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Poveri sì, ma risparmiando sui contributi

Poveri sì, ma risparmiando sui contributi

L’editoriale del direttore

In Italia abbiamo otto milioni di pensionati, su un totale di 16, che nel corso della loro vita lavorativa non hanno raggiunto 15 anni di contributi regolari.


Nei giorni di festa le telecamere di Bianca Berlinguer sono andate in cerca di storie che suscitassero indignazione e di altre che strappassero lacrime, mettendo a confronto le prime con le seconde, per denunciare le «diseguaglianze sociali». Le immagini hanno mostrato gli eccessi di Cortina, dove una jéroboam di champagne, ovvero una bottiglia da tre litri, arriva a costare anche 3.800 euro e dove qualche cafone arricchito compra le aragoste per organizzare gare fra crostacei nel corridoio dell’albergo. Il cattivo gusto ovviamente non non è regolato dal reddito e nemmeno si misura nel cinque stelle lusso in cui si soggiorna. Infatti, c’è chi ha più classe anche se vive al minimo. Tuttavia, a me non ha stupito il fatto che ci sia qualche arricchito pronto a tutto pur di dimostrare di aver fatto i soldi, ma che la tv oltre ai cretini con i milioni in banca mostrasse chi campa con la pensione sociale, presentandoli quasi come eroi e vi spiego perché.

A sentire i loro racconti, molti di questi signori appaiono vittime di un governo insensibile, che non aiuta i poveri e lascia che ci sia qualcuno che per una settimana di vacanza nella perla delle Dolomiti spende decine di migliaia di euro. E tuttavia, quando questi pensionati raccontano le loro difficoltà, c’è qualche cosa che stona. Non tanto la loro umile casa e la dispensa vuota, ma l’entità della loro pensione. Già, perché per mettere in mostra la sofferenza ed esporla al confronto con l’opulenza, la tv sceglie coppie anziane, che con poche centinaia di euro sono costrette a razionare il cibo e vivere di aiuti della parrocchia o del centro sociale. Però, mentre l’occhio delle telecamere si posa sulle modeste cucine, nulla ci dice sul perché quei signori la cui storia commuove gli spettatori vivano con la pensione sociale.

In casa mia lavorava solo mio padre, il quale da operaio riuscì nel corso degli anni a diventare impiegato. Non so quanti straordinari abbia fatto per mantenere una famiglia con tre figli, tuttavia posso dire che dopo aver consentito a tutti noi di studiare ha potuto ritirarsi dal lavoro con una pensione che ha permesso a lui e a mia mamma di vivere con assoluta dignità, senza farsi mancare nulla anche negli ultimi anni di vita. Certo, i miei non andavano a Cortina e nemmeno stappavano bottiglie di champagne, ma non hanno mai ricevuto i pacchi della parrocchia. Perché? La risposta è semplice. Vivevano della loro pensione, non della pensione sociale. Il problema è tutto qui. Quella che si chiama pensione sociale non è una pensione, ma un sussidio, che l’Inps eroga a chi non ha raggiunto neppure la minima contribuzione per ottenere la pensione.

Dunque, il problema non sono coloro che a Cortina spendono in una settimana ciò che qualcun altro non riesce a spendere in un anno, ma perché quelle persone siano costrette a vivere con la pensione sociale. Come mai non sono riuscite nel corso della vita a versare un numero sufficiente di contributi per avere una pensione vera? Purtroppo, a questo interrogativo non c’è risposta perché, dopo aver indugiato sulle lacrime delle anziane coppie, a nessuno della redazione di Cartabianca è venuto in mente di rivolger loro la domanda. Alberto Brambilla, forse il maggiore esperto di previdenza in Italia, autore fra l’altro di alcuni libri sulla questione, ha spiegato che nel nostro Paese ci sono quattro milioni di pensionati totalmente assistiti dallo Stato, a cui se ne sommano altri quattro che hanno una parziale assistenza pubblica. Cioè: abbiamo otto milioni di pensionati, su un totale di 16, che nel corso della loro vita lavorativa non hanno raggiunto 15 anni di contributi regolari. È inimmaginabile che otto milioni di persone siano arrivate a 60 anni lavorando solo pochi anni, quindi molti di loro forse erano pagati in nero e oggi sono a carico della fiscalità generale, con un costo che sfiora i 35 miliardi l’anno.

Ecco ciò che non viene detto. Si espongono al pubblico le spese da capogiro di Cortina e di altre località lussuose, lasciando intendere che chi si permette vacanze da sogno è un evasore (ricordate Mario Monti, che spedì le pattuglie della Guardia di finanza a intercettare sulle strade del Cadore chi guidava auto di lusso?). Ma non è certo colpa di chi alloggia in un cinque stelle se ci sono milioni di persone che vivono con la pensione sociale. Le diseguaglianze, infatti, hanno tanti padri e tante madri, figlie di furbizia e calcoli sbagliati. Immagino che tra coloro che si arrabattano con il sussidio ci siano persone sfortunate, che non ce l’hanno fatta ad avere un lavoro vero. Ma forse c’è anche chi ha pensato che fosse meglio non pagare le tasse.

Ricordo una paginata di Repubblica con una donna che, superati i 70 anni, lamentava un assegno esiguo che non le bastava per pagare le bollette. Aveva lavorato una vita, diceva. Però il suo lavoro consisteva nel fare le pulizie in casa d’altri, ovviamente in nero. E il marito? Faceva il meccanico. E ovviamente si faceva pagare in contanti. E poi? Quando è arrivata l’ora di ritirarsi, lui è morto e lei è rimasta con la pensione sociale. Ecco, quando vedo la tv del dolore, che dopo Natale mette in scena le disuguaglianze, penso a mia madre e a mio padre, che la pensione se la sono guadagnata con una vita di lavoro e una montagna di contributi.

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