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Antonio Decaro: «Il governo non ci prenda in giro»

Antonio Decaro: «Il governo non ci prenda in giro»

«Il potere di chiudere strade o luoghi pubblici lo avevamo già» dice Il sindaco di Bari e presidente dell’Anci. «Ma scaricare su di noi la decisione impopolare del coprifuoco non era corretto».


Sindaco Decaro, voi sindaci avete protestato perché il governo vi ha dato più poteri. Non è strano?

Eh no! Messa così sarebbe una follia. Mica siamo matti.

E come sono andate davvero le cose, sul Dpcm che vi ha fatto arrabbiare?

Intanto il potere di chiudere strade o luoghi pubblici lo avevamo già.

Anche prima del Covid, intende.

Esatto. Nella prima fase dell’emergenza, lo abbiamo… «fatto congelare», cedendo addirittura sovranità al governo.

E perché?

Allora non sapevamo ancora nulla dell’epidemia. Esempio: le due prime zone rosse erano giuste, e solo il governo aveva dati e informazioni per deciderle. Mi ha sentito protestare? Ovviamente no.

Ma allora perché vi siete arrabbiati quando Conte questo potere ve l’ha restituito?

In quei termini la cosa era una duplice presa in giro.

Addirittura?

Ma scusi: per una settimana facciamo 20 riunioni con governo e regioni.

Prima del decreto.

Esatto: ore e ore insieme, fino alle sei di domenica. Poi alle nove vedo Conte in tv e mi incazzo!

E perché?

Ma come? In quegli incontri non si dice una sola parola sui sindaci, poi scopro addirittura che l’unica cosa importante del decreto è che ci scaricano addosso il potere di ordinanze limitative.

Capisco la sorpresa, ma perché arrabbiarsi?

Dài, è chiaro. È stato un modo per scaricare sui sindaci la decisione impopolare del coprifuoco.

Di notte, però, il termine «sindaci» è stato cancellato, e ora il potere è in capo a diverse autorità tra cui i prefetti.

Appunto: quella è la prova della coda di paglia. Hanno cambiato il Dpcm perché noi ci siamo ribellati.

Qual è il secondo motivo per cui vi siete arrabbiati, a parte questo effetto sorpresa?

La dinamica. Abbiamo capito che sulle palestre non avevano deciso nulla, sulle scuole nemmeno, e sul coprifuoco erano divisi: così quella delega ai sindaci era un escamotage.

Di che tipo?

Di immagine. Un modo per dire: vedete? Qualcosa di grosso lo abbiamo deciso. E così ci hanno girato una patata bollente.

Antonio Decaro, sindaco di Bari, guida l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) dal 2016. Mentre spiega il clamoroso conflitto della settimana scorsa con il governo, mi fa capire i tanti paradossi che stiamo vivendo nel tempo del Covid: guerra tra poteri, peso delle conseguenze mediatiche di ogni scelta. La sua storia e il suo racconto di questa stagione sono un saggio straordinario sulla politica ai tempi del Covid.

Sindaco perché la soluzione attuale la rende più felice?

Vede, chiudere una strada, o una piazza, è come ordinare un Trattamento sanitario obbligatorio: la faccio io, il sindaco, ma mi devo far aiutare dalla Asl.

Perché questo esempio?

Per spiegare che il gioco del cerino non esiste: si governa nella condivisione delle responsabilità e dei poteri.

E sul Covid?

I controlli di contrasto all’epidemia sono coordinati da prefetto e questore, d’intesa con la Asl, e coinvolgendo il sindaco.

Certo.

Vede com’è difficile la democrazia? Non c’è la bacchetta magica. Fatta in quel modo era un’operazione tesa a scaricare responsabilità sui sindaci.

Lei ha un buon rapporto con Conte. Che le ha detto, poi?

«Hanno sbagliato i ministri a non comunicartelo. Non era questo l’intento».

Mi faccia un altro esempio.

Lei sa che in una città come Bari io la sera ho solo tre pattuglie di vigili?

Mi pare poco.

Ecco, aggiunga che per via di una circolare ministeriale si possono occupare solo di incidenti stradali.

E mi dice questo perché?

Per spiegare che se mi vuoi dare poteri mi devi dare anche strumenti. Altrimenti è una presa per i fondelli.

Britannico ma chiaro. Parliamo di lei. Cosa facevano i suoi?

Mio padre era una macchinista, ferroviere.

Come nella canzone di Guccini?

Esatto. Aveva una bellissima divisa, la mia massima ambizione da bambino era indossarla: anche se ci navigavo dentro.

E sua madre?

Insegnante alle elementari. Un giorno mi capitò come supplente: «Ti sequestro le figurine!».

Un fratello, giusto?

