A gennaio il passaggio tra Trump e Biden non sarà indolore. D’altra parte l’avvicendamento al vertice degli Stati Uniti ha altri precedenti contrastati. Come quello tra Bill Clinton e George W. Bush. E a rimetterci è la residenza politica più celebre del mondo.
Ne ha viste tante la Casa Bianca. Nei suoi 220 anni di vita subì un incendio per mano degli inglesi nel 1814, una demolizione degli interni da parte dei simpatizzanti del presidente Andrew Jackson nel 1824, una totale ricostruzione nel secondo dopoguerra sotto Harry Truman. Ora il grande palazzo al 1600 di Pennsylvania Avenue di Washington guarda con trepidazione al prossimo passaggio di consegne tra l’amministrazione di Donald Trump e quella di Joe Biden. Le premesse non sono buone, viste le accuse di brogli lanciate dal presidente in carica ai democratici. E a qualcuno è tornata in mente un’altra transizione difficile, quella tra Bill Clinton e George W. Bush (dove la W ha un ruolo particolarmente significativo, come si vedrà). Una vicenda dai contorni comici e grotteschi che ha lasciato una lunga scia di danni e vandalismi nella residenza presidenziale.
A riesumare questa incredibile storia è la Nota Diplomatica pubblicata online dal giornalista James Hansen. Ecco i fatti. Nel 2001 lo staff di Clinton si preparava a dire addio alla Casa Bianca pieno di rabbia. Nei mesi precedenti, inaspettatamente, il candidato democratico ed ex vicepresidente Al Gore aveva perso le elezioni del 2000 per una manciata di voti nel decisivo Stato della Florida. I voti vennero contati, ricontati e per la comunicazione dei risultati si dovette aspettare 36 giorni. Una situazione caotica, anche peggiore di quella sperimentata quest’anno negli Usa di Trump, con Al Gore che prima riconobbe la vittoria di Bush, poi se le rimangiò e infine accettò la sconfitta.
Dopo cinque settimane, la Corte Suprema riconobbe Bush figlio presidente per uno scarto di poche centinaia di voti. «A ogni modo» ricorda Hansen «a quel punto si doveva arrivare al “turnover”, con l’inaugurazione della nuova presidenza e il passaggio materiale della Casa Bianca all’odiato nemico. Il team di Clinton, composto da grandi sostenitori di Gore, che era stato il vice del loro presidente, pensava di dare a Bush il benvenuto che, secondo loro, meritava».
Ed ecco che cosa trovarono negli uffici della Casa Bianca e dell’adiacente Eisenhower Executive Office Building gli addetti che si occupano della transizione: spazzatura disseminata a terra, il contenuto dei cassetti rovesciato sui pavimenti, vetri di alcune scrivanie fracassati, mobili rotti, decine di sedie e poltrone con gambe o schienali a pezzi, frigoriferi scollegati con il cibo andato a male, chiavi spezzate lasciate dentro le serrature, altre bloccate con la colla. Spariti sigilli presidenziali, maniglie delle porte (molte erano pezzi originali), telefoni cellulari. In alcune stanze, a causa dell’odore tutte le tende e la moquette vennero immediatamente sostituite. Sui muri scritte volgari e offensive: nel bagno degli uomini per esempio qualcuno scrisse «Quello che W ha fatto alla democrazia, tu lo stai per fare qui». Sulla parete dell’Ufficio programmazione si poteva leggere «Repubblicani, non mettetevi comodi, noi stiamo per tornare». In numerose fotocopiatrici nell’Ala Ovest furono rinvenute vignette con un Bush rappresentato come uno scimpanzé.
Tra gli scherzi, se così si possono chiamare, fatti dal team di Clinton, uno dei più bizzarri e spietati riguarda i computer: in un centinaio di tastiere, comprese quelle dell’ufficio della First Lady, non c’era più il tasto con la lettera «W», impedendo così ai nuovi inquilini di scrivere le parole George W. Bush. Oppure le tastiere erano bloccate dalla colla.
Ma il vandalismo tecnologico dei clintoniani raggiunse il suo apice con i telefoni della Casa Bianca: chiamate dirottate verso stanze sbagliate, in 20 stanze erano sparite le etichette che indicavano i numeri dei vari uffici, gli annunci vocali furono modificati e rispondevano alle chiamate con messaggi osceni, costringendo i tecnici a resettare l’intero sistema. Nella stanza 129, per esempio, «non si poteva rispondere al telefono perché, appena squillava, veniva subito dirottato su un altro telefono della suite, per poi passare direttamente a un sistema di segreteria telefonica non accessibile» riferì un addetto. Mentre negli uffici del personale «le chiamate erano inoltrate in modo da non riuscire a capire su quale numero sarebbero finite».
Alla fine, secondo lo staff di Bush junior, solo il 20 per cento degli uffici poteva essere messo a disposizione del personale in arrivo nella residenza quel tardo pomeriggio del 20 gennaio. E il direttore dell’Ufficio dell’amministrazione della Casa Bianca, che aveva assistito a cinque precedenti transizioni, dichiarò di essere «stupito» da ciò che vide durante il «turnover» del 2001 e di non aver mai sperimentato nulla di simile durante le precedenti, in particolare per quanto riguarda la quantità di spazzatura presente nelle stanze.
Il 4 giugno 2001, su richiesta della nuova presidenza, il General accounting office (Gao), una sorta di revisore interno del governo federale americano, avviò un’indagine sull’accaduto. Vennero ascoltate una decina di persone, tra membri dello staff di Bush, addetti ai sistemi telefonici, il vice agente speciale dei servizi segreti in carica, l’usciere capo per la residenza dei dirigenti, quattro capi della squadra di pulizia che lavorarono nel complesso durante la transizione. Inoltre il Gao spedì lettere a 518 membri del personale presidenziale impiegati nell’Ala Ovest e nell’Eisenhower Building durante le prime tre settimane dell’amministrazione Bush.
Il risultato fu un rapporto di 82 pagine intitolato «Allegations of Damage During the 2001 Presidential Transition» e destinato alla Camera dei rappresentanti. L’obiettivo era verificare se ci fossero stati danni alla Casa Bianca e indicare eventuali rimedi per evitare che atti di vandalismo si ripetessero in futuro. Ma prima di finire ai deputati, il documento venne visionato dalla nuova amministrazione che, insoddisfatta, aggiunse altre 76 pagine di puntigliose critiche, accusando il Gao di non aver descritto in modo accurato quanto accadde durante la transizione. E di non aver neppure indicato il costo reale delle riparazioni. Fu aggiunta la controreplica del Gao e così il numero di pagine del rapporto lievitò a 217 pagine, ancora consultabili all’indirizzo: www.gao.gov/new.items/d02360.pdf. Una lettura interessante, in alcuni punti esilarante, ma certo non per la «povera» Casa Bianca.