Dopo lo scoop della Verità sul suo ruolo nell’affare (mancato) della fornitura di navi e aerei da guerra alla Colombia, che gli è costato un’indagine della Procura di Napoli per corruzione internazionale aggravata, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema ha iniziato a spostare il centro dei suoi interessi a Tirana.
Un imprenditore «extracomunitario», come l’hanno definito in molti. Sui suoi rapporti con il premier Edi Rama si è scritto molto e alle inchieste di Rai 3 Baffino rispose: «Nella mia attività di consulenza non mi sono mai occupato di criptovalute. Le attività legate a questo settore sono regolate in Albania da una legge, che prevede che per operare in questo campo occorre una licenza governativa». Niente valuta virtuale. Il mondo di D’Alema è analogico. Tanto che non stiamo a ripercorrere gli altri interessi, tutti lungo l’asse Italia-Cina.
Un esempio su tutti: i ventilatori importati durante il periodo buio del lockdown. Ma il silenzio attorno al leader dei Ds non dura mai troppo a lungo. Così ieri l’interessato in persona ha rivelato, in un incontro-dibattito con un suo ex collega agli Esteri, Gianfranco Fini, di essere stato incaricato da Volodymyr Zelensky: una missione per trovare una pace alternativa.
Il presidente ucraino avrebbe avvicinato D’Alema a margine di un’iniziativa a sui Balcani: «E mi disse chiaramente che il suo Paese rischiava il disastro, perché “gli americani prima o poi si sfileranno e gli europei non sono affidabili”. Poi mi chiese di andare in Brasile e a Pechino per capire se Lula e Xi Jinping potessero fare qualcosa», spiega. «Io ci sono andato, ma Lula mi ha quasi messo alla porta, dicendomi che l’Ucraina era un problema degli americani e che se la vedessero loro, piuttosto secondo lui mi sarei dovuto interessare della Palestina». Interessante, perché il rapporto tra D’Alema e il numero uno del Brasile, ritornato in auge dopo il carcere, non è certo quello di un passante. Baffino 18 anni fa si spese molto per sostenere il giovane brasiliano. Nel 2003 rilasciò una lunghissima intervista a Carta Capital, settimanale di Brasilia, raccontando di un suo lungo viaggio nel sub continente. Spicca la sua visione sul Mercosur e il Patto andino e un passaggio sul ruolo dell’Europa nei confronti del Brasile. Già all’epoca D’Alema sosteneva che Bruxelles avrebbe dovuto aprire i confini agricoli da ambo i lati. Esattamente ciò a cui Ursula Von der Leyen sta lavorando con il patto multilaterale Ue-Mercosur. Eppure la tradizionale amicizia con Lula non è tornata utile nell’ultimo viaggio con la bandiera bicolore ucraina. Per sua ammissione («quasi messo alla porta») l’agente di Zelensky si è trasformato in uno 007 flop.
Pazienza, succede anche ai migliori giramondo. Probabilmente il leader ucraino l’aveva messo in conto, puntando le sue carte sulla seconda missione. Così, dopo il Brasile, è stata la volta della Cina. D’Alema ha raccontato che quando ha avuto un contatto con Pechino, ha capito che «i cinesi invece avevano un piano. Parlai con il responsabile della politica estera del Partito comunista, non con l’ultimo sottosegretario. Mi disse: si potrebbe pensare a una forza internazionale, un po’ come accadde nel Kosovo. Poi mi congedò con una frase che mi fece riflettere: “Sa, lei è il primo europeo venuto a parlarci di questo, gli altri ci chiedono solo di non sostenere la Russia”». Sugli eventuali seguiti di questo incontro non ci sono dettagli. Salvo che a un certo punto l’ipotesi (smentita poi dagli interessati) di truppe cinesi in Ucraina è finita su uno dei principali quotidiani tedeschi. È invece quasi certo che D’Alema, nella sua coerenza abbia, ribadito ciò che già nel 2010 spiegava a lettere cubitali. Da presidente della fondazione Italianieuropei, reduce da un viaggio a Pechino, spiegava ad Adnkronos che «oggi la Cina vuole andare sulla Luna, non è più quella delle magliette, ma l’Unione europea non deve avere paura. Quello della paura è il dramma dell’Europa perché noi viviamo in un Continente che ha delle aspettative negative mentre è fondamentale per l’Ue aprirsi, collegarsi con mondi vitali». Quali? Naturalmente la Cina. Come? Con partnership trasversali con il Sudamerica. «Bisogna evitare che la nuova governance globale», proseguiva D’Alema, «si costruisca sull’asse Cina-Stati Uniti, cosa che alla fine ci emarginerebbe tutti. È interesse comune che la multilateralità abbia, invece, dei processi più aperti».
Politichese a parte, quale momento migliore rispetto all’attuale e alla odierna crisi della Nato per creare un ricco terzomondismo che garbi ai socialisti Ue e ai loro amici cinesi. Non meraviglia che Zelensky abbia bussato alla porta di D’Alema. Adesso che negli Usa comanda Donald Trump e i flussi di aiuti e di armi si sono praticamente interrotti. Il racconto della scuola dalemiana in questi anni porta sempre a dire che le tensioni e la paura dell’Ue danneggia tutti e favorisce la Cina. Nei fatti, come diceva già da premier nel 2006 in visita a Pechino: «Siamo qui per quagliare». Titolo del Corriere, confermato dalle dichiarazioni di D’Alema stesso. Affari tra le aziende italiane e la Cina.
E questo è il momento tanto atteso da chi (in compagnia di Romano Prodi) ha sempre sperato di rendere l’Europa indipendente dagli Usa e dipendente dalla Cina. Basti pensare al Green deal, alla transizione ecologica, le batterie elettriche e le rinnovabili. Per cui se viene meno anche la tecnologia Usa, c’è sempre quella cinese pronta per essere adottata. Dove? Ad esempio nello Spazio. Tanto in futuro le guerre si combatteranno soprattutto lì. In un cielo non più con 50 stelle, ma solo cinque e con sfondo rosso?