Giuseppe Conte, che raccontò di aver combattuto fino allo stremo per strappare 215 miliardi non solo ha raccontato balle, ma ha pure contribuito a creare un ulteriore buco nelle casse dello Stato.
Nella primavera dello scorso anno, Panorama dedicò la copertina ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il nostro Antonio Rossitto aveva raccolto i progetti più folli che stavano per essere finanziati con i soldi pubblici, frutto della famosa trattativa di cui Giuseppe Conte si era intestato il merito. Ne ricordo solo alcuni, tanto per farvi capire di che cosa parlassimo a metà aprile del 2023. Collina del benessere a Riccia, Campobasso: un milione di euro. Centro Vip a Pietramontecorvino, Foggia: 300 mila euro. Campo da softball, Orgosolo, Nuoro: 500 mila euro. Ripristino degli impianti di risalita del complesso sciistico Bocca di Selva, San Potito Sannitico, Caserta: 1,6 milioni di euro. Potrei continuare con il progetto di spolveratura dei libri di San Ginesio, Macerata (100 mila euro), il Bocciodromo di Cortona, Arezzo (1,6 milioni di euro) e il Museo degli illustri di Montalbano Jonico, Matera (785 mila euro), ma a legare la maggior parte dei progetti finanziati con i quattrini in arrivo dall’Europa era in prevalenza l’inutilità.
Grazie a Conte, noi ci stavamo indebitando fino al collo (perché i 215 miliardi sbandierati dall’allora presidente del Consiglio e attuale capo dei Cinque stelle non erano gratis, ma finanziamenti che dovremo restituire) per costruire più cimiteri, parcheggi, musei della grappa e del prosciutto, campi di padel e perfino un fondamentale istituto che a Grisolia, 2.500 abitanti scarsi in provincia di Cosenza, testimoniasse a futura memoria «Che la cultura non si cancella» (300 mila euro). Invece di investire in innovazione, in misure che rendessero efficiente la macchina burocratica italiana, in progetti che velocizzassero la Giustizia e svecchiassero il nostro sistema universitario, noi ci caricavamo di un fardello di oltre 200 miliardi, gran parte dei quali da restituire con tassi non proprio di favore, per sprecarli in opere di dubbia utilità per il Pil nazionale.
Tuttavia, dopo il nostro servizio, invece di dichiarare la follia di un piano che ci avrebbe caricato di oneri di cui non sentivamo il bisogno, la politica è andata avanti per la propria strada. Anzi, ai presunti ritardi accumulati dal nuovo governo nell’attuazione del piano, l’opposizione rappresentata da Conte e compagni ha replicato accusando l’esecutivo di inefficienza, sostenendo che la maggioranza di centrodestra stava buttando alle ortiche un’occasione unica, ovvero una dote di centinaia di miliardi che avrebbe consentito al nostro Paese di svoltare.
È trascorso un anno da allora e la svolta che si palesa è contro un muro. Improvvisamente ci si rende conto che la corsa per prendere i soldi dell’Europa non aveva alcun senso, perché forse di quelle risorse, per finanziare opere inutili, non avevamo bisogno. Anzi: il denaro ora rischia di essere una zavorra in più, in quanto nessuna o quasi delle opere pubbliche farà crescere il nostro Pil e dunque avremo un rapporto debito-prodotto interno lordo sempre più pesante. Peccato che questa presa di coscienza arrivi fuori tempo massimo, quando ormai non si può più fare niente o quasi. E peccato che quelli che oggi si indignano e denunciano il vizio di origine del Pnrr, definendolo una grande abbuffata, all’epoca, quando a noi era evidente il rischio di un colossale spreco, se ne stettero zitti o addirittura applaudirono.
Ora i grilli parlanti del giorno dopo, al secolo Tito Boeri e Roberto Perotti, due professori esperti nello spiegare i fenomeni con il senno di poi, dicono che è stato un errore chiedere il massimo delle somme del programma Next Generation Eu, perché ogni dieci euro ricevuti, 6,5 vanno restituiti con gli interessi. Dunque, nessun regalo dall’Europa. Lo stesso dice la professoressa Veronica De Romanis, la quale sul quotidiano La Stampa accusa la politica di non aver capito che incassare tutti i soldi sarebbe stato un disastro. Tutti bravi questi professori a spiegare la lezione il giorno dopo. Mai che impartiscano un insegnamento il giorno prima. Ciò detto, resta un problema: Giuseppe Conte, che raccontò di aver combattuto fino allo stremo per strappare 215 miliardi (e invece, come ha rivelato un suo alleato, ossia il commissario europeo Paolo Gentiloni, non era vero, perché le somme vennero decise da un algoritmo), non solo ha raccontato balle, ma ha pure contribuito a creare un ulteriore buco nelle casse dello Stato. Con il risultato che il leader dei Cinque stelle passerà alla storia della Repubblica come il premier che non soltanto ha aperto con il Superbonus una voragine nei conti dello Stato, ma come l’uomo che ha indebitato a dismisura il Paese per una serie di opere inutili. Quante case per i poveri si sarebbero potute costruire con i soldi che lui ha buttato dalla finestra? Due milioni? Forse due e mezzo. E questo sarebbe l’avvocato del popolo? Purtroppo per i poveri è l’avvocato delle cause perse. Anche se lui non perde mai.