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Semplificare così significa discriminare

Semplificare così significa discriminare

Dal 6 luglio la Pec, ovvero la Posta elettronica certificata, diventa praticamente obbligatoria. Peccato che per circa 12 milioni di italiani rischi di trasformarsi nell’ennesimo labirinto burocratico dove ci si perde.


Quando in Italia qualche istituzione parla di semplificazione delle procedure, del rapporto con la burocrazia, di facilitazioni per i cittadini rispetto a obblighi pubblici di vario tipo, a me prende un po’ di paura perché spesso è capitato che questi snellimenti si sono risolti o in un nulla di fatto – cioè è rimasto tutto come prima – o, in vari casi, si sono trasformati in ulteriori complicazioni. E pensare che, secondo la nostra Costituzione (art. 97), si dice che gli uffici pubblici dovrebbero essere organizzati per garantirne il loro buon andamento. È ovvio che quest’ultimo non significa solo efficienza interna degli uffici, ma significa anche stabilire procedure immediate per i cittadini in modo che le loro funzioni amministrative siano accessibili a tutti con semplicità e trasparenza.

Parliamo di questo argomento perché dal 6 luglio arriva la Pec praticamente obbligatoria. Ora, c’è da chiedersi: chi sta per rendere obbligatoria la Pec, anche in campo fiscale, ha pensato minimamente a cosa voglia dire per gli ottantenni, ovvero il 7 per cento della popolazione italiana, o gli altri 7 milioni di settantenni italiani? È probabile che quei decisori non ne abbiano idea, anzi, è una certezza, perché l’alternativa possibile è altrettanto chiara: se ne hanno idea comunque se ne fregano. Cosa significhi questo è comunque chiaro e cioè che circa 12 milioni di italiani, oltre un sesto del numero complessivo, dovranno pagare un professionista per adempiere agli obblighi tramite, appunto, la Pec stessa. Siamo nella stessa condizione in cui ci siamo trovati per le dichiarazioni dei redditi precompilate delle quali il 97 per cento era sbagliato, cioè un casino.

Come tutti sanno – o dovrebbero – la Pec è un particolare tipo di posta elettronica che ha lo stesso valore di una raccomandata con avviso di ricevimento. Quindi si presuppone che le persone destinatarie di questo provvedimento abbiano una qualche competenza nel campo dei computer e di internet (notare che sono ancora molte le parti dell’Italia non coperte dalla Rete, o essa ha un segnale debolissimo, quindi inutilizzabile). Ora, sta succedendo quello che succede per molti provvedimenti assunti dalla pubblica amministrazione. Non si considera mai, o quasi, a chi essi siano rivolti e se queste persone siano in grado di adempiere a tali provvedimenti, non secondo ipotetiche capacità, ma constatando con massimo realismo le loro reali abilità. A mio avviso questo modo di procedere va contro uno dei principi fondamentali della Costituzione che è l’eguaglianza dei cittadini: infatti, se io, pubblica amministrazione, impongo ai cittadini stessi di fare qualcosa, non considerando che non tutti ne sono in grado, compio un atto che accresce la diseguaglianza tra i cittadini e dunque viola la loro uguaglianza di fronte alle leggi. È un ragionamento talmente evidente che fa impressione doverlo ricordare e doverne scrivere.

Ve lo ricordate quando fu introdotta quella idea geniale dello Spid – ovvero il Sistema pubblica di identità digitale – che avrebbe dovuto semplificare in modo sorprendente l’accesso alla pubblica amministrazione e agli atti da richiedere da parte dei cittadini? Fate la prova consistente nel chiedere a italiani di varie età e di varie parti del Paese se ciò ha semplificato il loro rapporto con la burocrazia. Tutti vi confermeranno che hanno passato dei tempi incredibili al telefono per tentare di parlare con un essere umano che semplificasse davvero loro la vita spiegandogli come procedere, spesso con risultato nullo. Cosa hanno fatto questi cittadini? O hanno trovato una buon’anima, familiare o amico che fosse, che li ha aiutati a risolvere la situazione oppure sono caduti nella famosa «depressione psico-burocratica». Trattasi di patologia che aggredisce il cittadino di fronte al labirinto in cui si trova senza poter individuare l’uscita.

Tra l’altro, purtroppo, nel 2021 «L’Italia» lo conferma l’Agenzia per la sicurezza informatica nazionale «è risultata tra i Paesi maggiormente interessati dalla diffusione generalizzata di malware e da attacchi cibernetici mirati specie in danno del comparto sanitario e di quello energetico». Oltre 90 eventi al mese, cioè in totale oltre mille incidenti informatici. Quindi non è che stiamo parlando di un Paese particolarmente sicuro, anzi, il contrario. E secondo voi chi saranno i più indifesi? Gli stessi di cui abbiamo parlato sopra. C’è di che restare sbalorditi.

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