I fondi che l’Europa politica riconosce ad associazioni diretta emanazione di regimi come quello dell’Avana o a realtà con forti connessioni terroristiche, come nel caso di Gaza. Decine e decine di milioni di euro che, nella migliore delle ipotesi, sostengono progetti la cui consistenza e rispetto democratico sono da dimostrare.
Nonostante tutte le limitazioni e le misure restrittive del blocco statunitense, che non rende le cose facili, siamo il principale partner commerciale di Cuba», ha affermato Josep Borrell, il 25 maggio, in visita ufficiale a L’Avana. L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza ha quindi annunciato lo stanziamento di un fondo di 14 milioni di euro per aiutare a promuovere le piccole imprese nel «regno» fondato da Fidel Castro. Attualmente sono in corso circa 80 progetti finanziati dalla Ue per un valore di 115 milioni di euro.
«Il signor Borrell sa bene che il 90 per cento delle aziende “private” sono imprese statali convertite e aziende di Stato concesse a condizioni esclusive all’oligarchia militare al potere» denuncia Prisoners defenders l’associazione che si batte per il rispetto dei diritti umani a Cuba. E denuncia che nell’isola, coccolata dalla Ue, sono reclusi 1.037 prigionieri politici: «L’80 per cento di loro viene torturato».
L’ex ministro degli Esteri, oggi senatore di Fratelli d’Italia, Giulio Terzi non ha dubbi: «L’accordo fra Cuba e la Ue va assolutamente rivisto. Non ci si può fidare di una società civile indicata da un regime comunista che minaccia, discrimina e sbatte gli oppositori in galera. Nella migliore delle ipotesi gli aiuti vengono dati a organizzazioni o imprese civetta che servono al sistema e nella peggiore spariscono verso altre destinazioni».
L’imbarazzante strabismo Ue fa i «raggi X» della democrazia al presidente tunisino Kaïs Saïed, ma con il regime cubano ha addirittura firmato un accordo di dialogo politico. Non solo: scabrosi fondi europei sono stati elargiti a gruppi legati ai Fratelli musulmani o al terrorismo palestinese. E l’Unione è riuscita pure a finanziare progetti in Africa messi in piedi grazie ai lavori forzati.
«È evidente che il sistema di aiuti Ue in molti casi non funziona e questo provoca problemi e imbarazzi. Da un lato l’Europa non si è mai risparmiata nell’attaccare gli stessi Paesi membri per supposte violazioni della democrazia e dello stato di diritto, dall’altro finanzia associazioni vicine a regimi che poco hanno che vedere con i valori liberali sbandierati da Bruxelles» sottolinea Marco Gombacci, analista politico e docente di Negoziazioni e diplomazia all’università europea di Valencia, in Spagna. Prisoners defenders accusa Borrell di essersi «recato a Cuba per non incontrare nessuno della società civile e per non offrire una sola parola di incoraggiamento ai prigionieri di coscienza e alle loro famiglie». L’associazione ricorda che i pilastri del Parlamento europeo dell’accordo Ue-Cuba sono proprio il «dialogo e promozione della società civile cubana» il suo sostegno finanziario e il «rispetto illimitato dei diritti umani».
Nel 2020 è stato cancellato con un whatsapp dell’ultima ora l’incontro di Berta Soler, leader delle Dame in bianco, che difende gli oppositori del regime ed è stata insignita del Premio Sakharov, con una delegazione europea in visita sull’isola. I pochi contatti con la società civile, nonostante a L’Avana ci sia una sede diplomatica Ue, avvengono quasi sempre di nascosto. Prisoners defenders denuncia che «il Servizio europeo per l’azione esterna ha fatto stanziare milioni di euro sotto la voce di bilancio “Società civile” a organizzazioni governative come Fmc, Anap, Cieric, Actaf, Isa, Cubasolar per progetti come “Redes Irma”, “Distrito Habana CreActiva” o “Industrias Creativas”». Dal 1988 l’Unione europea ha impiegato circa 300 milioni di euro in oltre 200 progetti di cooperazione nell’avamposto socialista nei Caraibi. Secondo gli oppositori «nessuna organizzazione indipendente cubana ha mai ricevuto un solo euro dai fondi distribuiti sotto la voce di bilancio “Società civile”».
