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Il sudore (e la felicità) di una partita sul sagrato della Chiesa

Il sudore (e la felicità) di una partita sul sagrato della Chiesa

Un sindaco proibisce ai bambini di giocare a calcio davanti a una chiesa… Preferiamo che restino confinati nella bolla virtuale di uno smartphone?

«Chi arriva ultimo va in porta». «Portiere volante». «Chi segna vince». «Chi segna regna». «Fallo di mano fallo da villano».  «Chi perde è un pirla».  «Palla contesa, palla alla difesa». Se queste frasi  non vi suonano familiari  non sapete che cosa vi siete persi:  le ore dell’infanzia passate a correre dietro un pallone, con quelle regole da strada e quei modi di dire sempre uguali, dappertutto, sono un patrimonio dell’umanità. Capita spesso di ricordarle, quando ci si trova tra ex ragazzi per cui il calcio giocato è solo memoria. Gianluigi Paragone e io abbiamo deciso di cominciare così  anche il nostro spettacolo teatrale Mi ritorni in mente perché niente ci riempie di nostalgia più del ricordo di quelle infinite partitelle, che duravano fino a quando scendeva la notte, con due stracci a far da porta e le ginocchia immancabilmente sbucciate.

Per questo ho fatto un salto sulla sedia quando il nume tutelare, questa settimana in trasferta, mi ha segnalato la notizia arrivata da Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza, dove il sindaco ha proibito ai bambini di giocare a calcio sul sagrato della chiesa. Il fatto mi ha colpito per due motivi. Il primo: ci sono ancora dei bambini che giocano a calcio sul sagrato della chiesa. Il secondo: anziché tenerli da conto e incoraggiarli a continuare, anziché essere felici che almeno loro non passino tutto il tempo a rincitrullirsi con i telefonini, che si fa? Li si multa. Cinquecento euro a ogni tocco di pallone. La motivazione? Evitare gli schiamazzi. Come se gli schiamazzi dei bambini che giocano a pallone potessero far più danni di TikTok.

Il sindaco, Silvio Parise, si è giustificato dicendo al Corriere Veneto che negli orari serali su quel sagrato si fermavano anche ragazzi più grandi, che oltre a giocare a calcio davano fastidio ai residenti dopo consumo abbondante di alcol e birra. E per questo, ha detto, lui ha voluto «dare un segnale» a tutti, bambini compresi. Ma, mi scusi signor sindaco, a me pare che questo segnale sia assai negativo: perché un conto è proibire ai più grandicelli di ubriacarsi e molestare il prossimo nelle ore notturne. Un conto è vietare ai bambini di giocare sul sagrato a qualsiasi ora del giorno e della notte. Confondere le due cose è come mettere in tavola della segatura dicendo che è Parmigiano Reggiano. Per non dire della cioccolata.

In fondo quei bambini fanno solo ciò che i bambini fanno da sempre. E che è giusto che facciano. Cioè giocano e stanno con gli altri, guardandosi negli occhi e non nello schermo di un computer. Perciò multarli è un peccato mortale. È un po’ come dire loro: tornate a rinchiudervi in casa, prendete Instagram, rincoglionitevi di social. Vietare il calcio sul sagrato è un problema non perché, come dice qualche ex calciatore e qualche titolista di giornale, «così non nascono più talenti del football». Chissenefrega dei talenti del football. Vietare il calcio sul sagrato è un problema perché se non ci si incontra sulla piazza, se non ci si sbuccia le ginocchia rincorrendo una palla, vuol dire che non si è mai stati bambini. E noi già stiamo crescendo generazioni di bambini che non sono mai stati bambini ma solo avatar dentro  lo schermo di un telefonino. Quei pochi che resistono ancora andrebbero tutelati come panda. Non multati.

Mentre mi segnalava la notizia di Montecchio, il nume tutelare che anche quando è in trasferta è attentissimo, mi suggeriva anche di tenere d’occhio il mondo degli adolescenti, di cui oggi si parla tanto anche per la serie di Netflix Adolescence. Il nume mi faceva notare la riflessione di una psicoterapeuta, Stefania Andreoli, che dice testualmente: «Bisogna rimettere sull’altare le persone con le loro emozioni, il sudore, il sangue, le imperfezioni, la complessità e l’impegno che richiedono». Perfetto. Ma io mi domando: dov’è che si vedono sudore, sangue, imperfezioni e impegno più che in una partitella a calcio sul sagrato della chiesa? Dov’è che tutto ciò si allena meglio che lì?

L’altra domenica sono stato a Canelli, a ricordare Fabrizio detto il Mos, un mio amico che da un anno non c’è più. Era uno di quelli con cui per l’appunto prendevamo a calci il pallone dappertutto. E in sua memoria gli amici del paese hanno organizzato proprio una serie di partitelle di fianco alla chiesa. Roba così, improvvisata. Con gente improvvisata, magliette improvvisate. Palle improvvisate. Sembrava di essere tornati a quei tempi là, con il Mos che sorrideva e segnava. A un certo punto si avvicina un ragazzino, uno che allora era una teppa, tremendo, ci faceva ammattire. «Ti ricordi quante ne combinavo?», mi ha detto ridendo. E poi: «Chissà cosa sarei diventato se allora, anziché il pallone, avessi avuto, come oggi, solo un telefonino». Ci pensi, signor sindaco. Ci pensi. n

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