Un’attitudine unica alla scoperta e all’osservazione. Nell’Ottocento Giovanni Cavalcaselle ha studiato il patrimonio pittorico, documentandolo con disegni straordinari. Da fondatore della «conservazione dei monumenti» ha dato al Paese la coscienza della sua bellezza. Un nuovo libro lo racconta.
E’ difficile credere che la formidabile capacità di riconoscere gli autori e i dipinti antichi di Giovanni Battista Cavalcaselle potesse prescindere dall’uso della fotografia. Quando nel 1847, a 28 anni il grande conoscitore parte per un viaggio d’istruzione, la fotografia era agli albori: deve ancora nascere l’azienda dei fratelli Alinari (1852) e occorre attendere fino al 1880 per l’introduzione di apparecchi fotografici portatili. Le armi di Cavalcaselle sono la matita, la penna e i taccuini. Dopo gli studi di Donata Levi molte cose ci chiarisce ora Giovanni Mazzaferro nel libro Il giovane Cavalcaselle (Leo S. Olschki editore). La ricerca, molto puntigliosa, intende restituirci metodo e passione de «il più curioso, il più intrepido, il più appassionato di tutti gli affamati di pittura» come lo definisce lo storico dell’arte Otto Mündler, in viaggio a Parigi con Johann David Passavant, illustre pittore e studioso tedesco che conobbe e ammirò il giovane studioso italiano. Questa sensazione di ansia febbrile della conoscenza è propria di molti storici dell’arte rispetto ai più distaccati e pensoso letterati: perché lo storico dell’arte, di cui Cavalcaselle è il prototipo, è soprattutto un viaggiatore. È spinto dall’ansia di vedere.
Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia Cavalcaselle iniziò a vedere case, chiese e musei di Venezia, Milano e Firenze, seguendo l’amico pistoiese Emilio Burci che aveva esperienza e dimestichezza con le gallerie fiorentine e che gli era guida e ispiratore di curiosità. Che l’esperienza delle opere d’arte non fosse per Cavalcaselle una avventura solitaria, come spesso accade agli studiosi, ma il frutto di un dialogo con anime sensibili, è provato dall’incontro a Monaco con Joseph Archer Crowe che con lui pubblicò Early Flemish Painter (1856), seguito da New History of Painting in Italy (1864). Con l’avvio del Risorgimento, dal 1857 al 1861, Cavalcaselle decise di tornare in Italia, incaricato da Eastlake, dall’editore John Murray III di Londra e da Austen Henry Layard di svolgere ricerche per un’edizione critica delle Vite di Giorgio Vasari. Ma, per la difficoltà di organizzare l’immensa mole di materiali raccolti, il progetto del commento vasariano si rivelò inattuabile.
Nel 1861, assieme a Giovanni Morelli, dal ministero della Pubblica istruzione Cavalcaselle ebbe l’incarico di realizzare il catalogo delle opere d’arte di proprietà ecclesiastica nell’Umbria e nelle Marche, per definire la situazione del patrimonio artistico della neonata nazione e per ostacolare l’alienazione dei beni. Grazie al suo inventario fu unanimemente riconosciuto il maggiore esperto della storia dell’Arte dell’antico Ducato d’Urbino e dello Stato Pontificio. Alcune sue indicazioni servono a comprendere come si studiano i dipinti per arrivare a riconoscerli: «Per ben comprendere le scuole degli antichi maestri, da cui tanti vantaggi può ripromettersi l’arte moderna, è assolutamente necessario che nelle nostre gallerie le opere siano poste in ordine storico e cronologico che oggi manca più o meno in tutte. Solo quando siano a questo modo formate nelle singole gallerie le rispettive scuole degli antichi maestri, si potrà conoscere come una scuola ha incominciato, come è cresciuta e si è alzata alla sua maggior grandezza; per mezzo di quali maestri ciò è avvenuto, ed in che consistono i meriti loro; (…) e, passando al confronto delle scuole italiane colle forestiere, vedere l’influenza che hanno esercitata, e quale ricevuta, come si farebbe per esempio volendo trattare del perfezionamento del colorire ad olio, il quale condurrebbe ad occuparci dei rapporti tra la scuola fiamminga di Bruges e la veneziana, e quindi dell’influenza della prima su questa per mezzo del nostro Antonello da Messina».
