Imputare frane, esondazioni e alluvioni al cambiamento climatico è troppo semplice e assolve tutti gli amministratori, i quali non possono essere chiamati in causa. Anche se le opere per arginare le catastrofi sarebbero compito loro, ma non vengono fatte.
Il cambiamento climatico ormai è la giustificazione di ogni cosa. Immagino dunque che a breve l’espressione «piove, governo ladro» sarà sostituita da «piove, mondo inquinato». Per la politica sarebbe un vantaggio, in quanto se prima doveva rispondere ai cittadini delle proprie scelte, con il rinvio delle responsabilità di ogni disastro a una situazione globale, che provoca un innalzamento delle temperature, può sgravarsi la coscienza. C’è un’esondazione? Invece di prendersela con l’amministratore che non ha adottato misure preventive si punta il dito verso il cielo e l’abbondante piovosità della stagione. Lo stesso capita quando c’è una frana o qualche altro evento straordinario: tutta colpa della natura. O meglio, dell’uomo che con le sue fabbriche e le sue macchine inquina la natura e tanti saluti a chi invece dovrebbe rispondere di ciò che ha fatto o non ha fatto.
La riflessione mi è venuta in mente in questi giorni, leggendo dell’ennesimo straripamento dei fiumi che lambiscono Milano. La capitale economica del Paese, avamposto nazionale della scienza, della tecnica e dell’innovazione, in poche ore è finita sott’acqua. Interi quartieri sono stati allagati e per ore il traffico e i commerci sono rimasti paralizzati. Non c’è scappato il morto, com’è accaduto in passato in altre città, ma si è trattato di un miracolo. A provocare tutto ciò, hanno spiegato gli esperti, è stata l’improvvisa caduta di 31 millimetri di pioggia ed è bastato questo per trovare il colpevole: il cambiamento climatico. Ovviamente, imputare la responsabilità alle mutazioni della temperatura, assolve tutti gli amministratori, i quali non possono essere chiamati in causa.
Ma le responsabilità di chi guida una città o una regione invece esistono e sono precise. A spiegarlo è un articolo scritto nel 1976 da Walter Tobagi, giornalista ucciso dalle Brigate rosse il 28 maggio del 1980, che il Corriere della Sera ha ripubblicato. Dopo quattro allagamenti in un solo mese, quasi cinquant’anni fa l’inviato di via Solferino denunciava i mancati interventi che avrebbero potuto evitare le inondazioni. In mezzo secolo, si sono succedute amministrazioni di sinistra e di centrodestra, ma la realtà è che le vasche di contenimento che potrebbero evitare al capoluogo lombardo di finire alluvionato ancora non ci sono. Il maltempo è la causa principale, scriveva Tobagi, ma per evitare la tracimazione delle acque basterebbero dei canali scolmatori che, ovviamente, dal 1976 a oggi non si sono fatti. Al contrario, si è continuato a edificare attorno agli argini dei fiumi e qualche volta sopra i torrenti, pretendendo di interrare un flusso che alle prime abbondanti precipitazioni tracima.
Il cambiamento climatico è stato usato anche per spiegare la recente alluvione dell’Emilia-Romagna. Certo, a maggio c’è stata una straordinaria piovosità, ma se interi paesi sono finiti a mollo con danni per centinaia di milioni e con distruzione di mezzi e coltivazioni, la responsabilità non sta tutta in cielo, ma è in larga parte molto terrena. Anche in questo caso, invece di ripulire gli alvei dei corsi d’acqua e rafforzare gli argini, si è costruito nelle golene. Risultato, con la piena, mezza regione è stata allagata. Si poteva evitare tutto ciò? Sì, sarebbe stato sufficiente fare la manutenzione necessaria, ma soprattutto costruire le vasche di contenimento che da anni sono state indicate come soluzione contro gli eventi straordinari. Ma a causa dei soliti ritardi della pubblica amministrazione, delle beghe locali fra partiti e delle proteste di innumerevoli comitati autonominatisi protettori dell’ambiente, non si è fatto nulla. Così, di fronte al disastro, che succede? Ovvio, si dà la colpa al cambiamento climatico e tutti possono dormire più contenti. Per lo meno fino a che non arriva qualche procura che si incarica di vedere chiaro in quello che è successo.
Come nel caso dell’alluvione di Ancona, dove lo scorso anno morirono 13 persone, tra cui un bambino di otto anni. I magistrati titolari dell’inchiesta, che è stata trasferita in Abruzzo, hanno indagato funzionari e politici per non aver lanciato l’allarme maltempo, ma anche per non aver disposto le misure necessarie contro il dissesto idrogeologico. Se ci sarà un processo, come pare altamente probabile, saranno dunque i giudici a stabilire di chi sia la responsabilità della strage. Un fatto comunque già oggi appare certo: sul banco degli imputati non è finito il cambiamento climatico. «Piove, mondo inquinato» per ora non ha fatto breccia nella testa dei pm dell’Aquila.