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Un riarmo a occhi chiusi

Un riarmo a occhi chiusi

Non trovate bizzarro che gli Stati europei decidano di armarsi, ma non si spenda una parola per stabilire chi dovrà guidare i mezzi e impugnare i lanciarazzi? L’editoriale del numero di Panorama in edicola

Non so quanti lettori conoscano Riccardo Ruggeri. Editore di sé stesso (oltre che collaboratore della Verità), Riccardo è uno splendido novantenne che non smetteresti mai di ascoltare quando ti racconta la sua vita. Assunto negli anni Cinquanta dalla Fiat con la qualifica di operaio, ha percorso tutta la carriera interna fino a divenire amministratore delegato della New Holland, ovvero della società nata dalla fusione tra la Ford e il gruppo torinese nel settore delle macchine agricole. Nel campo dei trattori i due colossi avevano fallito, accumulando perdite su perdite, ma Ruggeri licenziando tutta la prima linea, cioè i dirigenti, riuscì a risollevarne le sorti. Un caso di risanamento aziendale che ancora oggi è studiato nelle università.

Prima di occuparsi di trattori, Riccardo è però stato alla guida del consorzio nato dalla fusione fra la statale Oto Melara e la divisione armamenti della Fiat. Una società pubblico-privata, primo esempio di partnership nel settore della Difesa. Il ricordo di Ruggeri, che non aveva alcuna esperienza di armamenti, è interessante. Infatti, appena nominato amministratore delegato si ritrovò a dover prendere una decisione su un’autoblindo che il consorzio stava progettando. «Non avevo idea di come dovesse essere e non sapevo che dire di fronte ai progetti che mi venivano sottoposti», mi ha raccontato qualche giorno fa al telefono. 

Avendo però conosciuto l’ex capo delle forze armate israeliane, Ruggeri chiese a lui un parere e quello non si tirò indietro, spiegando che l’autoblindo messa a punto in Italia era perfetta per essere colpita dai missili israeliani. «Mi spiegò che era troppo alta per sfuggire ai cannoni dell’esercito di Tel Aviv e che se l’avessimo venduta agli arabi loro ne sarebbero stati felici, perché sicuri di poterli sconfiggere. Lo assunsi subito come consulente». Prima erano state sentite le alte sfere dello Stato maggiore italiano, ma un conto è ascoltare l’opinione di chi la guerra la vive davvero, come gli israeliani, un altro è ricevere le valutazioni di chi i conflitti li vede seduto dietro a una scrivania.

Il racconto di Riccardo mi ha fatto riflettere. L’Europa si appresta a varare un piano di riarmo per mettersi al sicuro da una possibile futura aggressione russa. La spesa prevista è di 800 miliardi, che ancora non sappiamo come si troveranno, se a debito o mettendo mano ai risparmi delle famiglie. Ma a prescindere da come si finanzierà l’acquisto di questo arsenale, ciò che conta è se i soldi verranno spesi bene, cioè in strumenti di difesa davvero efficaci. In realtà, da quanto si capisce, nessuno ha fatto una valutazione di che cosa ci serva. Si parla di armarsi, ma come e soprattutto per fare cosa non appare chiaro. Dobbiamo aumentare la spesa per fini bellici, così nel caso in cui la Russia attaccasse non ci troverebbe impreparati. Sì, d’accordo, ma quali munizioni e cannoni dobbiamo comprare? Nessuno lo sa. O meglio: lo sanno alcuni, ma il Parlamento in cui si dovrebbe discutere di cose concrete, gli onorevoli sono all’oscuro.

Inoltre, non trovate bizzarro che gli Stati europei decidano di armarsi, anzi di fare fronte comune negli acquisti di carri armati, lancia missili e aerei, ma al momento non si spenda una parola per stabilire chi dovrà guidare i mezzi e impugnare i lanciarazzi? Si discute di munizioni, ma su chi debba spararle regna un silenzio imbarazzante. Né i governi, né le Camere, in Italia e all’estero, hanno affrontato la questione dell’esercito europeo. Forse in capo a qualche anno saremo il continente più armato del mondo, ma al momento non c’è una forza di pronto intervento della Ue: ci sono 27 eserciti, tanti quanti sono gli Stati che ne fanno parte.

In pratica, abbiamo cominciato a costruire la casa della Difesa europea partendo dal tetto. Avremo le armi, ma non sappiamo chi le impugnerà. E, soprattutto, non è chiaro quale sarà l’autorità politica che dovrà autorizzarne l’uso. Ogni esercito, oltre ad avere un comandante, ha un governo a cui risponde. E tocca al premier e per conto suo al ministro della Difesa decidere gli obiettivi di una missione o di un intervento militare. Così funziona ovunque, ma non in Europa, dove prima si comprano le armi e poi un domani si stabilirà chi le dovrà usare, senza però al momento decidere chi darà l’ordine di sparare.

Quanto sia confusa e pericolosa la situazione lo testimonia la decisione della Germania di varare un piano di stimolo e rilancio dell’economia da oltre mille miliardi, mandando in pensione l’austerità che per anni era stata la linea guida dei governi tedeschi. Berlino, dopo aver osservato una politica di contenimento del debito, si è convertita alla spesa. Fin qui ci sarebbe di che rallegrarsi, ma il problema è costituito dal fatto che il prossimo cancelliere Friedrich Merz sembra rivendicare per il suo Paese la guida dell’esercito europeo.

Finita la Seconda guerra mondiale, l’Europa ha sempre guardato con sospetto il rafforzamento militare tedesco, temendo che dopo due conflitti la Germania potesse farne scoppiare un terzo. Ma all’improvviso tutti sembrano dimenticare il passato e inquieta solo il presente, costituito dalla Russia di Putin. Siamo però sicuri che la minaccia venga da est e non dall’interno dei confini europei? Per come sta nascendo il sistema di difesa della Ue non sembra ci sia nulla di cui preoccuparsi. Tuttavia, il riarmo non è detto che serva sempre a contrastare un pericolo esterno. Può anche essere usato da chi sta all’interno. E non mi pare una buona cosa, soprattutto fino a quando non si saprà chi comanderà le truppe. E fino a che l’Europa non avrà una Costituzione e un governo tenuto a rispettarla.

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