«Giampaolo è lì nell’urna, sempre vicino a me. Gli chiedo consigli, in qualche modo ci parliamo. Ma non vorrei che mi prendessero per matta. Nel caso, pazienza. Sono contenta che stia qui a casa sua, non nel cimiterino di paese dove è rimasto per un po’…». Parlare con Adele Grisendi, vedova di Giampaolo Pansa dal 12 gennaio 2020, vuol dire evocare il grande giornalista. Non perché Grisendi, che ha scritto undici libri, con l’ultimo appena arrivato in libreria, La figlia di Nora (Rizzoli), sia degna di considerazione solo in quanto moglie di un importante – e discusso fino alla fine – nome della stampa italiana, anzi. La signora è stata semmai la donna profonda e intelligente che ci si aspetta dietro a un grande uomo, o meglio al fianco, talvolta davanti per acume e tenacia. Ed è appunto una scrittrice, non ha bisogno di sbandierare il defunto marito per farsi leggere ed apprezzare.
Ma Pansa, sia pure quieto nelle sue ceneri, compare eccome, se si parla con Adele Grisendi. «Siamo stati insieme trent’anni, un amore vero. Non si sapeva dove cominciava uno e dove finiva l’altra. Ho anche scritto un libro sulla mia vita con lui, ci mancherebbe che non ne parlassimo. Oltretutto il mio La figlia di Nora è il seguito di I tre inverni della paura, una saga di famiglia segnata dal sangue di un’esecuzione iniziale. Giampaolo non volle proseguire la storia, che arriva fino al tempo delle Brigate Rosse. Non gli piaceva trattare ancora il terrorismo degli anni di piombo, che tanto lo aveva preso nella professione giornalistica. Ci ho pensato io». Con la benedizione laica del marito dall’aldilà, ci si immagina.
La fusione tra due persone che si amano, scambiano ogni idea, armonizzano le asperità dei caratteri è un fiore raro, in grado di ravvivare oltre la morte di metà della coppia. Adele e Giampaolo sono stati (sono) questo miracolo e hanno dovuto tenere duro per vivere la felicità. «Giampaolo era sposato, quando ci siamo messi insieme. Non ha mai lasciato legalmente la moglie. Era più grande di lui, è morta nel 2015 e non l’ho mai incontrata. Ho sposato Pansa il 14 gennaio 2016. Da moglie e marito ufficiali siamo durati quattro anni, il destino ha voluto così». Il destino ha anche voluto che Adele, dirigente sindacale della Cgil, comunista, venisse poi additata come traditrice della causa (le chiese non perdonano gli eretici), in solido con Giampaolo, anch’egli figlio della sinistra e autore di libri – uno su tutti, Il sangue dei vinti – in cui venivano accesi i riflettori sui crimini rimossi compiuti dai partigiani dopo il 25 aprile, a Liberazione avvenuta.
Storie di esecuzioni sommarie, di civili frettolosamente inquadrati come pericolosi fascisti ed eliminati. Storie di una guerra clandestina: il lato oscuro che getta ombre sulle pagine gloriose della Resistenza partigiana, all’origine dell’Italia democratica. Nel «triangolo della morte» emiliano-romagnolo, dove il Pci era dominante, le uccisioni degli avversari di classe – secondo Pansa coperte se non favorite dallo stesso Partito, allora guidato da Palmiro Togliatti – erano una sorta di prova generale della rivoluzione proletaria prossima ventura. Nessuno aveva mai osato indagare quel convulso periodo storico. Pansa lo fece senza pregiudizi, da uomo di sinistra che non aveva paura di guardare in faccia una scomoda verità: anche la sua parte commise nefandezze. I suoi libri nacquero dopo ricognizioni sul campo, studio di documenti, ascolto di testimonianze, interviste, indagini negli archivi.
Un lavoro storico-giornalistico a cui partecipò Adele Grisendi. Anche per lei fu doloroso scoprire che non erano tutti eroi, coloro che in apparenza avevano preso le armi per liberarci dal nazifascismo. Fu Adele a suggerire il titolo del libro che fece più rumore, ed ebbe un clamoroso successo di pubblico: appunto Il sangue dei vinti. «Giampaolo era molto amareggiato dalla reazione dei colleghi di Repubblica, da Scalfari in giù, con i quali aveva lavorato per trent’anni. Dopo la pubblicazione lo consideravano un appestato, un voltagabbana, addirittura un fascista. Non se ne capacitava. Per lui contava la verità storica. Non avrebbe mai nascosto una notizia solo perché poteva mettere in cattiva luce una parte politica. Mio marito nulla aveva del giornalista allineato. L’amarezza se la portò dietro fino agli ultimi giorni, pur restando sempre, nel fondo del cuore, un uomo di sinistra. Ma libero, non imbrigliato come tanti. Per consolarlo gli dicevo: vorrà dire che perderemo degli amici e ne troveremo degli altri».
