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Predicare integrazione, guadagnare sottomissione

Predicare integrazione, guadagnare sottomissione

A Torino sarà eretta un’altra moschea: la 26esima. Il problema è che le comunità islamiche restano chiuse. E la prospettiva è fosca.

E dunque, accanto alla Mole, ora svetterà il minareto. Sarà alto 20 metri e si staglierà fra Superga e le Alpi. Così cambia il nostro Paese: a Torino, al posto della Fonderia Nebiolo, che per oltre un secolo ha prodotto caratteri tipografici, si leggerà solo il Corano. Da una parte del fiume la Gran Madre, dall’altra la grande moschea: oltre seimila metri quadrati di estensione, con annessi studentato, palestra e biblioteca. Costo dell’operazione: 15 milioni. Otto sono già stati promessi dal re del Marocco. Addio turineis, sarà l’arabo la lingua ufficiale in riva al Po.

Nel capoluogo piemontese  (non a Istanbul o a Medina) ci sono già 25 moschee. Venticinque. Nel 2018 erano 17. Ciò significa che ne apre una all’anno. Ed è abbastanza normale, se si considera che, secondo il Turin islamic economic forum, qui vivono circa 50 mila islamici praticanti. Tutte persone per cui la fede, al contrario di molti cristiani, è una cosa da vivere sul serio: ci sono interi quartieri, come Aurora e Barriera di Milano, dove l’intera giornata trascorre al ritmo del Ramadan. Nelle scuole elementari molti bambini islamici escono durante l’orario della mensa perché praticano il digiuno, anche se non sarebbe obbligatorio. Fra qualche tempo qui risuonerà, forte e chiaro, dal minareto alto 20 metri il canto del muezzin. E la trasformazione della città sarà ancora più evidente.

 Naturalmente non c’è nulla da obiettare di fronte a chi prega il suo Dio. Ma c’è molto da obiettare su una civiltà, la nostra, che si sta facendo silenziosamente e rapidamente sottomettere. Oriana Fallaci l’aveva previsto anni fa, ma nessuno l’ha ascoltata. Michel Houellebecq l’ha raccontato in un libro, ma nessuno l’ha preso sul serio. Ora sta accadendo. 

È come se l’Occidente desiderasse suicidarsi: si abbattono le statue della Madonna, ma si elevano statue alle donne velate (Birmingham); si vieta di dire «buon Natale» o «buona Pasqua» (non è inclusivo, meglio «festa d’inverno» o «festa di primavera») ma le scuole chiudono per il Ramadan (Pioltello, ancora tu: ma non dovevi non farlo più?); si proibisce il presepe perché «è razzista» (parole testuali sul Domani) ma si fa festa quando arriva la grande moschea finanziata dal re del Marocco.

 La storia è nota: quando l’Islam ha cercato di conquistarci con le armi, gli europei si sono difesi. Hanno vinto a Poitiers (732), hanno vinto a Vienna (1683), hanno sempre respinto l’attacco. Ma ora la conquista è dolce, arriva attraverso immigrazione e demografia, e nessuno può opporsi. Perché c’è il multiculturalismo. C’è l’accoglienza. C’è l’integrazione. Se ti opponi sei islamofobo. Qualcuno vuol istituire il reato di islamofobia per cui anche scrivere quest’articolo forse sarebbe reato. Ma come può esserci integrazione con chi applica la sharia, che è una legge contraria alle nostre regole e alla nostra civiltà? Come può esserci integrazione con chi teorizza la sottomissione della donna, il ripudio (talaq) e la poligamia, e ha come  obiettivo quello di imporre le sue regole anche a noi?

Nella stessa Torino in cui si apre una delle moschee più grandi d’Italia, pochi giorni fa, si è saputo di un bimbo di sette anni che ha salvato la mamma, vittima proprio della sharia, all’interno di un matrimonio islamico, combinato e violento, con la donna tenuta prigioniera e costretta a subire ogni sorta di angheria, abusata e picchiata, senza la possibilità di imparare l’italiano. Integrazione? Ma quale integrazione? A Novellara (Reggio Emilia), il paese di Saman, la ragazza uccisa perché voleva vivere all’occidentale, è stata una maestra ad accorgersi, leggendo il tema di una bimba, che si rischiava il ripetersi della situazione. La bimba è stata sottratta alla famiglia e salvata, ma dicono le forze dell’ordine che ci sono tanti casi simili tra gli islamici della zona.

Integrazione? Ma quale integrazione? Qualche tempo fa un’inviata di Fuori dal Coro è stata aggredita in un quartiere francese a maggioranza islamica perché non indossava il velo.  Nel paesino di Venissieux, vicino a Lione, ai commercianti è stato di fatto impedito di vendere prosciutto perché è contrario all’Islam. Per questo bisogna preoccuparsi quando le piazze delle città si riempiono di celebrazioni per il Ramadan con il compiaciuto patrocinio delle nostre istituzioni  (vedi Milano) o quando i partiti islamici si presentano addirittura alle elezioni (vedi Monfalcone, Gorizia), per la prima volta, perché «Allah ha detto che è ora di cambiare». E bisognerebbe preoccuparsi anche quando viene annunciata la 25esima moschea di Torino, più grande di tutte le altre, e con un minareto di 20 metri. Perché là dentro non si  prepara l’integrazione e inclusione degli islamici. Si prepara la nostra sottomissione.

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