Ospedali al collasso, prestazioni in grave deficit, inchieste e rinvii a giudizio. E questo nonostante un bilancio da 15 miliardi di euro… Nella regione del Sud la salute è un miraggio «grazie» alla gestione del suo governatore- sceriffo.
Se proprio vi capita di ammalarvi, abbiate il buongusto di morire presto». La scritta che campeggiava vicino a un ascensore dell’ospedale Vecchio Pellegrini, a Napoli, è la perfetta sintesi del rapporto tra i campani e la sanità. Malgrado le roboanti parole del governatore Pd, Vincenzo De Luca, che vede «primati» e «miracoli» come un disperso vede miraggi d’acqua zampillare nel deserto, il comparto assomiglia sempre più a un malato terminale. Afflitto com’è da sprechi, inefficienze e incapacità di gestione. E non è una questione di soldi che mancano, come sostiene «’o Sceriffo» impegnato in una sgangherata guerra all’esecutivo di Giorgia Meloni sull’Autonomia differenziata e sui fondi per il Sud. Il denaro c’è ed è anche parecchio: la salute pubblica assorbe l’80 per cento del bilancio regionale, circa una quindicina di miliardi di euro. È che viene speso male per i cittadini, ma fin troppo bene per gli amici degli amici.
A sostenerlo non sono i rivali di «Delukashenko», come viene anche chiamato a Palazzo Santa Lucia paragonandolo all’autoritario leader bielorusso, ma agenzie indipendenti. Come lo Svimez che, nel dossier 2024, assegna alla Campania la maglia nera per la spesa in conto capitale: appena 18 euro pro capite contro una media nazionale di 41. Ne consegue la più bassa aspettativa di vita del Paese: 83,1 anni per le donne (media italiana: 83,7) e 78,8 per gli uomini (80,5). Svimez ha calcolato che il debito accumulato dal 2010 al 2019 per la mobilità sanitaria interregionale è pari a tre miliardi di euro. I cittadini non vogliono curarsi nelle strutture locali ed emigrano, a cominciare dai malati di tumore: nell’ultimo anno oltre 3.300 pazienti oncologici hanno ricevuto assistenza fuori confine. Il numero più alto del Paese. «Un segno pazzesco di sfiducia che fa a pugni con le reiterate affermazioni di De Luca sul risanamento dei conti», spiega al nostro giornale Lorenzo Medici, leader della Cisl Fp. La fondazione Gimbe ha invece stimato (dossier 2023) che la Campania è penultima per adempimenti Lea, ovvero per le prescrizioni che consentono di accedere alle premialità dei finanziamenti aggiuntivi. E ultima per l’istituzione del fascicolo sanitario elettronico. Ancora ultimo posto per organici: mancano 4.200 medici del Ssn e settemila infermieri.
E pure i medici di famiglia scarseggiano: tra due anni ne spariranno altri 400. Nemmeno il Pnrr può molto da queste parti. Sapete quante case della salute sono state costruite grazie al Recovery? Zero. E appena un ospedale di comunità.Passiamo all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas): in un recente report ha incluso quattro ospedali campani tra i 12 peggiori in Italia. E che nessuno dica che l’ente sia prevenuto nei confronti di Palazzo Santa Lucia. Il presidente è infatti una vecchia conoscenza del presidente De Luca: il suo consigliere Enrico Coscioni. Quando si dice gli amici. Non è finita: secondo le rilevazioni di Welfare Italia index 2023, la Campania è al 19esimo posto (su 20) per la spesa in interventi e servizi sociali con 66 euro a testa a fronte dei 158 di media nazionale. Nella regione sono chiusi venti ospedali con relative strutture di prima emergenza e sono stati dismessi 322 ambulatori e laboratori pubblici. Il piano ospedaliero prevede appena novemila posti letto. Ne mancano altri 1.500 ma 800 potrebbero essere recuperati se solo fossero firmati i protocolli d’intesa con i due Policlinici universitari (Federico II e Vanvitelli) diventati da poco aziende ospedaliere: ma da un anno nulla si muove. Si muore, al più. Nel novembre scorso, a Scafati, un uomo di 50 anni è deceduto perché in città manca il Pronto soccorso. E il mese prima era toccato a una donna stroncata da un infarto. A dicembre una neonata di tre mesi è spirata dopo essere stata respinta all’ospedale di Boscotrecase perché anche lì il servizio di Pronto soccorso è inaccessibile.