Cercarono di denigrarlo in tutti i modi. Dissero: Pansa non ha fatto un lavoro da storico, mancano i documenti, le testimonianze, colora, inventa. «Una volta, a un pranzo, l’allora direttore di Repubblica, Ezio Mauro, lo avvicinò, puntò il dito e gli disse: “Tu devi ricominciare a scrivere per i tuoi vecchi lettori”. Giampaolo ci restava male. Dei politici non gliene fregava niente, neppure degli storici, ma essere trattato come traditore dai colleghi, come un Valdo Magnani espulso dal Pci nel 1956 perché contrario all’invasione sovietica dell’Ungheria, questo lo feriva». Pure Adele si era messa in urto con il suo mondo di riferimento, il comunismo emiliano, quando pubblicò il romanzo autobiografico La famiglia rossa. «Ma poteva essere anche blu, gli apparati partitici e sindacali sono quella roba lì. I compagni mi hanno trattato veramente male, letto il libro. In più sono una donna, tra uomini ci si mette d’accordo, con le donne no».
Giampaolo è diventato cenere restando di sinistra, nonostante le amarezze, e pure Grisendi vorrebbe rimanere da quella parte. «Ma che sinistra c’è? Ha il piede in 40 staffe. Non prende una posizione seria, che sappia convincere. Mio padre avrebbe detto che sono tutte mezze calzette. Anche la manifestazione per l’Europa di Roma, lanciata da Michele Serra, cosa può produrre? Non hanno trovato una quadra, ognuno è tornato a casa con le proprie idee. Serra è quello che faceva il festival di Cuore, sulle sponde dell’Enza, a Montecchio Emilia, dove sono nata. Ci andai una sera: c’era il mago Otelma che intervistava Romano Prodi. Una satira divertente. Adesso Serra si è incupito, basta vederlo in tv da Riccardo Formigli. E la Schlein, il nuovo che avanza, fa solo politica di rimessa su ciò che fa Giorgia Meloni. Andiamo avanti così, per i prossimi anni. Se ci fosse una forza di centrosinistra, di sinistra moderata, non avrei dubbi a votarli. Farei pure proselitismo, come si diceva un tempo».
Pansa aveva un figlio, Alessandro, economista e dirigente d’azienda (venne rimosso da Matteo Renzi quando era alla guida di Finmeccanica), morto d’infarto a 55 anni, nel 2017. «Per lui rimasi sempre la donna colpevole di aver portato suo padre fuori casa» dice Grisendi. «Anche con Giampaolo, Alessandro è stato duro. Non l’ha mai perdonato, mio marito ne soffriva. Quando è morto è stato terribile. Avevamo appena finito di cenare e ricevo una telefonata da Angelica, la figlia di Alessandro, che stava a Londra. Mi dice: il nonno è lì con te? Sì, risposi. E lei: volevo dirti che papà non c’è più, ha avuto un infarto, è morto. Guardai Giampaolo, gli chiesi se stesse bene e mi feci forza. Ti devo dire una cosa che ti farà molto male, dissi. E parlai. Lui reagì prendendo il telefono e chiamando Alessandro: non credeva che fosse morto. Poi chiamò Costanza, la moglie di suo figlio, e si rese conto della tragica realtà. Non apriva bocca, era di sasso, chiuso nel dolore. Non volle andare al funerale, a Milano. Se vado vengono tutti a parlare con me, mi disse. In realtà non riusciva neanche a immaginare di poterlo vedere dentro la bara. Lo salutò con una commovente lettera pubblicata sul quotidiano La Verità». Siamo andati a rileggerla, la lettera. C’è scritto: «Ti confesso che ho il terrore di sognarti. Però, mio bel fieu, mio bel ragazzo, ti accoglierò sempre a braccia aperte». E poche righe avanti: «Mi piacerà ascoltare di nuovo la tua voce che mi dice: fai bene a scrivere contro questi nuovi politici che stanno portando il nostro Paese al disastro».