Tre anni più piccolo: professore ordinario di veterinaria. Si occupa di virus sugli animali. Uno dei maggiori esperti al mondo dei coronavirus.

Utilissimo, di questi tempi.

Mi ha spiegato che i pipistrelli non hanno difese immunitarie, per questo diventano protagonisti della «zoonosi», il passaggio di stato dei virus.

Chi era il secchione tra voi due?

Siamo laureati e diplomati entrambi con il massimo dei voti: lui senza fatica, io sudando sette camice.

Lei è geometra.

Sognavo di fare Ingegneria dei trasporti. Ci sono riuscito.

Nei primi anni da sindaco andava a casa delle persone: populismo?

No, l’unico modo per capire. Un giorno, una signora anziana di Poggiofranco – quartiere bene di Bari – mi spiegò che con la pensione non riusciva a pagare l’Imu.

E cosa fece lei?

Introdussi l’Isee.

Ha istituito gli «Incontri del martedì», dove fa sportello con i cittadini: nello stile del democristiano Remo Gaspari?

Scherza? Siamo come il 118, abbiamo risolto tanti problemi.

Un incontro indimenticabile?

La signora di popolo che si presenta con le figlie e mi chiede: «Sono disperata, mi dia un lavoro».

E lei?

Le ho risposto che non potevo farlo.

E la signora?

Tira fuori dalla borsa una tanica di benzina.

Ommamma.

Il bello è che era già successo a Emiliano: un signore si voleva dare fuoco e si era cosparso di benzina davanti a lui.

E come era andata?

(Ride). Lo racconto sempre: Emiliano lo aveva schiacciato al muro con la sua mole di 140 chili, e lui non era riuscito ad accendere.

Davvero?

Michele protestò con me: «Tu questa cosa non la puoi più raccontare così!».

Perché?

(Ride ancora). Diceva: «Perché ora peso 125 chili!».

Torniamo alla sua signora con la tanica.

Pensando a Emiliano le dico: «Signora, ma perché si vuole suicidare? Ci sono le sue figlie!».

Giusto!

Sa che cosa mi risponde? «Io mi devo suicidare? Io t’accid’a te!».

Meravigliosa.

Ho fatto per queste persone il Cantiere di cittadinanza: 450 euro al mese. Tirocinio nelle aziende.

Funzionava?

Il 20 per cento venivano assunti. Ora mi occupo degli Under 29 con «Bari 29».

Quanti furbetti si trovano?

Con la Guardia di finanza molti. Ma la maggior parte dei disperati ha bisogno. Non funziona il collocamento, ma gente con la tanica non ne abbiamo vista più, va detto.

Suo padre faceva politica?

Era un sindacalista della Cgil: consigliere comunale Psi nella preistoria della Prima repubblica.

E sua madre?

Situazione complicata: veniva da una famiglia ultra-comunista. E mio zio aveva sposato la nipote del parroco, portando dentro la famiglia la Dc.

Risultato?

Litigavamo dalla mattina alla sera. Anche a insulti, talvolta.

Addirittura.

Una volta dissi a Veltroni: «Devo dirti grazie perché a casa Decaro solo con il Pd abbiamo smesso di litigare».

Magari. Primo lavoretto?

Vado «a fare l’acinino». Due-trecento mila lire al mese, d’estate, per pulire l’uva.

E cosa ci si pagava?

La vacanza in Grecia, che costava poco.

Sposato?

Con Katia: siamo fidanzati dai 18 anni. Abbiamo due figlie. Una di 11 anni e una di 19. La grande si è patentata e gira con la Uno scassata del nonno. Mi sono sentito vecchio.

Dove si laurea?

Al Politecnico si Bari. Tesi sull’ottimizzazione del traffico negli assi urbani.

Si offrirà come consulente alla ministra Paola De Micheli?

Grazie a quella tesi sono diventato assessore.

Il suo primo impiego?

In una società di ingegneria e poi l’Acquedotto pugliese. Da ingegnere mi occupavo della sicurezza.

E poi?

Assunto all’Anas. Responsabile regionale dell’ufficio regionale progetti.

Quanto tempo?

Tre anni. Pensi! Ho progettato la Statale 96 Bari-Matera, 15 anni prima, e poi l’ho inaugurata da sindaco, 15 anni dopo.

Folle.

Uso l’aneddoto per spiegarle i tempi della pubblica amministrazione.

Si sente ancora ingegnere?

Uhhh! I miei mi prendono in giro. Quando viaggio dico: «Guardate che bello!».

Parla del paesaggio?

No: io vedo le palificate, le barriere in tripla onda di acciaio, i New Jersey…

Ma come ci arriva in politica?

Emiliano chiede dei nomi alle civiche per la giunta, tra cui il mio.

E viene preso lei.

Il bello è che aveva scelto un altro, un mio amico, per l’ambiente, e glielo aveva comunicato. Io chiamo Enzo per congratularmi.

