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Se, in nome della legge, l’identità è soggettiva

Se, in nome della legge, l’identità è soggettiva

Per il Tribunale di Napoli basta sentirsi (e non essere) «altro» per cambiare all’anagrafe. Ma negando così la realtà, c’è il caos.


Avrò dormito male. O è il tempo. Ho le ossa indolenzite, stanchezza, qualche acciacco di troppo. Anche l’umore si è fatto nero. Devo ancora compiere 58 anni, ma vi giuro che me ne sento almeno 67. Forse anche 68. Quindi sapete che faccio? Tra poco vado in Comune e chiedo di cambiare la data di nascita sulla carta d’identità. Subito dopo andrò all’Inps per chiedere di riscuotere la pensione. E guai a voi se qualcuno mi paragona a uno di quei baby pensionati, da Mario Draghi ad Alfonso Pecoraro Scanio, che hanno iniziato a incassare il vitalizio prima dei 60 anni e che ho sempre denunciato con sdegno. Io non sono un baby pensionato. Io mi sento 67 anni. E dunque li ho. Senza se e senza ma.

Vorrei tranquillizzare tutti: non sono impazzito. E non ho nessuna intenzione di andare in pensione. E, se devo essere sincero, stamattina in realtà mi sento benissimo. Adesso che ci penso: vado in Comune e faccio scrivere sulla mia carta d’identità che ho 37 anni. O anche 27. O magari anche 7. In fondo lo dice anche il Vangelo: se non ritornerete come bambini… Ecco: sono ritornato bambino. Ho 7 anni. Lo voglio scritto sulla carta d’identità, con annessa iscrizione alla seconda elementare. Ripeto: non sono impazzito. Sto solo seguendo alla lettera l’indicazione del Tribunale di Napoli, che ha consentito a una donna di cambiare carta d’identità diventando uomo, semplicemente perché «se lo sentiva». Da cui deduco, che se si fosse sentita più giovane o più anziana, la decisione sarebbe stata identica. Quindi, mi chiedo, se vale per lei perché non deve valere anche per me? E per tutti voi?

Sia chiaro: qui non siamo di fronte all’ormai classico caso di una donna che «diventa» uomo. No, è una donna che «si sente» uomo, e ottiene il riconoscimento del cambio di sesso senza cambiare sesso. Federica, 30 anni circa, di Pozzuoli, ha raccontato che è nata donna ma da sempre si sente uomo, però non ha potuto fare l’operazione per ragioni di salute. Tanto è bastato al giudice per ordinare al Comune di cambiare la carta d’identità: Federica è diventata Christian, riconosciuta come uomo anche se rimane a tutti gli effetti una donna. Un principio di questo genere era previsto dalla legge Zan, quella che il Parlamento ha bocciato (per fortuna). Allora ci ha pensato il giudice (purtroppo). Naturalmente massima solidarietà a Federica/Christian, massimo rispetto per quello che sente e per quello che soffre. Ma il principio in gioco non è cosa da poco. E cioè: è possibile che ciascuno sia registrato nei documenti ufficiali non per quello che è ma per quello che si sente? Se questo è il diritto che viene riconosciuto dal Tribunale di Napoli, allora, come dicevamo deve valere per tutti e per tutto: se mi sento anziano devo essere registrato come anziano, se mi sento giovane devo essere registrato come giovane.

Immaginate le conseguenze paradossali: i lavoratori stanchi di mettere mano al tornio si dichiarano 67enni e ottengono subito la pensione; i ragazzini di 15 anni si dichiarano 18enni e ottengono subito la patente; i criminali che vengono beccati a rubare si dichiarano undicenni e ottengono subito l’impunità, caso mai non bastasse quella che già hanno normalmente… Anche per restare al campo sessuale, cioè a quello oggetto della sentenza, l’applicazione del principio provocherebbe effetti difficilmente controllabili. Se io posso essere donna o uomo a seconda non della realtà, ma del mio sentimento, beh, immaginate: un mezzofondista maschio non riesce mai a vincere nulla? Improvvisamente «si sente» donna e vince l’oro olimpico. Un lanciatore di peso maschio arriva sempre quarto? Improvvisamente «si sente» donna e sale sul podio. Un centravanti fatica a trovare spazio in Nazionale? Improvvisamente «si sente» donna e veste la maglia azzurra. Bello, no?

Ma se uno stupratore appena arrestato, proprio nel momento di andare in carcere, «si sente» donna? Che si fa? Lo si manda nel carcere femminile? Credo che sia chiaro: la sentenza di Napoli ci ha fatto fare un altro passo fuori dal mondo. Fuori dalla realtà. Perché la realtà è dura, cruda, a volte difficile da accettare. Ma è la realtà. La si può modificare, si può lottare per cambiarla. Ma pensare di cancellarla con un tratto di penna o una scorciatoia da azzeccagarbugli è folle. E pericoloso. Anche perché, come suggerisce il nume tutelare, oltre che il sesso e l’età a questo punto si potrebbero modificare anche altri dati sulla carta d’identità. Così io, oltre che 67enne (o bambino), oggi avrei potuto sentirmi anche alto due metri, con gli occhi marroni e i capelli biondi. E di professione, non giornalista, ma giudice. Non sarebbe male se da oggi fossi giudice, no? Così voi vi potreste risparmiare articoli come questo. E il Paese sentenza come quelle…

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