Le navi che «soccorrono» migranti economici incentivano gli ingressi clandestini nel nostro Paese. E il business degli scafisti.
«Louise Michel che becca un gommone… e senza preavviso di WTM (Watch the Med, centralino dei migranti, ndr) … ma quanta fortuna…» scrive chi sorveglia il mare 24 ore al giorno in una chat. «La fortuna aiuta gli audaci (…). Ora li contattiamo per farci dare i numeri per il superenalotto» commentano il 4 dicembre quando la Louise Michel, una delle unità più piccole della flotta delle Ong, intercetta un gommone con 103 migranti.
La nave è dipinta di rosa e sulla fiancata spicca una bambina che brandisce un salvagente a forma di cuore. Opera di Banksy, l’artista e writer di strada molto amato dai radical chic, che ha finanziato l’imbarcazione sotto bandiera tedesca e che adesso è celebrato a Trieste da una super-mostra (costata 1,2 milioni di euro sborsati in gran parte dalla Regione Friuli-Venezia Giulia guidata dal leghista Massimiliano Fedriga).
La Louise Michel si trovava a circa 25 miglia dalla Tripolitana e più che un salvataggio sembrava un «appuntamento». Il tratto di mare è zona di ricerca e soccorso dei libici, che hanno tentato inutilmente di riportare indietro i migranti. A dare man forte ci ha pensato la Humanity 1, una delle ammiraglie delle Ong, che l’11 dicembre scorso ha sbarcato assieme alla Geo Barents di Medici senza frontiere 509 persone in Italia, come sempre. Il drone di Frontex che ha ripreso il recupero della Louise Michel non è autorizzato a sorvolare le acque territoriali libiche fino alla costa. Così non ha potuto documentare se i trafficanti avessero mandato i migranti verso la nave delle Ong, in avanscoperta, come fanno spesso grazie a una app che individua le imbarcazioni tramite il segnale Ais di identificazione automatica.
Un modus operandi denunciato da fonti del Viminale: «Le azioni delle Ong spesso rischiose e provocatorie favoriscono in molti casi l’ingresso di migranti economici che non hanno alcun diritto a entrare e rimanere in Italia». In pratica «rappresentano un fattore che incentiva i migranti a partire. Fanno pattugliamento sistematico. Raccolgono in mare persone che hanno pagato uno scafista, dunque un criminale». Secondo le fonti «alcune Ong finiscono per rappresentare, anche loro malgrado, un elemento chiave della filiera che ingrossa l’immigrazione irregolare in Italia».
Un sistema che va avanti da tempo come scrive nella relazione agli atti del processo a Matteo Salvini a Palermo, sul caso Open Arms, il contro ammiraglio della Guardia costiera Sergio Liardo. «Un modus operandi, da cui, analogamente a quanto avvenuto in precedenti occasioni, può desumersi l’intenzione della Open Arms di operare ben al di fuori del rispetto delle (…) norme e regole di condotta, ponendo in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia».
Quest’anno la flotta di 18 navi «umanitarie» ha sbarcato nel nostro Paese, fino all’11 dicembre, 13.038 migranti su un totale di 98.130 arrivi, che in gran parte non fuggivano da Stati in guerra. «Le navi più grosse si danno il cambio in mare. Dopo gli ultimi sbarchi dell’11 dicembre è partita la Sea Eye 4, che si trova fra Pantelleria e la Tunisia diretta verso la Libia» conferma chi sorveglia il mare. È una delle ammiraglie dei fondamentalisti dell’accoglienza tedeschi, appoggiati dalla Germania. Il dispaccio da Berlino della nostra ambasciata del 14 novembre parla chiaro: «Un orientamento prevalente nella maggioranza di governo (…) è che (…) il soccorso civile in mare non debba essere ostacolato ma sostenuto». E lo dimostra tangibilmente «la recente approvazione di un emendamento alla Legge di bilancio (…) introdotto su impulso di parlamentari dei Verdi (…), che dispone finanziamenti di 8 milioni di euro in 4 anni in favore di United4Rescue, Ong legata alla chiesa evangelica» sponsor delle navi che fanno sbarcare migranti in Italia.
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha ribadito che «il governo non intende cambiare posizione sul tema dell’immigrazione» ed entro Natale annuncerà «nuove norme per fermare la tratta. Su questo tema non intendiamo mollare». Non sarà facile bloccare le Ong, che si sentono al di sopra della legge in nome di un superiore diritto umanitario interpretato a loro uso e consumo. Agli atti del processo a Palermo contro Matteo Salvini accusato di sequestro di persona per aver cercato come ministro dell’Interno, nel 2019, di fermare lo sbarco dei migranti di Open arms, c’è una relazione che spiega bene il modus operandi, impunito, della Ong spagnola. Alla fine si evidenzia le «condotte/omissioni poste in essere dal Comandante (Marc Reig Creus) e dal Capo missione (Anabel Montes)» scrive il contro ammiraglio Liardo. Open arms, ormeggiata a Siracusa, dichiarava «come successiva destinazione il porto di Lampedusa. In realtà l’unità si è diretta nella area di responsabilità Sar (ricerca e soccorso, ndr) libica ove effettuerà il primo dei tre eventi di soccorso» che alla fine hanno portato Salvini a processo.
