Home » Disastro 5G

Disastro 5G

Disastro 5G

Aste deserte e incentivi giudicati poco attraenti. Gli operatori di telefonia snobbano la gare per la realizzazione della nuova rete superveloce. L’obiettivo di giugno è ormai saltato e il governo non sa davvero come uscire dall’impasse.


«Draghi? Non pervenuto per quanto riguarda la giustizia e la sicurezza, mi sembra solo un buon esperto di finanza». Non proprio generoso, il giudizio di Nicola Gratteri sul governo dei Migliori, sparato in prima serata su La7, la sera del 24 maggio. Ma sarebbe potuto andar peggio, se il procuratore antimafia più famoso nel mondo avesse ricordato che nella sua Calabria, di questo passo, il 5G resterà un privilegio per chi abita nelle zone pianeggianti. Lo scorso 10 maggio, è andata completamente deserta l’asta per la telefonia mobile di ultima generazione nelle aree bianche o a fallimento di mercato, nonostante fossero previsti finanziamenti pubblici per il 90 per cento degl’investimenti. Probabilmente decisivo l’errore (suggerito dall’Ue) di obbligare chi si sarebbe sobbarcato la realizzazione della rete ad aprirla poi all’ingrosso ai concorrenti. Ognuno deve aver pensato: «Beh, poi nelle comunità montane la rete la noleggiamo dal povero fesso che se la fa». Solo che in un settore del genere, tra le varie Telecom, Fastweb, Tre, Iliad, nessuno è fesso. E il governo è rimasto con i suoi sussidi in mano. Se un simile insuccesso l’avesse collezionato Daniele Toninelli, l’ex ministro grillino delle Infrastrutture che voleva revocare le concessioni autostradali ai Benetton ed è diventato simbolo di improvvisazione al potere, si sarebbe probabilmente toccato il nuovo record italiano di meme e prese in giro varie. Ma l’asta fallita è uscita dal sacco del ministro della Transizione digitale Vittorio Colao, ex capo di Vodafone scelto personalmente da Draghi, praticamente il meglio di quanto potesse offrire il mercato in fatto di internet e telefonia mobile.

E ora, salvo auspicabili miracoli, sarà assai complicato arrivare alla scadenza di giugno, quando le televisioni lasceranno libere le frequenze più ambite del 5G, ovvero quelle dei 700 mhz che servono per ottenere una vasta copertura in banda larga, raggiungendo le aree rurali e gli spazi al chiuso. Mario Draghi, anche per anagrafe, non è certo Matteo Renzi, che nel 2015 aveva promesso internet veloce per tutti entro il 2020. Una volta, però, ha fatto delle promesse anche lui. Era il 27 aprile dello scorso anno e l’occasione era una delle sue rarissime apparizioni parlamentari, ovvero la presentazione in Senato del Pnrr. «Sulla banda larga il governo intende stanziare 6,31 miliardi per le reti ultraveloci, banda larga e 5G. Vogliamo portare entro il 2026 reti a banda ultralarga ovunque». Forse inconsapevolmente, anche Draghi ha messo il traguardo a cinque anni, ma a differenza di Renzi contava di non essere a Palazzo Chigi per l’epoca.

Il 25 aprile, per una volta, l’Unione europea non ha messo i bastoni tra le ruote all’indebitata Italia. Forse in ossequio alla festa della Liberazione, la Commissione di Bruxelles ha dato il via libera ad aiuti di Stato per 2 miliardi proprio sul 5G, fondi previsti per il Pnrr. Capire come stia veramente l’Italia, però, non è facilissimo e lo ammette la stessa Ue. Se si scorrono le tabelle del suo ultimo rapporto trimestrale del «5G Observatory», aggiornato a marzo 2022, esce un quadro che riflette una certa confusione. L’Italia è tra le nazioni che hanno assegnato per prime le licenze per le nuove reti 5G, con l’asta del 2018 in cui ha incassato 6,5 miliardi. Con il senno di poi, forse un po’ troppo, vista la fatica degli operatori a investire.

Sempre nel rapporto Ue, si scopre che è impossibile misurare con precisione l’avanzamento delle reti 5G nella Penisola, perché insieme a Estonia e Svezia siamo gli unici a non avere il dato delle «stazioni di base». In ogni caso, l’Italia è accreditata di un 60 per cento di copertura, appena sotto il 64 per cento della media Ue a 27. I problemi nascono quando si va a vedere la qualità della copertura, come sanno i consumatori ai quali i vari operatori si rivolgono parlando di «vero 5G», che sarebbe solo quello con reti nuove e non quello che «ricicla» e combina tra loro infrastrutture vecchie e tecnologie nuove. Qui, il caso italiano è trattato diffusamente nel citato «5G Observatory» di marzo. «Non possiamo dedurre che un operatore sia in ritardo sul 5G rispetto a un altro dal fatto che abbia una copertura del 40 per cento contro l’80 per cento del concorrente», si afferma nel rapporto. E si fa l’esempio di Wind «che ha una delle reti più estese d’Europa, visto che offre il 96 per cento della copertura della popolazione (…), ma la copertura a 3,6 Giga è di poco superiore al 50 per cento».

Le «contraddizioni italiane nell’approccio al 5G» segnalate dall’Unione sono anche visibili nell’ultimo rapporto della società di analisi indipendente inglese Opensignal: la velocità di navigazione è di 64,7 megabit al secondo per i clienti WindTre; 103,5 megabit per Iliad; 126,2 per Vodafone e 273,7 per Tim. Il dato di Wind è ovviamente influenzato dal crollo delle performance nelle aree più disagiate. Purtroppo, il fallimento dell’asta sulle aree bianche mette a rischio il rispetto della scadenza del 30 giugno per i bandi sul digitale e questo a danno non solo del 5G, ma anche della connessione di scuola, sanità e del cosiddetto «secondo miglio», ovvero la tratta che collega le centrali alle dorsali. «Siamo preoccupati per questo», ha osservato Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd, raccogliendo le proteste delle comunità montane e di decine di sindaci. Idem ha fatto la Lega, che ha chiesto un correttivo immediato all’asta andata deserta.

I Cinque stelle si sono spinti oltre e Mirella Liuzzi, ex sottosegretario al Mise, ha messo sul tavolo una serie di proposte, tra cui lo spostamento di quei 974 milioni in altri bandi del digitale, «piuttosto che ritagliare un nuovo bando utile solo a comunicare che abbiamo impiegato i soldi del Pnrr», e la rateizzazione degli esborsi degli operatori per i diritti di utilizzo delle frequenze 5G. Certo, l’asta andata deserta resta uno schiaffo al governo, ben aiutato dall’Ue, che aveva suggerito di consentire l’affitto della rete anche nelle oltre 2 mila «zone diseconomiche». Anzi, totalmente diseconomiche, perché si tratta di aree a profitto zero. In sostanza, nessuno andrà mai a piazzare le nuove antenne per cellulari nelle zone più impervie dell’Appenino se non ne può ricavare un vantaggio economico o, almeno, competitivo. Oppure ci dovrà pensare direttamente lo Stato. Ha fatto 90 (per cento), potrebbe fare 100. Prima che a qualcuno, con la scusa di salvare il Pnrr, venga in mente di nominare un generale del Genio come «commissario straordinario di governo al 5G».

© Riproduzione Riservata