Mazzaferro tenta di spiegare l’inspiegabile per il prodigioso talento mnemotecnico dello studioso. L’avventura di Cavalcaselle è nel tentare di riprodurre con il disegno il processo intellettuale dell’artista. Attraverso questa «rigenerazione» si riconoscono gli stili e le forme. Oggi tutto questo avviene attraverso fotografie, in processi riproduttivi sempre più complicati e perfezionati, ma l’occhio va tenuto allenato con una febbrile e costante attività comparativa. In tal senso l’interesse di Cavalcaselle andava direttamente ai valori formali delle opere. E in questo l’indagine meticolosa che egli sviluppava con il disegno e l’analisi grafica dei particolari erano lo strumento essenziale della sua penetrazione critica nello stile dei pittori. Giustamente annota Lino Moretti: «Il suo metodo era empirico e si fondava sulla percezione acuta delle distinzioni di stile da cogliere in tutte le parti dell’opera; metodo estraneo al tentativo del Morelli di razionalizzare la tecnica del conoscitore con la nota dottrina per la quale l’individualità dell’autore si manifesta in quei particolari, dove lo sforzo artistico è più debole, e perciò la forma è meno elaborata e più rispondente all’istinto inconscio».
La concezione risorgimentale trova in Cavalcaselle un eminente esponente; entrambi gli aspetti fondamentali della sua attività – storico dell’arte e conservatore per la difesa del patrimonio artistico nazionale – trovano ispirazione nella sua consapevolezza della identità nazionale dell’arte italiana. Nel suo saggio del 1863 sulla Conservazione dei monumenti ed oggetti d’arte scrive: «L’arte di una nazione non può essere la stessa di quella di un’altra, come l’italiana non fu la greca, perché l’arte non esprime che i bisogni del tempo ed i caratteri del popolo in mezzo al quale è nata e vive, altrimenti è un’arte convenzionale, fattizia, arte senza vita… Per avere un’arte dunque non bastano gli insegnamenti, ma conviene che essa sia sentita nel Paese, sia, per così dire, un bisogno, un’emanazione del sentimento nazionale stesso; ispirazione d’una grande idea, d’un grande principio che le dia vita o moto…». Nobili pensieri, di cui occorre avere piena coscienza. Perché la difesa dell’arte del passato si colloca in una visione di restaurazione del principio di unità e continuità della vita e della tradizione nazionale; e si attua con un’azione legislativa, per impedire le esportazioni delle opere d’arte più significative, come era avvenuto e sarebbe stato anche dopo di lui, anche grazie alla spregiudicatezza di Bernard Berenson, e di molti mercanti fiorentini e romani.
In questa ansia Cavalcaselle si contrapponeva alla visione pseudo-liberistica, in materia di svendita all’estero, dei governanti del tempo e di storici dell’arte insensibili al problema, come il Morelli e altri. Parallelamente occorre «provvedere alla conservazione delle opere antiche, col riordinare le gallerie, col dimostrare le scuole degli antichi nostri maestri per mezzo delle opere, non che colla ricerca dei documenti atti a correggere i molti errori che s’incontrano, anche nella storia dell’arte». Queste parole di apertura del saggio citato sono l’indicazione del moderno concetto del Cavalcaselle sull’organizzazione dell’amministrazione delle Belle Arti, da lui ispirata, in cui la storia dell’arte ha la stessa funzione della storia della letteratura nella visione che Francesco De Sanctis, allora ministro della Pubblica istruzione, ha dell’educazione nazionale. Spiriti concordi in campi diversi, in un’unanime concezione filologica. È rivelante che, attraverso una passione quasi morbosa e un’urgenza di conoscere attraverso i viaggi, la considerazione innovativa della cultura e della politica delle arti veda il Cavalcaselle nella stessa posizione che anima gli altri esponenti dell’amministrazione e della politica culturale del nuovo governo della Destra storica: Giuseppe Fiorelli nel campo dell’archeologia, Ruggero Bonghi in quello delle biblioteche, Camillo Boito nella difesa e restauro dell’architettura. Dalle Vite del Vasari al Risorgimento dell’arte italiana.