Il 30 marzo scorso la rete degli Istituti nazionali di Cultura europei ha presentato «il sostegno finanziario per lo sviluppo di progetti di co-creazione tra giovani artisti cubani e dell’Europa nella capitale dell’isola». Giulio del Federico, vice capo missione dell’ambasciata d’Italia nel Paese ha spiegato che «l’Avana, con la sua intensa vita culturale e lo spirito cosmopolita, ha tutte le caratteristiche perché i giovani creatori la prendano come spazio di riferimento: un “hub” creativo». Una realtà idilliaca dove sembrano spariti repressione e regime comunista.
Secondo Gombacci «un problema reale a Bruxelles è l’assurdo eccesso del politicamente corretto che ha attanagliato sia la sinistra progressista ma anche parte del centrodestra. Mi ricordo quando l’allora presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, definì Fidel Castro “un eroe per molti”. E poi magari erano gli stessi che si lamentavano di Berlusconi».
Non a caso a fine giugno il capo di Stato cubano, Miguel Díaz-Canel, è arrivato a Roma per un incontro di 40 minuti con Papa Francesco per poi proseguire la visita in Serbia e a Parigi. Nella capitale francese, in qualità di presidente del Gruppo dei 77 più Cina, ha aperto il «vertice per un nuovo patto finanziario mondiale».
Dal 2019 le Commissioni indipendenti «sull’impatto degli aiuti» allo sviluppo dell’Unione europea segnalano un’altra anomalia: solo il 10 per cento dei fondi arriva ai Paesi veramente poveri. Gran parte di essi vengono assorbiti da «nazioni intermedie dal punto di vista del reddito» come Turchia e Serbia. L’Unione rimane il maggiore donatore al mondo con 65,6 miliardi di euro nel 2021.
Nel 2020 gli attivisti eritrei hanno denunciato l’Unione europea in Olanda per lo stanziamento di 80 milioni di euro ad Asmara. I fondi servivano per costruire un’arteria stradale fra Eritrea ed Etiopia, che avrebbe utilizzato personale del servizio nazionale come «lavoratori forzati». Un anno dopo la Commissione europea pianificava di rimuovere 100 dei 120 milioni stanziati per lo sviluppo del Paese nel Corno d’Africa a causa delle violazioni dei diritti umani nella regione etiopica del Tigray.
Altre risorse imbarazzanti sono «quelle donati ad alcuni gruppi palestinesi legati ai terroristi, ai Fratelli musulmani o ad associazioni dichiaratamente antisemite» evidenzia Terzi, che in Senato è presidente della Commissione Politiche della Ue. «Quando ero ambasciatore in Israele c’erano addirittura testi scolastici finanziati da fondi europei con lo Stato ebraico cancellato dalle mappe».
Ad alcune storture si è messo mano, ma un rapporto dei Conservatori europei sui finanziamenti ai Fratelli musulmani denuncia vari casi inaccettabili. Dal 2018 l’Unione europea ha garantito 770 mila euro a varie costole di Islamic relief, un’organizzazione non governativa accusata di vicinanza alla Fratellanza. Anche l’Università islamica Al-Azhar di Gaza, la striscia di territorio sotto il controllo di Hamas, ha ottenuto circa 580 mila euro. Il 5 gennaio l’europarlamentare francese Dominique Bilde ha presentato un’interrogazione sui fondi a Islamic Relief. E chiede alla Commissione europea se «nell’ambito del programma Erasmus+, uno dei beneficiari del progetto “Diciamo basta all’islamofobia” è l’organizzazione European Muslim Union con sede a Strasburgo. Il suo presidente, Andreas Abu Bakr Rieger, è considerato un “islamista” dalle autorità tedesche».
Un altro rapporto di Ngo monitor, organizzazione legata ad Israele, evidenzia che la Ue avrebbe stanziato 38 milioni di euro a organizzazioni non governative palestinesi «che hanno legami con gruppi terroristici disegnati dall’Unione europea». Tra i casi più gravi riguarda tre funzionari di una Ong, messa al bando da Israele, Samer Arbid, Walid Hanatsheh, Abdel Razeq Farraj incriminati per il loro presunto coinvolgimento in un attentato dell’agosto 2019, che ha ucciso un adolescente israeliano.
Fra il 2007 ed il 2022 la Ue ha investito 750 milioni di euro nel sostegno all’autorità palestinese. «Non è solo un problema di eccesso del politicamente corretto, ma una questione ideologica più grave» osserva Gombacci. «Ci sono frange che guardano con simpatie a movimenti vicini all’Islam radicale. È un problema di reputazione internazionale: con che faccia l’Ue criticherà la Cina per le violenze contro i musulmani uiguri se allo stesso tempo finanzia organizzazioni vicine a Hamas o a Cuba?».