Il Centro di soccorso italiano ha più volte chiesto «le valutazioni mediche individuali dei migranti», mai inviate a Roma. Nonostante le autorità spagnole avessero offerto un porto sicuro di sbarco e le unità della Guardia costiera si fossero offerte di effettuare il trasbordo dei migranti, Open Arms «si è rifiutata di intraprendere la relativa navigazione». E, ciliegina sulla torta, non può essere adibita in maniera «professionale» alle attività di ricerca e soccorso in quanto certificata come «nave da carico». Non solo: il 9 agosto 2019 Open arms ha soccorso altri 39 migranti in area Sar di La Valletta «per i quali le Autorità maltesi hanno formalmente coordinato le operazioni e altresì indicato un Pos (luogo sicuro di sbarco, ndr) sul proprio territorio, che è stato rifiutato».
La capomissione di Open Arms, Ana Isabel Montes Mier, oggi è responsabile della squadra di soccorso a bordo di Geo Barents di Msf, che quest’anno ha sbarcato 4.040 migranti in Italia, il numero più alto delle Ong del mare. La «pasionaria» spagnola è testimone contro Salvini a Palermo e inneggiava sui social al suo rinvio a giudizio. Veterana del metodo Ong, dal 2015 è stata accusata dalla procura di Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati, ma il giudice dell’udienza preliminare ha sentenziato il non luogo a procedere. La procura ha presentato ricorso e il 15 dicembre è stata rinviata l’udienza preso la Corte d’appello. La difesa ha prodotto una dichiarazione dell’ex senatore Luigi Manconi, pro Ong, che sostiene come il prefetto Mario Morcone, capo di gabinetto del ministro Luciana Lamorgese, nel 2018 avesse già dato l’autorizzazione allo sbarco prima che il comandante di Open Arms si dirigesse verso Pozzallo.
L’impunità delle Ong ha permesso, quest’anno, di portare in Italia il 42 per cento dei migranti fatti partire dai trafficanti in Tripolitania. Le ammiraglie fanno la parte del leone: Ocean Viking, che annuncia di volere tornare in mare dopo essere stata costretta per la prima volta a sbarcare i migranti a Marsiglia, lo scorso novembre, ne ha portati 2.387 da noi. Sea Watch 3 altri 1.431, seguita da Humanity 1.943 e poi le altri navi compresa la sola con bandiera italiana, Mare Jonio, con 306 persone sbarcate. L’unico processo, non ancora affossato, sul metodo d’intervento delle Ong del mare si svolge in fase di udienza preliminare a Trapani. La difesa sta facendo di tutto per non arrivare al dibattimento, per esempio usando l’ostruzionismo sugli interpreti. A tal punto che il procuratore capo, Gabriele Paci, è dovuto scendere in campo per ribadire la correttezza delle procedure dichiarando che «i difensori censuravano, persino, non è dato comprendere sulla base di quale principio, la passata appartenenza (di un interprete, ndr) al Corpo della Polizia di Stato».
Gli imputati di nave Juventa, dell’Ong tedesca Jugend Rettet, accusati di essere d’accordo con i trafficanti assieme ad altri 21 di Msf e Save the children, hanno lanciato addirittura un hashtag #NoTranslationNoJustice. Il 19 dicembre la melina della difesa finisce davanti al giudice dell’udienza preliminare, ma nel frattempo un’altra interprete ha gettato la spugna all’ultimo minuto mettendo in difficoltà la Procura. Le motivazioni non lasciano dubbi: «Come giornalista e attivista dei diritti umani (…) considero l’accusa contro il signor Agha e tutti gli altri membri dell’equipaggio (…) una violazione morale del più alto comandamento della nostra società: salvare vite umane». L’interprete almeno ammette che non sarebbe «neutrale in questo processo». E nel mondo alla rovescia dell’accoglienza a ogni costo scrive: «Dal profondo del mio cuore spero che i magistrati (…) decidano a favore degli imputati (…), che a mio avviso dovrebbero venire elogiati come eroi». Non solo: la difesa degli estremisti dell’accoglienza ha ottenuto che sia ammessa come «osservatore esterno» Debora Oddo, rappresentante di Amnesty International.
Intanto gli «eroi» delle Ong non pagano mai le salate multe inflitte, grazie al decadimento dei decreti Salvini, e riescono sempre a dissequestrare le navi. Beppe Caccia, armatore di Mediterranea Saving human, è stato graziato dal tribunale civile su una multa di 65 mila euro per nave Alex & Co e altri 300 mila per Mare Jonio. Pure Sea Watch e la famosa comandante Carola Rackete non hanno mai pagato alcunché. Multa e sequestro della nave sono stati annullati dal tribunale civile di Ragusa.