Per quante borse di studio si possano dare, se in cattedra sale un somaro lo studente non può trasformarsi in uno scienziato. Va bene la rivoluzione del merito, ma prima qualche prof che non si merita lo stipendio deve essere mandato dove non può fare danni.
Luca Ricolfi è un grillo parlante che i lettori di Panorama conoscono bene, perché per almeno un decennio ha tenuto una rubrica sul nostro settimanale. Da sociologo e docente di Analisi dei dati, ha passato in rassegna fenomeni e comportamenti senza farsi influenzare dalle sue passioni. Non è un mistero, infatti, che sia sempre stato di sinistra, ma ciò non gli ha impedito anni fa di scrivere un magnifico libro sull’insopportabile complesso di superiorità della sinistra. Con Perché siamo antipatici? il professore ha descritto la supponenza morale di coloro che si ritengono per definizione la parte migliore dell’Italia, una malattia che condanna la sinistra a essere minoritaria e, soprattutto, lontana dai problemi del cosiddetto Paese reale.
Ho fatto questa premessa per introdurre un tema, che troverete meglio rappresentato nelle pagine interne, con un’intervista che Maurizio Caverzan ha fatto allo stesso Ricolfi a proposito del suo ultimo libro. Nel volume, il professore non parla di sinistra. O meglio: ne parla, ma indirettamente. Il testo, infatti, si occupa di scuola e il titolo già denuncia quale sia la convinzione del sociologo prestato all’analisi dei dati: La rivoluzione del merito. Secondo Ricolfi, la scuola deve tornare a essere difficile, per formare la futura classe dirigente del Paese. Il senso del suo pensiero è chiaro: con l’obiettivo di creare una scuola di massa e dunque di assolvere al dettato costituzionale che garantisce l’istruzione a tutti i cittadini, affinché «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», i partiti hanno abbassato l’asticella. Invece di tenerla alta, per avere studenti qualificati, provvedendo se del caso a sostenerli economicamente, socialisti e comunisti (lo dice lui) hanno promosso anche i somari, livellando al ribasso la qualità dell’insegnamento.
Il nocciolo del ragionamento di Ricolfi è il seguente: se non alziamo l’asticella, e riportiamo la scuola ai livelli di eccellenza di cui ha goduto in passato, non avremo mai una classe dirigente all’altezza e soprattutto non attueremo l’articolo 34 della Costituzione, perché i figli delle classi meno abbienti non riceveranno un’istruzione adeguata, ma avranno a che fare con corsi di studio mediocri, che garantiranno loro il classico pezzo di carta, ma non quell’eccellenza di cui loro per primi, ma soprattutto il Paese ha bisogno. Per ovviare a tutto ciò, il professore suggerisce di premiare gli studenti creando un sistema di borse di studio che aiuti i giovani che non se lo possono permettere a sostenersi mentre frequentano i corsi migliori. In pratica, invece di abbassare l’asticella si dovrebbe alzarla, aiutando a spese dello Stato coloro che riescono a superarla.
Il discorso non fa una grinza ed è difficile non essere d’accordo. Se vogliamo cambiare, dobbiamo premiare il merito e da qui il titolo del libro. Non so se ricordate, ma quando il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara si presentò, dicendo di voler tornare al merito, poco ci mancò che lo linciassero. L’accusa più lieve che gli venne rivolta fu quella di voler tornare a un’istruzione classista, dove solo pochi vanno avanti. La realtà è che è il mondo reale a premiare i migliori: se sei capace vai avanti, se sei un incapace e non hai particolari meriti resti indietro. È la vita a «laureare» i meritevoli e se a sinistra pensano di garantire l’uguaglianza facendo diventare tutti gli studenti un po’ più somari, credo che il nostro Paese sia avviato verso un declino nell’ignoranza.
Però, pur essendo d’accordo con Ricolfi sulla necessità di introdurre nelle scuole le borse di studio, penso anche che il problema del nostro sistema scolastico non si risolva solo garantendo ai più bisognosi una certa somma che consenta di raggiungere gli obiettivi. Il premio aiuta, ma se i primi somari sono gli insegnanti sarà comunque difficile cambiare. Nel corso degli anni infatti non si è abbassata solo l’asticella degli studenti, ma anche quella dei professori. Le mie figlie ormai sono all’università, ma avendo visto che cosa accade alle scuole elementari e medie, inferiori e superiori, non posso dire di aver sempre trovato docenti all’altezza. A volte sì, altre volte no.
Ci sono molti insegnanti appassionati e preparati, ce ne sono altri che invece non sono né l’uno né l’altro. Non hanno voglia di insegnare e non ne sono nemmeno capaci e l’unica cosa a cui sono attenti è il suono della campanella. La scuola, dopo cinquant’anni di predominio del sindacato e della sinistra, è questa. Non voglio mettere sul banco degli imputati una categoria, e non solo perché le generalizzazioni sono sempre sbagliate, ma in quanto tantissimi docenti sono motivati e competenti. Però, se non si fa piazza pulita di chi non lo è invitandolo a cambiare mestiere, sarà difficile offrire una scuola di qualità che prepari la futura classe dirigente. Per quante borse di studio si possano dare, se in cattedra sale un somaro lo studente non può trasformarsi in uno scienziato. Va bene dunque fare la rivoluzione del merito, ma prima qualche prof che non si merita lo stipendio deve essere mandato dove non può fare danni.