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La Germania non è più quella di una volta

La Germania non è più quella di una volta

Quella che fu la «locomotiva d’Europa» è in crisi, ma la situazione è ben diversa dai tempi della Repubblica di Weimar. Proclamarne l’irrilevanza sul piano globale sarebbe un grosso errore.


A sei mesi dalle europee del 2024, gli sguardi di molti osservatori sono ancora una volta puntati sulla Germania. C’è chi tradisce una certa Schadenfreude, gode cioè nell’osservare le difficoltà di Berlino. È un riflesso infantile, perché nel migliore dei casi si fissa sul presente e sottovaluta la notevole capacità del sistema tedesco di rifasarsi rispetto alle nuove forme del mercato internazionale, nonché di compattarsi sotto stress. È certamente vero che Olaf Scholz, il cancelliere social-democratico venuto da Amburgo, fatica a governare la profezia di riscatto da lui stesso formulata. Per ora il cosiddetto Doppel-Wumms, la doppia sberla di rilancio annunciata nel 2022, non ha sortito effetti visibili.

Al «down» economico tedesco si affianca un crescente malessere della popolazione. I coltivatori tedeschi protestano contro i tagli ai sussidi agricoli, mentre il governo federale ha appena adottato una «strategia contro la solitudine». A fare le spese di questo mix è prima di tutto la popolarità personale di Scholz, mentre altre figure del suo partito, come il ministro della Difesa Boris Pistorius, hanno il vento in poppa. I sondaggi danno poi in caduta libera i liberali della Fdp, e piuttosto malconci i Verdi, mentre sono in ripresa i cristiano democratici della Cdu. Preoccupa poi la crescita della destra nazionalista di AfD, accreditata di percentuali tra il 18 e il 23 per cento a livello nazionale che ne farebbero il secondo partito dopo la Cdu.

La AfD guarda con ottimismo non solo alle europee, ma anche ad altre tornate elettorali. Il 2024 è stato infatti battezzato dalla stampa tedesca «super-anno elettorale»: oltre alle Europee di giugno, l’11 febbraio a Berlino si dovranno ripetere le elezioni del Bundestag del 2021, per ordine della Corte costituzionale che ha individuato irregolarità nello spoglio. In autunno, poi, si rinnoveranno i Parlamenti regionali di Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Non manca chi crede di poter in qualche maniera dialogare con AfD. È il caso di Hans-Georg Maassen, l’ex capo dei servizi segreti interni defenestrato da Merkel. Maassen è oggi presidente della WerteUnion, «Unione dei valori» un movimento di base della Cdu molto orientato a destra.

Sul piano economico, infine, nel corso del primo semestre dello scorso anno la Germania ha assistito a un record di occupazione e ore lavorative che si è però accompagnato a una recessione economica. Sono diversi i fattori che contribuiscono a questo paradossale mix. Per un verso si registra soprattutto una tendenza delle aziende ad «accumulare» i lavoratori qualificati in vista di future esigenze. Per il verso opposto non fanno invece sosta il declino demografico della popolazione attiva, la scarsa immigrazione di lavoratori qualificati, il desiderio di ridurre l’orario di lavoro. Nonostante tutte queste vistose difficoltà, sarebbe un micidiale errore azzardare confronti disfattisti tra la Germania di oggi e quella di un secolo fa. Nel 1923 la Germania faticava a riprendersi dalla Prima guerra mondiale e dalle condizioni del Trattato di Versailles. Gli enormi problemi socio-economici della Germania di Weimar erano poi aggravati dall’occupazione franco-belga della Ruhr, effettuata con la scusa delle riparazioni belliche, e dalla conseguente esplosione di movimenti nazionalisti e a un tetro clima politico in cui maturò l’assassinio del ministro degli Esteri Walter Rathenau. Era il prologo dell’avvento del nazionalsocialismo.

Le cronache odierne ci restituiscono un contesto diverso, di dolorosa transizione ma anche di presa di coscienza di un mondo nuovo con la sua grammatica. E a dispetto dei «gufi», c’è chi scommette su Berlino. Londra per esempio considera chiaramente la Germania il suo primo riferimento sul continente europeo, come testimonia l’importante discorso pubblico in tedesco tenuto da re Carlo al Bundestag nel marzo dello scorso anno. Ed è sempre con la Germania che Giorgia Meloni, in una staffetta con Mario Draghi, ha concluso un accordo bilaterale di cooperazione lo scorso novembre. Detto altrimenti: il cavallo buono si vede a lunga corsa. Specialmente se è tedesco.

* L’autore, Francesco Galietti è un esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

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