dall’esterofilia, dal cupio dissolvi tecnologico, dalle mossette delle boy band. E come unica icona, nonno Xi.

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