In Sudamerica i cartelli della droga e i gruppi paramilitari ne comprano e ne estraggono senza scrupoli. In Africa la compagnia Wagner l’ottiene in cambio di «protezione». I Paesi emergenti ne fanno incetta. È il grande momento del metallo più prezioso, arrivato a 60 mila dollari a causa dell’instabilità della geopolitica.
Il ministro della Difesa colombiano Iván Velásquez Gómez lo scorso primo marzo ha dichiarato una «guerra totale» all’attività illegale più redditizia del crimine organizzato nel Paese. Non il traffico di cocaina, nonostante lo Stato resti il primo produttore mondiale dello stupefacente, bensì l’estrazione illegale di oro. Con il prezzo della pasta base di coca in rapido calo a partire dallo scorso anno e quello del metallo prezioso che ha invece raggiunto i massimi storici, complici pandemia e incertezze geopolitiche, oggi i cartelli e i gruppi paramilitari incassano 1,9 miliardi di dollari l’anno dal narcotraffico e ben tre miliardi dal traffico aureo, secondo stime dell’Undoc, l’Ufficio delle nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine.
Se i profitti criminali sono altissimi, lo sono anche i costi ambientali e sociali che paga il Paese sudamericano. Per scavare le miniere illegali nel 2021 sono stati abbattuti 640 chilometri quadrati di foresta, un’area di poco inferiore a quella del Parco nazionale del Gran Paradiso, in Abruzzo. Oltre a causare gravi danni all’ecosistema, i minatori utilizzano il mercurio per separare l’oro, riversando quindi il metallo altamente tossico nei corsi d’acqua: nonostante lo abbia messo al bando cinque anni fa, la Colombia resta al primo posto al mondo per inquinamento da mercurio. L’estrazione illegale e il contrabbando d’oro sono però ben lungi dall’essere un problema esclusivo della Colombia. In Sudamerica come in Africa e in Asia, ogni stato dove siano presenti giacimenti auriferi da un lato e corruzione, povertà e instabilità dall’altro è vittima di questo fenomeno criminale.
Nel continente africano al vertice del business illegale dell’oro ci sono governi e formazioni armate, anche di lontana provenienza. In particolare, il Gruppo Wagner di Evgenij Prigožin, già protagonista del fallito golpe contro Putin del 23 giugno scorso, si è strategicamente infiltrato negli Stati della fascia saheliana, poverissimi e sconvolti da continue guerre civili, in una vera corsa all’oro. L’ex fedelissimo del presidente russo è arrivato con le sue truppe mercenarie nella Repubblica Centroafricana nel 2018, a servizio del governo, e si è assicurata lucrose concessioni minerarie che, assieme a quelle per il taglio del legname, frutterebbero da sole un miliardo di dollari l’anno a Prigožin.
Nel 2021 il Gruppo Wagner è sbarcato anche in Mali, terzo produttore d’oro di tutta l’Africa, proponendo alla giunta militare al comando lo stesso affare: uomini e armi per combattere i ribelli, jihadisti, in cambio di risorse. Il prezzo di questo patto col diavolo lo hanno pagato i cittadini centrafricani e maliani: secondo una stima dell’Armed Conflict Location and Event Data Project, oltre metà delle persone uccise dai mercenari nei due Paesi sono civili innocenti. Ma è in Sudan dove il gruppo Wagner ha portato a un livello più alto i suoi affari sporchi nell’industria aurifera.
Presente nel maggiore Stato africano sin dal 2017 con i suoi addestratori militari e le sue forniture d’armi, Prigožin si è rapidamente inserito nel tessuto economico con le sue società, tra cui la Meroe Gold, che possiede anche un impianto di raffinazione dell’oro in loco. Come ha svelato la Cnn in un’inchiesta dello scorso anno, l’85 per cento dell’oro in Sudan è estratto illegalmente in miniere artigianali e la maggior parte finisce nelle mani dei compratori russi. Tra il 2021 e il 2022 sono stati tracciati almeno 16 voli operati da aerei militari russi che hanno trasportato oro dal Sudan alla base militare che in Cremlino possiede a Latakia, in Siria.
