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Se si risveglia l’antisemitismo in Francia e Germania

Se si risveglia l’antisemitismo in Francia e Germania

Gli echi della nuova crisi mediorientale sono risuonati fino in Francia, Germania e Austria risvegliando un antisemitismo latente che sembra essere esploso dopo l’attacco di Hamas a Israele.


A un mese dall’aggressione, il bilancio parlava di circa 1.100 casi e quasi 500 fermi: un bollettino accompagnato da una serie di episodi inquietanti. Primo fra tutti, la comparsa delle tante stelle di David sui muri di diverse città, tra cui Parigi, sulle quali aleggia il sospetto di un’operazione russa. A questo si sono aggiunti poi altri fatti, come il video diventato virale dove alcuni giovani intonano canti nazisti nel metro e l’aggressione ad una donna ebrea a Lione (anche se il movente di quest’ultimo caso resta sconosciuto).

«La Repubblica sarà presente per proteggervi e sarà spietata con tutti i portatori di odio», prometteva il presidente Macron agli ebrei di Francia in un discorso alla Nazione trasmesso pochi giorni dopo l’aggressione subita da Israele. Ma la comunità ebraica in Francia, una delle più importanti d’Europa (440 mila persone circa), ha paura, mentre tutto il Paese vive con i nervi a fior di pelle per il ritorno dell’incubo jihadista dopo l’attacco di Arras, dove è stato ucciso a coltellate l’insegnante Dominique Bernard. I timori sono poi alimentati dalle reazioni dell’opinione pubblica, con l’importante partecipazione alle manifestazioni a favore della Palestina. E, come da tradizione, non manca la polemica politica: dopo che il leader della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, si è rifiutato di definire Hamas come un movimento terrorista, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha parlato di un mix tra «una forma di Islam radicale» e una «di ultra-sinistra». I partiti non sono riusciti a mostrarsi compatti neanche in occasione della marcia contro l’antisemitismo del 12 novembre, disertata dalla gauche più estrema a causa della presenza di Marine Le Pen e dell’ultraconservatore Eric Zemmour, che hanno messo in imbarazzo anche la maggioranza, con Macron ha invitato l’estrema destra a non mischiare «il rifiuto dei musulmani e il sostegno agli ebrei». Un clima intriso di una rischiosa indifferenza, come dimostra anche un sondaggio pubblicato dal Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif), secondo cui il 34 per cento dei francesi afferma di non avere «né simpatia né antipatia» per Hamas. Per tutta risposta, sui social è stato lanciato l’hashtag #JeSuisJuif (sono ebreo), che riprendendo il più celebre «Je suis Charlie» nato nel 2015 dopo l’attacco al settimanale satirico Charlie Hebdo, punta a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un pericolo percepito come sempre più concreto.

E in Germania? Se avessero aspettato otto giorni il loro gesto avrebbe avuto un risalto ancora più grande: il 1° novembre ignoti hanno dato fuoco ai locali della sezione ebraica del cimitero di Vienna. L’ultima volta era successo il 9 novembre 1938, data della Notte dei cristalli. Oggi come allora sono andati in fumo suppellettili e preziosi libri di culto, oggi come allora sono state disegnate svastiche sul muro di cinta del cimitero – ma non è escluso che la simbologia nazista sia un tentativo di depistaggio – soprattutto oggi come allora è andata in fumo la fiducia in un futuro sereno per gli ebrei in Austria. Nel paese che ha dato i natali ad Adolf Hitler, il presidente Alexander van der Bellen ha stigmatizzato il rogo del sito ebraico. Di più: il governo del cancelliere Karl Nehammer è stato fra i pochissimi in Europa a schierarsi apertamente con Israele nel dibattito all’Assemblea generale dell’Onu sul conflitto tra lo Stato ebraico e Hamas (l’Italia si è astenuta). Eppure «fra il 7 e il 29 ottobre abbiamo registrato 165 atti di antisemitismo in Austria» ha denunciato Benjamin Nägele, segretario generale della molto preoccupata comunità ebraica cittadina. A Vienna, è vero, c’è chi ha manifestato in solidarietà agli ebrei, come è successo a Berlino dopo il lancio di una molotov contro la sinagoga Adass Jisroel, nel centro. Ma anche nella capitale tedesca si sono viste manifestazioni di tanti giovani di origine mediorientale che, sostenuti da elementi della sinistra radicale, hanno scandito slogan contro Israele ed ebrei. Nuovi segnali di un’intolleranza di massa che inquietano la rinata comunità ebraica di Germania. I politici tedeschi hanno condannato l’odio antisemita: uno fra di loro, però, ha fatto un passo in più.

A inizio novembre il vicecancelliere Robert Habeck, ministro verde dell’Economia e del clima, non si è limitato a rammentare il dovere storico del suo paese di proteggere gli ebrei e Israele. Habeck ha anche ricordato ai musulmani in Germania (oltre cinque milioni di persone, in gran parte cittadini tedeschi) che questo dovere è anche il loro: «I musulmani che vivono qui hanno il giusto diritto di essere protetti dalla violenza degli estremisti di destra. Adesso devono onorare lo stesso diritto degli ebrei, ora che gli ebrei sono stati attaccati. Devono prendere chiaramente le distanze dall’antisemitismo per non compromettere il loro stesso diritto alla tolleranza». Un appello finora largamente inascoltato.

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