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Se il clima cancella la cultura

Se il clima cancella la cultura

Il movimento di insegnanti di Teachers for Future incita gli studenti a «bigiare» la scuola per diventare attivisti ecologici. Ma rinunciare alla conoscenza li priverà del potere di capire.


Tutti ricorderete i Fridays For Future. Era il tempo di Greta finanziata dalle multinazionali e diretta ideologicamente da Al Gore. Ora c’è una novità: è nato una specie di movimento che si chiama Teachers For Future, insegnanti che incitano i ragazzi a non andare a scuola perché la crisi climatica è più importante, giustificano le assenze e incitano i colleghi a fare altrettanto. Ne fanno parte presidi e professori che anziché educare alle varie materie di competenza – come è loro obbligo per il quale li paghiamo anche – diventano attivisti politici per formare militanti che poi vanno a occupare le tangenziali e magari imbrattare opere d’arte. Tutto questo mentre il tasso di abbandono scolastico in Italia è notevolmente elevato. Almeno Greta con l’ecologismo ci ha fatto i soldi, la maggioranza di questi poveri giovani sono solo manifestanti che «in the future» non saranno abbastanza preparati e saranno culturalmente poveri.

La povertà culturale è una brutta faccenda perché pone il cittadino in una condizione di sudditanza nei confronti del mondo che lo circonda. Chi non sa ha sempre meno potere di chi sa: non parlo di un potere economico, evidentemente, ma di quello della conoscenza, della consapevolezza, della libertà conseguente. In parole povere: del potere di non farsi abbindolare dall’ultimo arrivato. Io non so cosa abbiano in testa questi presidi e questi professori, non so se pensino che la questione ecologica e del cambiamento climatico siano più importanti dell’analisi e e dell’apprendimento della storia greca, romana, medievale, moderna o contemporanea, non so se pensino che le materie tecnico-scientifiche, ma soprattutto umanistiche, non siano la migliore strada per poi arrivare – anche – alla consapevolezza ecologica. Per chi ha la possibilità di studiare, la cultura che si forma è una cornice entro la quale si può inserire il quadro delle conoscenze. Detto altrimenti, gli specialisti di una materia spesso perdono l’orizzonte storico-cultuale entro cui collocare quella materia, è come parlare della guerra russo-ucraina non sapendo nulla della storia dei due Paesi, anche solo recente. L’ecologismo spesso è divenuto un tema talmente centrale da escludere tutti gli altri e nelle menti dei militanti di questo movimento si è fatta spazio l’idea che esso possa divenire l’ideologia attorno a cui costruire un pensiero completo, un’ideologia potente e una vera e propria militanza.

Non è così. È profondamente falso. Un uomo di cultura sa che un fenomeno è sempre legato a molti altri fenomeni, e che per comprenderlo a fondo occorre valutarlo, come si dice «nell’insieme». È così per l’ecologismo, è così per il tema della povertà, è così per il tema delle ingiustizie sociali, è così per i processi di digitalizzazione, e per qualsiasi tema politico-sociale-culturale. O si affrontano tutte queste tematiche globalmente, oppure è giocoforza costruire ideologie miopi, incapaci di guardare un orizzonte più ampio del proprio naso e, quindi, di proporre soluzioni che abbiano un senso complessivo.

Ciò che io sto scrivendo dovrebbe essere quello che alimenta il lavoro di presidi e professori. Certo che dovrebbero parlare anche del problema ecologico, ma non incitando gli studenti a marinare la scuola e a giustificare un comportamento sbagliato facendoli diventare – e insegnando loro questa prospettiva, e non altre – attivisti politici di una parte. Ogni parte ha la sua legittimità se rimane nei limiti della legge, ma il professore non è delegato dallo Stato a insegnarne una sola, bensì a far apprendere con pari dignità i diversi punti di vista culturali che movimentano la nostra società. E non possono fare diversamente perché altrimenti vanno contro ai doveri professionali, per i quali hanno anche superato un concorso: ossia quelli di un insegnamento pluralistico, non settario e profondo dal punto di vista culturale. I docenti che spingono gli studenti in piazza e li giustificano fanno tutto il contrario. E speriamo che ci sia qualcuno che intervenga – e lo faccia velocemente – a sanzionare il loro comportamento.

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