E poi?

Poi di notte Michele cambia idea e mi dice: «Ti ho scelto come assessore ai trasporti».

Assessore, poi deputato, e si dimette dopo solo un anno per fare il sindaco perdendo – almeno – 10 mila euro al mese. Un altro non lo avrebbe fatto.

(Ride). Ma infatti nemmeno io. Non avevo nessuna intenzione, e mi sentivo un vigliacco.

Cosa la fece cambiare idea?

Mia madre. Io le dicevo: «Devo pensare alla famiglia, alle figlie..». E lei, molto prosaica: «Guarda che stai facendo una figura di merda!».

E poi due mandati all’Anci, con votazioni bulgare.

Vero, bulgare. La prima volta mi eleggono all’unanimità con quattro astensioni. La seconda addirittura per acclamazione.

E i sindaci di destra?

Mi vogliono bene.

Spieghi quanto è difficile fare il sindaco.

Le racconto di Massimo Caravaggio, sindaco di Gombito (Cremona).

Perché?

Tutti facevano l’incidente a un certo incrocio e lui va a controllare.

E che cos’era?

La siepe era cresciuta fino a coprire la segnaletica di pericolo.

E lui chiama il servizio giardini?

Ovvio. Ma quelli non vanno perché dicono che non hanno disponibilità.

E Caravaggio cosa fa?

Va dal ferramenta compra il necessario, va lui e taglia la siepe.

Gli avranno dato una medaglia, spero.

Viene multato dall’Asl perché non indossava i dispositivi di protezione individuale.

Da delirio.

C’è di peggio. Paolo Erba, sindaco di Malegno (Brescia), ha usato per la città mille euro raccolti con il 5 per mille.

Era suo dovere.

Vero. Ma l’Agenzia delle entrate gli contesta di aver rendicontato con 20 giorni di ritardo.

E quindi?

Il ministero gli chiede di restituire la somma.

Si sarà rifiutato.

No, lo ha fatto. Ma a modo suo.

Cioè?

Ha preparato sei sacchi pieni di monetine da un centesimo, 168 chili di peso, per il totale di mille euro. Glieli ha spediti dicendo: «Visto che siete così rigorosi, contateveli».

Ancora nessuna inchiesta per lei?

No, e faccio gli scongiuri. Ma non ho problemi a dire che Chiara Appendino non doveva essere condannata.

No?

Non può essere responsabile di una operazione iper-tecnica di bilancio, o dell’ordine pubblico sulla capienza di una piazza. Tant’è vero che anche quella norma è già cambiata.

Mi faccia un esempio su di sé.

La «generica emergenza». A noi arriva una comunicazione sul «Pericolo neve in Calabria in Puglia e in Basilicata».

E che succede?

Ho chiuso le scuole quando non ha nevicato. E le ho lasciate aperte quando ha nevicato.

Ma non è grave.

Nel primo caso incontro un genitore furibondo: «Meh, dove lo lascio mio figlio, a casa tua?». Nel secondo un altro, ma sempre furibondo: «Ora mi dai le catene per andarlo a prendere mio figlio sotto la neve?».

Ah ah ah.

Giuro. Ecco perché questo del Covid per noi è stato un anno durissimo.

Perché?

Noi siamo custodi delle paure e delle aspirazioni dei cittadini. Io durante il lockdown giravo per le strade e per i giardini per dire che cosa dovevano fare.

Ovvio.

Sono dovuto andare a cacciare dei ragazzi da una piazzetta che avevo appena inaugurato. Ovviamente non capivano.

E poi?

Abbiamo fatto un lavoro incredibile per centri estivi e scuole. Tutto molto complicato dal punto di vista umano.

Errori?

Una diretta Facebook di cui mi vergogno: primo giorno del coprifuoco, strada deserta, tutto funzionava… ma a un certo punto mi sono messo a piangere.

Qualcosa non funzionava?

Nulla. Ma la città era spenta, morta. Ho provato un sentimento violentissimo.Il successo dell’anti-Covid era una morte civile. Eravamo la quinta città per i turisti e siamo diventati una «ghost town».

È il paradosso che ci accompagna ancora oggi.

Esatto. Non ho rimosso quel video perché ora sono convinto che non sia stato vano.

Sul trasporto pubblico ha delle colpe?

Scherza? Anche se si cancella la gara, il supermercato degli autobus non esiste. Ci vogliono 13 mesi per costruirlo da quando lo ordini.

E la sanità?

Lo Stato ha dato risorse alle Regioni: ma siamo ancora troppo lenti. Dobbiamo sfruttare questo disastro per cambiare.

C’è il rischio di una nuova chiusura?

Farò di tutto per scongiurarla. Un altro lockdown sarebbe una catastrofe.

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