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L’Argentina in crisi è terra di conquista

L’Argentina in crisi è terra di conquista

Cile, Uruguay, Brasile e persino Bolivia: da questi Stati i «turisti degli acquisti» arrivano a Buenos Aires e in altre zone di confine Paese… La sua economia al collasso e un’inflazione alle stelle favoriscono chi vuole fare affari, ma deprime ancora di più una popolazione allo stremo.


Da un paio di mesi brasiliani, cileni, uruguaiani e boliviani si riversano in Argentina per via aerea, terrestre e marittima, approfittando della spaventosa crisi valutaria che rende tutto nel Paese del tango un enorme affare rispetto ai prezzi di casa propria. A fiutare per primo il business è stata a inizio di maggio la compagnia di autobus Andesmar, che gestisce la rotta terrestre Santiago del Cile-Mendoza, promuovendo tour nei fine settimana negli ipermercati della città del vino argentina. Partono dalla capitale cilena e per l’equivalente di 45 euro portano i «turisti dell’acquisto» oltre frontiera: partenza il venerdì, colazione inclusa e ritorno ìsabato pomeriggio. I cileni hanno a disposizione tra le sei e le otto oreì per effettuare le compere e possono trasportare come bagaglio a mano una valigia con un peso massimo di 30 chilogrammi, più uno zaino e, alla fine, tra elettrodomestici, carni pregiate e vini, possono risparmiare fino all’equivalente di 200 euro. Inoltre, convertendo pesos cileni in quelli argentini, sul mercato nero dagli «arbolitos» – i cambiavalute di strada – il risparmio raddoppia. Sono più di 10 mila i cileni che, secondo i dati doganali di Mendoza ogni giorno arrivano per fare la spesa. Un boom cresciuto a tal punto da costringere, da metà luglio, alcuni ipermercati della seconda città argentina a fissare delle ore precise per soddisfare esclusivamente lo shopping degli stranieri.

Anche gli uruguayani attraversano il confine per mangiare bistecche a buon mercato e riempire i bauli dell’auto, con prodotti per la casa e ogni bene trasportabile. Soprattutto nei weekend qando le code alla frontiera con l’Argentina si allungano per chilometri a causa di questi acquisti «mordi e fuggi». Del resto, come evidenzia un’inchiesta dell’Università Cattolica di Montevideo, oggi è per il 60 per cento più economico acquistare beni di prima necessità con la carta di credito che usa il cambio ufficiale nella città di confine argentina di Concordia rispetto al lato uruguaiano del Rio de la Plata. Percentuale che raddoppia, consentendo un risparmio di oltre il 120 per cento, se si cambia la valuta al mercato nero.

Non a caso dal 1° aprile a fine giugno gli abitanti della capitale uruguaiana hanno speso l’equivalente di 10 miliardi di euro in Argentina. A causa di questi flussi, il ministro delle Finanze della piccola Svizzera sudamericana, Azucena Arbeleche, ha riconosciuto che il suo governo sta perdendo molte entrate fiscali con i suoi cittadini che preferiscono comprare oltrefrontiera. Oppure anche solo fare il pieno di benzina se si vive vicino al confine, visto che in Uruguay il carburante costa 70 pesos, l’equivalente di 1,69 euro al litro, mentre in Argentina è pari a 0,48 euro, meno di un terzo.

Da maggio il numero di uruguaiani e di cileni entrati a Buenos Aires è triplicato. Uno scenario analogo per tutti gli Stati confinanti, Bolivia compresa. «È ovvio che se il dollaro ufficiale in Argentina è a 291 pesos e il dollaro “blu” (come si chiama quello cambiato al mercato nero, ndr) il doppio, il turismo dello shopping oltre al contrabbando sia in crescita» spiega Gary Rodríguez dell’Ibge, l’Istituto boliviano per il commercio estero. Le assurde politiche di cambio controllato dell’Argentina che imitano quelle del Venezuela nell’illusione che il peso non si svaluti troppo e hanno come unico effetto quello di far volare mercato nero e inflazione, sono una manna anche chi vive in Brasile. Secondo la conversione ufficiale, infatti, un real al 6 agosto era scambiato a 57 pesos, ma al cambio nero a 120, il che consente ai brasiliani di sentirsi «quasi ricchi» a Buenos Aires, con la stazione sciistica di Bariloche in Patagonia prese d’assalto da turisti e «shopper» verde-oro durante le ultime vacanze invernali di luglio.

Unico problema, la sicurezza: visto che la divisa argentina è molto svalutata e la banconota di massimo taglio è di solo 2 mila pesos, equivalente a neanche 4 euro al cambio nero, chi usa i contanti finisce per portare con sé un’enorme quantità di banconote. Un fenomeno che ricorda sempre più lo scenario causato dalle folli politiche prima di Hugo Chávez e poi del Nicolás Maduro in Venezuela e che, a causa della crescente violenza e delle possibili frodi degli «arbolitos», spaventa i brasiliani. La maggior parte di loro preferisce così ricorrere a Western Union. Il tasso scelto da questa multinazionale, che ha stretto accordi con Brasilia e Buenos Aires, è il «blue chip swap» che riflette il valore reale del dollaro nel giorno in cui viene definito il cambio, e non quello fuori mercato fissato dal governo argentino. Certo, si sono commissioni addebitate del 3 per cento sulla transazione, l’1 per cento di imposta federale e un limite di invio mensile massimo equivalente di 1.100 euro, ma è sempre meglio di venire rapinati per strada…

Al di là dello shopping conveniente, il problema a monte è il dramma di un Paese che fino agli anni Trenta del 1900 era uno dei più ricchi del mondo, e oggi ha la metà dei suoi minori che non riescono a mangiare in modo regolare, povertà per il 40 per cento della popolazione nonostante i sussidi a pioggia, una classe media allo stremo per un’inflazione in assoluto tra le più alte, superata appena da Zimbabwe e Venezuela. Un disastro raccontato dai media argentini lo scorso 28 luglio, quando Sergio Massa, il candidato del peronismo per le presidenziali del prossimo 22 ottobre, ha «celebrato» un anno come ministro dell’Economia. Con lui il peso argentino è crollato sul mercato nero da 295 a 640 contro l’euro, mentre l’inflazione è passata dal 76 al 118 per cento e, secondo un report diffuso dalla stessa Banca Centrale, si prevede chiuda l’anno al 150 per cento.

Dai sondaggi è quasi impossibile che sia Massa il prossimo inquilino della Casa Rosada. Anche perché ormai, per evitare di dover correggere ogni giorno i prezzi in pesos dei prodotti venduti, sempre più negozi argentini esibiscono i costi direttamente in dollari. Uno smacco per il presidente Alberto Fernández, che nel marzo 2022 aveva dichiarato l’inizio della «guerra contro l’inflazione» ma anche per il suo omologo brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che continua a ripetere che «con l’Argentina dobbiamo sganciarci dal dollaro e pensare a una moneta comune». Auguri a entrambi.

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