Ora il sindaco Beppe Sala fa marcia indietro e offre San Siro su un piatto d’argento. Basta che Milan e Inter restino in città. Ma il progetto per un nuovo impianto è partito. E gli affari in ballo sono importanti…
Come spesso succede nelle «avventure pallonare» di fondi finanziari e magnati americani in Italia, la costruzione di uno stadio di proprietà rappresenta uno spartiacque. Si arriva a un certo punto in cui a prescindere dai risultati appare di tutta evidenza che per continuare a crescere e a competere, per non dipendere solo da diritti televisivi o da plusvalenze più o meno «corrette», la costruzione di un impianto sportivo di proprietà che assicuri un flusso di nuovi ricavi, diventa cruciale. Se il progetto va avanti bene, altrimenti si molla. Ha mollato James Pallotta a Roma, stanno arrancando i Friedkin ancora sulla sponda giallorossa della Capitale e Rocco Commisso a Firenze, e non fa certo eccezione il Milan gestione Cardinale. Anzi. Che il fondatore di RedBird (il fondo che ha acquisito i rossoneri nell’estate del 2022) sia alla ricerca di un investitore che subentri nel prestito da 550 milioni con scadenza 2025 concesso dai colleghi a stelle e strisce di Elliott (con gli interessi si arriva a 700 milioni) è un fatto. Che Gerry voglia provare a resistere alla tentazione di cedere il club al fondo sovrano dell’Arabia saudita Pif per portare avanti il progetto dello stadio di proprietà e quindi aumentare i guadagni, anche. Che ci riesca è tutto da dimostrare.
E quindi veniamo a San Donato, il terreno per costruire la nuova arena rossonera (primo match previsto nel 2028) è stato identificato nell’area San Francesco del Comune «legato» a Milano. Vero che sono stati fatti dei passi in avanti, la giunta ha di recente approvato la variante urbanistica avanzata da Sportlifecity (la società acquisita dal Milan) e ha definito il piano «percorribile», ma è altrettanto vero che gli ostacoli da superare restano enormi. Il primo è la liquidità. A quanto risulta a Panorama il progetto del club di via Aldo Rossi è passato da 1,2 miliardi a un miliardo proprio perché al momento è praticamente impossibile ipotizzare un finanziamento bancario che copra l’intera operazione. Dagli istituti di credito dovrebbero arrivare non più di 750 milioni, il resto lo deve coprire Cardinale che però al momento non ha trovato ancora i fondi necessari.
I motivi? Non tutti sono convinti dei ritorni. Il rendimento atteso (che di solito si tende a sovrastimare) è di poco superiore al 10 per cento (da ricordare che è prevista la costruzione solo dello stadio e dei parcheggi) e soprattutto, secondo alcune banche interpellate, i profitti sarebbero decisamente superiori se lo stesso impianto fosse la casa comune di Inter e Milan. Più eventi, più match, più incassi per l’indotto e di conseguenza maggiori garanzie per gli investimenti da finanziare. Se i club fossero due, diminuirebbe l’equity da trovare, sia ovviamente perché ci sarebbero al lavoro le due proprietà, sia perché gli istituti di credito avrebbero minori difficoltà ad aumentare la loro esposizione. Del resto gli ostacoli non finiscono qui. Il Comune di San Donato ha analizzato il progetto (uno stadio da 70 mila posti) e individuato diversi punti critici. Si parte dalle infrastrutture e si arriva fino alla viabilità al trasporto pubblico alla sicurezza e alle questioni ambientali. Per dire: la stazione ferroviaria dovrà essere in grado di decuplicare il passaggio dei viaggiatori che oggi non supera le tremila unità all’ora. E la viabilità dell’area dovrà subire radicali cambiamenti.
Intanto però il progetto è partito. Il terreno è stato acquistato (mancano minime formalità) per circa 40 milioni e solo di consulenze ce ne sono da spendere almeno altrettanti. Difficile dire cosa succederà, anche perché il sindaco di Milano Beppe Sala sembra essere stato colpito da improvvisa resipiscenza. Dopo aver fatto scappare i due club adesso sta cercando disperatamente di recuperare terreno spingendo il piano di ristrutturazione di San Siro presentato dallo studio Arco Associati: investimenti da 300 milioni di euro con la costruzione di bar, ristoranti, suite e spazi benessere oltre al famoso quarto anello che verrebbe inserito all’altezza dell’attuale primo. Le novità? Inter e Milan continuerebbero a giocare nel loro storico impianto anche durante i lavori con una riduzione minima della capienza. Mentre Sala ha garantito loro il diritto di superficie del Meazza per 90-100 anni a costi irrisori (potrebbero in questo modo inserirlo nel patrimonio, ha un valore di 100 milioni) e si è detto pronto a esplorare «tutte le soluzioni». Una mossa in contropiede con la quale l’ex manager dell’Expo spera di mettere una toppa sugli errori del passato. Vedremo.
