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Tanta voglia di soldi pubblici

Tanta voglia di soldi pubblici

Si moltiplicano le inchieste sui finanziamenti alla politica, e questa che fa? Chiede più fondi per i partiti. Anche se gli italiani hanno già detto che non sono d’accordo…


Ah che nostalgia. Che nostalgia per i bei tempi in cui le casse dei partiti erano così piene che un tesoriere poteva far sparire 13 milioni comprandosi attici a Roma e ville fuori porta senza che nessuno se ne accorgesse. Che nostalgia per i bei tempi in cui un partito come la Margherita, nato e morto nel giro di cinque anni, riusciva a mettere via un tesoretto di 26 milioni di euro, pur spendendo senza ritegno per «propaganda e comunicazione» (oltre tre milioni euro), «collaborazioni e consulenze» (un milione e 600 mila euro), «rimborsi e spese di rappresentanza» (quasi un milione di euro), etc. Che nostalgia per i bei tempi in cui un partito come la Lega aveva abbastanza soldi da investire in gioielli in Tanzania, oltre che in fondi a Cipro e in Norvegia e nella laurea in Albania del figlio di Bossi detto «il trota». Che nostalgia per i bei tempi in cui i partiti potevano spendere e spandere a piene mani per andare poi in Parlamento a varare norme che costringevano i cittadini a tirar la cinghia…

Da qualche tempo i palazzi della politica sono travolti da questa nostalgia. Spirito di casta e voglia di restaurazione (dei privilegi): da destra e da sinistra, da Forza Italia al Pd, si solleva forte la richiesta di ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti. E la cosa divertente è che tutto nasce proprio dalle inchieste di corruzione che stanno scuotendo il Paese. È come se ci stessero dicendo: siccome rubiamo, dovete darci più soldi. Ma vi pare? Bisogna avere un bel coraggio. E loro, purtroppo, ce l’hanno. La giustificazione ufficiale è la seguente: se ci fosse il finanziamento pubblico, non ci sarebbe più corruzione. Ma si tratta chiaramente di una giustificazione irricevibile e infondata. Irricevibile perché sembra un ricatto (in pratica è come se dicessero: o ci date i quattrini con le buone o ce li prendiamo con le cattive). Infondata perché è dimostrato che il finanziamento pubblico non ha mai ridotto la corruzione. Anzi.

Come molti ricorderanno, infatti, il finanziamento pubblico fu introdotto in Italia, nel 1974, proprio per «ridurre la corruzione», dopo lo Scandalo petroli. Ma gli italiani si accorsero quasi subito di essere stati presi per i fondelli: infatti, nonostante lo Stato pompasse nelle casse dei partiti miliardi, essi hanno continuato a prendere soldi a destra a manca, chi dall’Urss chi dalle tangenti, senza ritegno. Non a caso si è arrivati a Tangentopoli. Ecco: quando c’era Tangentopoli c’era il finanziamento pubblico dei partiti, basterebbe questo a dimostrare una volta per tutti che il teorema «diamogli dei soldi così non rubano» non sta in piedi. Nel maggio 1993 gli italiani stanchi di essere presi per i fondelli, e leggermente irritati per quello che Mani pulite aveva svelato, andarono a votare un referendum per abolire il finanziamento pubblico. Risultato: un’altra presa per i fondelli.

Il finanziamento pubblico, infatti, venne abolito a maggio e ripristinato a dicembre con una legge, quella sui rimborsi elettorali, che di fatto introdusse un finanziamento pubblico mascherato e ampliato. Tanto che nel 2012, in piena crisi economica, ci si accorse che gli unici che avevano le tasche piene erano proprio i partiti. Gli italiani si irritarono un’altra volta, era l’epoca dei «vaffa» e delle piazze ribollenti contro la casta. Per tamponare la rivolta venne varata allora (2013) la legge sul 2 per mille, che prevede il finanziamento pubblico soltanto su base volontaria. La domanda era: riusciranno i partiti a convincere i cittadini a devolvere loro qualche soldino? La risposta ovviamente è stata: no. Ma anziché fare autocritica sulla loro incapacità e inconsistenza, i partiti hanno cominciato a pensare come fregare i cittadini un’altra volta. E si sono fatti venire in mente (siamo a oggi) l’idea geniale di sfruttare le loro ruberie per chiedere più soldi.

Presa per i fondelli al top. Per altro vorrei sommessamente ricordare che non è vero che, come dicono lorsignori, senza il finanziamento non hanno risorse. Macché. Essi infatti incassano lauti contributi per ogni gruppo costituito in Regione, all’Europarlamento e ovviamente in Parlamento. E nel Parlamento, oltretutto, negli ultimi anni si è verificata un’altra presa per i fondelli niente male: infatti è stato ridotto il numero dei parlamentari, ma i contributi per i gruppi parlamentari (a carico dei contribuenti) sono rimasti uguali.

Alla Camera per dire, fino alla passata legislatura, c’erano 230 deputati in più: il contributo per i gruppi era di 30.870.000, esattamente come adesso. Significa che ogni deputato prima aveva a disposizione oltre ai suoi lauti stipendi, indennità portaborse, etc 49 mila euro; oggi ne ha 77 mila, il 37 per cento in più. Al Senato idem: quando c’erano 115 senatori in più il contributo per i gruppi era di 22.120.000 euro, esattamente come adesso. Significa che ogni senatore prima aveva a disposizione 69 mila euro, oggi ne ha 108 mila, il 36 per cento in più. Non è abbastanza? Perché vogliono altri soldi? Dicono che così difendono la democrazia: ma non vi pare una strana democrazia quella che si difende calpestando la volontà dei cittadini? Eppure nei palazzi sono decisi. Vince la nostalgia per i bei tempi della casta. Nostalgia canaglia, ovviamente. Sempre.

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