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Caso Giulia Cecchettin, una soap opera del dolore

Caso Giulia Cecchettin, una soap opera del dolore

L’editoriale del direttore

Ha molto colpito la decisione del papà di Giulia Cecchettin, la studentessa di Padova assassinata dal fidanzato che aveva lasciato, di ingaggiare un’agenzia di comunicazione per farsi rappresentare.


Ognuno è libero di esprimere il proprio dolore per l’uccisione di una persona cara nella maniera che ritiene più giusta, piangendo o imprecando, ritirandosi in convento a pregare o trasformando la propria vita in una testimonianza itinerante in memoria dello scomparso. Tuttavia, mi hanno sempre colpito certe scelte, soprattutto quando, più che una missione, quella del parente della vittima sembra una carriera. C’è il famigliare stretto di un assassinato per mafia che da sconosciuto qual era diventa noto alle cronache come portavoce del defunto, custode incontestato e incontestabile dello scomparso. Ci sono il fratello, la sorella o anche solo un lontano cugino che si ergono sulla tragedia facendosi nominare presidenti o coordinatori di un comitato di parenti delle vittime.

Certo, non tocca a me dire se sia giusto o meno, se questa sia speculazione politica di chi usa i famigliari per trasformarli in paladini delle cause giuste o ambizione di chi, incarnando il volto del dolore, trova anche un proprio ruolo nella società e sui media. Sta di fatto che quella notorietà improvvisa, derivata da un fatto di sangue, di terrorismo o di comune criminalità, a volte dà alla testa. E qualche volta disturba pure, perché sembra dettata più da una voglia di protagonismo che da sete di giustizia. Ho fatto questa lunga premessa perché mi ha molto colpito la decisione del papà di Giulia Cecchettin, la studentessa di Padova assassinata dal fidanzato che aveva lasciato, di ingaggiare un’agenzia di comunicazione per farsi rappresentare.

Secondo il quotidiano Il Gazzettino, che ha dato la notizia, l’uomo non si sarebbe limitato a trovare una persona che tenga i rapporti con la stampa, prendendo nota di tutte le richieste di intervista arrivate. No, chiusa l’attività imprenditoriale che svolgeva fino all’omicidio della figlia, l’ingegnere di Vigonovo avrebbe assoldato una società esperta nel curare l’immagine di attori e autori. Gino Cecchettin pare che voglia dedicarsi a diffondere iniziative di non violenza e di rispetto della parità di genere nelle scuole, ma tra i progetti avrebbe anche la scrittura di un libro e la realizzazione di una fiction per raccontare la storia di Giulia. Già aveva sorpreso l’audacia della sorella, che il giorno dopo il ritrovamento del cadavere della ragazza si era presentata di fronte alle telecamere leggendo un messaggio in cui si accusava del delitto la società patriarcale, sostenendo che l’assassino «era il figlio sano di un sistema» di cui tutti gli uomini in qualche misura erano responsabili. Ribadisco: ognuno esprime il proprio dolore come crede, anche mettendolo in mostra per ogni trasmissione tv.

Certo, aver già steso il manifesto contro il patriarcato prima ancora di aver seppellito la sorella a me fece un po’ impressione, ma forse perché sono abituato a tenere il dolore per me, senza metterlo in mostra. È vero, per fortuna io non ho mai avuto un familiare ucciso a coltellate, ma qualcuno portato via in fretta dalla malattia sì e lacrime e rabbia le ho tenute per me. Pudore? Può essere. Non giudico e non critico neppure chi ingaggia consulenti in immagine e in social network per gestire i follower o per andare ospite da Fabio Fazio in prima serata tv. La qualità della sofferenza non si misura con l’audience e probabilmente neppure attraverso i social media manager. Non parlo di spettacolarizzazione del dolore, però non posso fare a meno di notare che a casa Cecchettin hanno imparato presto le regole della tv e del mondo dei media. Sanno scegliere le trasmissioni più politicamente corrette, quelle che trasudano buonismo da tutti i pori del conduttore e sanno trovare la parola giusta anche quando hanno il groppo in gola. Ovvio, di fronte a tanta notorietà occorreva una regia, qualcuno che sapesse canalizzare il consenso e l’attenzione e dunque ben venga anche una società londinese dal nome altisonante.

Sulle sponde del Tamigi sanno che ogni star si brucia in fretta nel mondo dello spettacolo e perciò occorre centellinare le apparizioni, senza concedersi a tutti, perché il brand diventa più ricercato se non è accessibile a chiunque, se invece di essere disponibile diventa esclusivo. Dunque, l’agenzia di comunicazione di attori e autori pare già aver dettato la linea: bisogna mettersi in silenzio stampa per un po’, per poi ritornare con maggior forza. Sarà. Ma a me sembra che invece di ricordare la vittima di un delitto si rischi di finire in una soap opera. Purtroppo con un finale triste.

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