Per adesso possiamo solo provare a fare un po’ di storia di questi terreni per capire chi ci ha guadagnato e chi punta a portare a casa altre corpose plusvalenze. Perché i grandi affari spesso fanno giri immensi e qualche volta poi ritornano. Forzando un po’ il concetto, si può dire che l’area di San Donato per il nuovo stadio del Milan Gerry Cardinale l’ha comprata due volte. La prima come top manager di Goldman Sachs, la seconda come proprietario del Milan. La differenza sostanziale è che la seconda volta l’ha pagata molto di più, probabilmente perché punta a ricavarci di più. Venticinque anni fa, nel 1999, il gruppo Eni decide di vendere il suo patrimonio immobiliare. A comprare in blocco è Goldman Sachs, tramite i fondi Whitehall. La stessa Goldman Sachs nella quale all’epoca lavorava Cardinale, attuale proprietario del Milan. E che sta assistendo il club rossonero in tutte le partite finanziarie, compreso il progetto stadio.
Gli immobili del gruppo passano di mano per 2.200 miliardi di lire dell’epoca, circa 1,1 miliardi di euro. Oltre la metà (624 milioni di euro) relativi alla partecipazione in quella che allora era la cassaforte immobiliare del Cane a sei zampe, la Immobiliare Metanopoli. La partecipazione finisce a un veicolo di Goldman Sachs, Asio srl, interamente controllato dal fondo di diritto olandese Wh/Twenty-nine bv, che lancia anche l’opa per togliere Immobiliare Metanopoli da Piazza Affari. A gestire l’operazione, una top manager americana di Goldman, Josephine Mortelliti. Anche lei in quegli anni nella divisione di merchant banking di New York della banca Usa, come Cardinale. Il patrimonio immobiliare della Asio, ex Immobiliare Metanopoli, viene venduto a pezzi più o meno grandi. Fino al 2015, quando quella scatola societaria è ormai quasi vuota. Cardinale ha lasciato Goldman tre anni prima per fondare la sua RedBird. Il 29 dicembre del 2015, la banca americana decide che quell’affare è finito e i fondi Whitehall vendono l’intero capitale della Asio a una società italiana, la Bmb. Al prezzo simbolico di un euro. La Asio è quasi vuota perché qualcosa in effetti è rimasto: i terreni tra l’autostrada e l’alta velocità nel comune di San Donato, dove una volta Eni pensava di espandere il suo centro direzionale e dove adesso il Milan sogna di costruire il suo stadio.
Il proprietario attuale, tramite la Bmb e la Ab Consulting, è Alfredo Balzotti. Uomo di finanza, molto attivo nel settore immobiliare anche come consulente per operazioni importanti. Mentre la sede è stata spostata da Milano alle colline senesi, a Castelnuovo Berardenga. Nell’ultimo bilancio della Asio figurano alla voce «rimanenze» tre terreni a San Donato Milanese, destinati a essere ceduti e valorizzati 6,1 milioni di euro. Sono spazi per i quali la Sportlifecity srl aveva da anni firmato un preliminare per l’acquisto. Il Milan ha pagato nel luglio scorso tre milioni di euro per rilevare il 90 per cento della Sportlifecity (l’altro 10 per cento è rimasto alla Cassinari & Partners). E qualche giorno fa quest’ultima ha dato esecuzione al preliminare con la Asio per i terreni di San Donato. Prezzo pagato: 40 milioni di euro. Dalla vendita da parte dei fondi di Goldman Sachs per un euro sono passati nove anni, ma nel frattempo potrebbe arrivare uno stadio. Il condizionale, viste le premesse, è d’obbligo. Certi invece sono i guadagni di chi quei terreni li ha avuti praticamente a costo zero e rivenduti a peso d’oro un po’ di anni dopo.