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Le imprese: «no ai contro dazi». E il 17 la Meloni vola da Trump

Le imprese: «no ai contro dazi». E il 17 la Meloni vola da Trump

Misure ritorsive sarebbero un boomerang e ci darebbero in pasto a Pechino. Prendiamo esempio dall’India, che al muro contro muro preferisce il negoziato. Del resto, anche i nostri top manager invitano alla calma.

Se davvero Donald Trump fosse il bullo che viene descritto da commentatori e politici, avremmo tre modi per reagire. Il primo è replicare a brutto muso, sapendo di avere la forza per impartire una lezione al gradasso della Casa Bianca. Il secondo è chinare la testa davanti al prepotente, accettando di essere umiliati. Il terzo modo è ribellarsi anche se si è in evidenti condizioni di inferiorità fisica, mettendo nel conto il rischio di prenderle di santa ragione. La prima ipotesi la scarterei, perché in uno scontro tra Stati Uniti e Europa non penso che quest’ultima sia in grado di vincere. La seconda e la terza neppure le considero, perché in tutti e due i casi la Ue perderebbe la faccia: sottomettendosi rinuncerebbe alla propria dignità, mentre reagendo ai dazi con altri dazi finirebbe solo per farsi molto male. Dunque? Beh, innanzitutto occorre precisare che io non considero Trump un bullo e perciò non affronterei la questione come la stanno trattando molti osservatori. Il presidente americano è un imprenditore. Duro e spregiudicato finché si vuole, ma per quanto lo si voglia detestare (e a sinistra lo fanno in molti) non lo si può certo considerare un cretino. Un tizio che ha alle spalle una storia di successo e contro tutti i pronostici riesce a vincere le elezioni, per poi, dopo una sconfitta e inseguito dai tribunali di mezza America, rivincerle, scemo non è. Si possono disprezzare fin che si vogliono i 70 milioni di americani che l’hanno votato, ma è meglio non sottovalutare l’uomo che è riuscito a convincerli e farsi votare.

Trump è un uomo d’affari, abituato alla contrattazione dura per spuntare le migliori condizioni. Se si vuole discutere con lui bisogna dunque stare al suo gioco. Nel corso degli anni ho avuto a che fare con industriali e finanzieri e con alcuni mi è capitato di negoziare. Quasi sempre ti portano al punto di rottura delle trattative, per scoprire fino a dove possono arrivare. Poi, dopo aver provato a tirarti il collo con clausole capestro, aprono la strada all’accordo. È il metodo Trump: l’unico da seguire se si vuole raggiungere un’intesa che non faccia troppi danni al nostro Paese.

Pensare di fermare il presidente americano imponendo, come pensa di fare la Ue, un’imposta sul burro d’arachidi, il succo d’arancia o i jeans importati dagli States fa ridere i polli. Davvero c’è qualcuno a Bruxelles che pensa di potere costringere gli Stati Uniti a recedere dai loro propositi mettendo una tassa sui Levis? Il bazooka a cui allude Ursula von der Leyen a me sembra che spari succo d’arancia. Tralascio le altre brillanti idee, tipo la web tax o il blocco degli investimenti degli Usa in Europa. Tafazzi al confronto è un dilettante: impedire ad aziende americane di acquistare quelle della Ue significa rinunciare a capitali e opportunità per le nostre imprese, per non dire che l’imposta sui colossi di internet si ritorcerebbe contro di noi. Mettere dazi per fermare altri dazi è una stupidaggine che rischia di far male più a noi che all’America, perché una famiglia americana magari può rinunciare a una bottiglia di prosecco, ma le nostre aziende non possono fare a meno dell’Intelligenza artificiale, che è americana. L’unica alternativa è vendere anima e corpo alla Cina, che un domani potrebbe presentarci un conto più pesante di quello degli States.

Mettete dunque da parte l’orgoglio e fate tacere le zecche isteriche: in una guerra commerciale serve reagire con astuzia e sangue freddo. L’India è stata colpita più dell’Europa dalle misure di Trump e tuttavia non si è agitata, ma si è messa al lavoro per raggiungere un accordo. Sarà la pazienza indu (satyagraha), sarà la furbizia di Narendra Modi, sta di fatto che New Delhi al muro contro muro preferisce il negoziato.

Mi hanno molto colpito le dichiarazioni di due manager alla guida di colossi importanti come Eni e Generali. Claudio Descalzi, amministratore delegato del cane a sei zampe, ha spiegato che per trovare una soluzione al problema dei dazi bisogna essere calmi e lucidi, senza avere reazioni che possano innescare qualcosa di peggiore. Philippe Donnet non solo si è detto fiducioso che la compagnia da lui guidata supererà anche questa crisi, ma ha aggiunto che i dazi possono avere un impatto negativo sull’economia, però potrebbero anche essere un’opportunità per l’Europa. «Un’imposta del 20 per cento era più o meno in linea con le aspettative; quindi, non mi sembra opportuno dichiarare e aprire una guerra commerciale con gli Stati Uniti».

Insomma, chi maneggia ogni giorno miliardi è più saggio di chi di miliardi e dazi ciancia in queste ore in tv o in qualche aula parlamentare.

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