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Non solo Garlasco. Tutti i colpevoli senza ombra di prova

Non solo Garlasco. Tutti i colpevoli senza ombra di prova

Da Gravina a Perugia, fino a Garlasco, spesso le inchieste si basano su indizi. Dopo che sono scattate le manette. E allora ci si chiede: perché gli investigatori non sanno più indagare? E chi ci salva dalle inchieste senza prove ma con molte ombre?

Sono andato a ripescare in archivio un vecchio numero di Panorama di 17 anni fa. Il titolo di copertina era piuttosto netto: «Colpevoli senza ombra di prova. Da Gravina a Perugia, fino a Garlasco, spesso le inchieste si basano su indizi. Dopo che sono scattate le manette. E allora ci si chiede: perché gli investigatori non sanno più indagare?». Ricordo che chiesi ai colleghi di raccontare le indagini per la morte di due fratellini che avevano portato all’arresto del padre, ma anche l’inchiesta a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, e pure quella che riguardava Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi. In tutti e tre i casi erano evidenti le falle dell’accusa.

Filippo Pappalardo, il padre dei bambini di Gravina morti di stenti in fondo al pozzo, fu scarcerato e riconosciuto innocente dopo un anno di galera. I presunti coautori del delitto di Meredith Kercher sono da tempo liberi, prosciolti per non aver commesso il fatto, ma dopo aver trascorso quattro anni dietro le sbarre. Per Alberto Stasi, il giudizio è sospeso: o meglio, è definitivo, perché su di lui grava una condanna a 16 anni di carcere passata in giudicato, ma la Procura di Pavia ha riaperto il caso, indagando un altro presunto omicida, ovvero Andrea Sempio. Com’è possibile che a dieci anni da una sentenza di colpevolezza, e a 18 dall’assassinio, si rimetta tutto in discussione? La risposta sta in quel numero di Panorama di 17 anni fa e in uno successivo, di qualche mese dopo, che si interrogava sulla scientificità di alcune indagini.

Era tutto chiaro sin dall’inizio: non c’erano pistole fumanti che accusassero il fidanzato di Chiara Poggi. Solo indizi, molti dei quali neppure concordanti, ma gli inquirenti scelsero di privilegiarne alcuni rispetto ad altri e così, dopo due sentenze in cui Alberto Stasi fu prosciolto da ogni accusa, ecco arrivare, a seguito di un rinvio della Cassazione, una condanna di segno contrario: 16 anni di prigione. Poco per un delitto efferato: forse, osservò qualche cronista, neppure i giudici credevano troppo alla colpevolezza del giovane bocconiano dagli occhi di ghiaccio, il cui unico torto era probabilmente di essere riservato, assolutamente freddo, quasi impermeabile alle emozioni, almeno sotto gli occhi dei fotografi e dei cameramen inviati in gran quantità a Garlasco. 

A distanza di quasi vent’anni dal delitto però, i pm riscrivono la storia e mettono sotto accusa un’altra persona, «scoprendo» anche un’impronta del palmo della mano accanto al cadavere che sarebbe sua. Ecco, chiariamo subito: i carabinieri e i magistrati che indagano sulla faccenda non hanno trovato nulla di nuovo. Non sono stati fatti altri rilievi, né sul muro di casa Poggi né sotto le unghie della vittima. Sia l’impronta che il Dna trovato sulle dita di Chiara Poggi erano già tutti repertati, ovvero acquisiti dall’indagine. Non esistono fatti inediti in grado di far svoltare l’inchiesta. Solo un’attenta valutazione di quelli raccolti nel passato che però, alla luce di qualche riscontro e alcune riflessioni degli inquirenti che non erano stati eseguiti in precedenza, portano a conclusioni diametralmente opposte a quelle a cui giunsero la Procura di Vigevano e i giudici di Pavia, oltre un decennio fa. 

Vedremo naturalmente se gli indizi e le prove messe in fila dai pubblici ministeri a carico di Andrea Sempio e di altri possibili indagati reggeranno il vaglio del tribunale, ammesso e non concesso che si arrivi a un giudizio. Tuttavia, restano le riflessioni che facevamo su Panorama nel marzo 2008. Com’è possibile che si arrestino presunti colpevoli senza prove? Nel caso di Alberto Stasi non c’è stato solo l’arresto, ma anche la condanna, ormai quasi interamente scontata. Eppure, la legge dice che si è condannati se non esiste anche un solo «ragionevole dubbio». E a Garlasco di ragionevoli dubbi sulla colpevolezza del principale imputato ce n’erano molti.                                           

La Costituzione, articolo 24, sancisce il diritto alla difesa, assicurandolo anche ai non abbienti. Ma in una giustizia che disattende il principio di innocenza di fronte a ragionevoli dubbi, come è possibile difendersi se non si dispone di legioni di avvocati, periti e investigatori privati che siano in grado di dimostrare il contrario rispetto a quanto sostenuto dagli inquirenti? Senza i legali e gli esperti della sua difesa, che non si sono arresi neppure di fronte alle sentenze passate in giudicato, Stasi sarebbe rimasto l’unico colpevole del delitto di Garlasco. A pag. 18 di questo numero, si possono leggere le storie di chi viene messo in prigione e poi, a volte dopo decenni, viene riconosciuto innocente. E  allora torno alla domanda iniziale: perché gli investigatori non sanno più indagare? E chi ci salva dalle inchieste senza prove ma con molte ombre?  

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