Prigožin ha saputo comprarsi la compiacenza delle autorità di Khartum, attraversando indenne cambi di regime e di governo degli ultimi anni. Il colpo di stato militare del 2021, che ha portato al potere il generale Abdel Fattah al-Burhan, è avvenuto un mese dopo che il governo di transizione democratico aveva imposto alla Meroe Gold di fermare il trasferimento di asset alla sua compagnia di facciata al-Solag. Misura prontamente revocata dai golpisti. Quando due anni dopo il generale Mohamed Hamdan Dagalo – alla guida dei paramilitari delle Rapid Support Forces e con il controllo di ricchi giacimenti auriferi – è sceso in guerra contro Al-Burhan, secondo il Dipartimento del Tesoro americano il Gruppo Wagner avrebbe fornito all’ufficiale ribelle missili terra-aria per contrastare l’aviazione militare sudanese,
Le operazioni nell’oro di Prigožin, prima che volassero stracci e diversi proiettili con Putin, non sono state mosse però solo dal desiderio di arricchirsi, e spiegano perché il leader russo si stia mostrando disponibile a far mantenere all’ex amico la sua rete nel continente africano. Dopo la prima ondata di sanzioni occidentali seguita all’annessione russa della Crimea nel 2014, il Cremlino si è trovato infatti a fare i conti con la necessità di trovare metodi alternativi per spostare capitali senza ricorrere alla valuta straniera e sfuggendo ai sistemi internazionali di monitoraggio finanziario. Proprio l’oro, di cui peraltro la Russia è terzo produttore al mondo, si è rivelato efficace in tal senso almeno fino all’invasione dell’Ucraina, a seguito della quale le importazioni di metallo pregiato russo sono state bandite da tutto lo schieramento atlantico.
Così Mosca si è dovuta rivolgere ad altri compratori: tra febbraio 2022 e febbraio 2023 le nazioni del Golfo Persico, Cina e Turchia hanno acquistato il 99,8 per cento dell’export aureo russo. Riguardo ai primi, è Dubai il fulcro della rotta mediorientale delle pepite del Cremlino: in 20 anni la metropoli emiratina è diventata uno dei maggiori «hub »del commercio aureo. Tuttavia la legislazione assai permissiva l’ha anche resa la principale destinazione dell’oro di origine illecita, in particolare dall’Africa.
Diverso è il caso della Cina, che assieme all’India è tra i maggiori consumatori del metallo prezioso. Il Dragone ha approfittato dell’isolamento della Russia da buona parte dei mercati ricchi per aumentare le sue importazioni d’oro da Mosca, lievitate del 67,3 per cento in termini di volume nel 2022, imponendo peraltro al Cremlino sostanziosi sconti fino al 30 per cento sul prezzo di vendita. Il vicino settentrionale peraltro non è nemmeno uno dei principali fornitori aurei di Pechino, che importa soprattutto da un altro hub internazionale, ovvero la Svizzera. Operazioni di estrazione illegale da parte di compagnie minerarie cinesi, solitamente subappaltate a società di comodo locali, sono inoltre state denunciate dalla Bolivia al Madagascar al Myanmar. La Cina ormai da anni sta incrementando le sue riserve d’oro, passate da poco più di mille tonnellate nel 2013 a oltre 1.600 nel 2015 a quasi duemila nel 2022. Secondo gli esperti, l’obiettivo di Pechino è svincolarsi dalla dipendenza dal dollaro, così da mitigare eventuali sanzioni future, o addirittura lanciare una nuova valuta a base aurea.
Per l’Italia la nuova febbre dell’oro, con quotazioni internazionali arrivate a oltre 60 mila dollari al chilo, è una buona notizia visto che possediamo le terze riserve auree del mondo, quasi 2.500 tonnellate. Ma occorre fare attenzione che anche le mafie non sfruttino l’occasione per arricchirsi ulteriormente, riciclando i propri soldi in metallo prezioso. Come già fa qualcuno: il camorrista Raffaele Imperiale, diventato collaboratore di giustizia, ha rivelato agli inquirenti di aver investito almeno 60 milioni di euro in lingotti. Tanto per non smentire l’importanza di un «solido» investimento.