A fine febbraio, l’Asl Na3 Sud è stata poi condannata a versare un milione di euro per risarcire gli eredi di una donna morta dopo una frettolosa diagnosi. In totale la Campania, solo nel 2020, ha pagato 18 milioni per spese legali da contenzioso e sentenze sfavorevoli. Per dirla con Albert Einstein, due cose sono infinite: l’universo e le liste d’attesa in Campania. Un’ecografia all’addome richiede fino a cinque mesi, per una colonscopia da sei a 12. Risonanze magnetiche? Nove mesi. Ecografia all’addome? «Appena» tre mesi. Per arrivare a farsi visitare da un ortopedico bisogna mettersi in fila per 12-15 mesi mentre per arrivare a «vedere» un oculista occorrono 45 settimane. Ma questi sono dati empirici perché un’analisi dei flussi è impossibile. I veri numeri delle liste d’attesa nella terra di Delukashenko sono protetti meglio della formula della Coca Cola: né consiglieri regionali né sindacati né associazioni di categoria riescono a ottenerli. A chi ne fa richiesta, gli uffici competenti rispondono che sono disponibili solo quelli del 2019, prima della pandemia. Preistoria. Sul fronte degli interventi operatori va anche peggio: per una cataratta servono 15 mesi. Per la rimozione di una colecisti 365 giorni. E per un tunnel carpale addirittura quattro anni. Quasi quanto uno studente impiega per laurearsi in Medicina.
A fine 2023 la Procura di Avellino ha spedito la Digos al «San Giuseppe Moscati» per capire il motivo di queste interminabili vigilie. Chissà se i pm riusciranno – almeno loro – a violare il gran mistero. È un fatto tuttavia che la Campania abbia utilizzato meno del 50 per cento (ultimo dato utile: giugno 2023) del finanziamento straordinario assegnato dal governo alle Regioni per il recupero delle liste d’attesa del 2021. Quindi, ancora una volta: i soldi arrivano, ma non vengono spesi. Perché? «Mai come oggi offrire ai cittadini consulenze e visite gratuite è cruciale. Purtroppo gli investimenti in sanità restano insufficienti e le liste d’attesa sono spesso infinite» ha spiegato Bruno Zuccarelli, presidente dell’Ordine dei medici di Napoli. «C’è un’enorme richiesta di salute che il “pubblico”, ridotto allo stremo, non riesce a soddisfare e bisogna lottare affinché le cure di qualità non siano ad esclusivo appannaggio di chi può permettersele». In realtà quella campana è già una sanità per ricchi. Chi paga, sopravvive. Statistiche 2022: al «Cardarelli», il presidio sanitario più grande del Mezzogiorno, sono state registrate 1.255 visite ortopediche in intramoenia (il paziente paga il medico che riceve fuori dall’orario di lavoro) e appena 112 con il regime pubblico. All’ospedale dei Colli sono state eseguite 111 ecografie dell’apparato urinario in intramoenia e zero nel pubblico. E ancora: al «Moscati» 699 visite ortopediche a pagamento e nessuna in regime pubblico. In totale il saldo 2022 tra prestazioni pubbliche in Ssn e intramuraria è negativo per oltre settemila interventi. Nel 2023 la situazione è addirittura peggiorata con un saldo negativo di tremila prestazioni nei primi 90 giorni dell’anno.
I fondi regionali per la sanità convenzionata ambulatoriale, prima annuali, sono diventati da qualche tempo mensili. Ma il tetto dei centri convenzionati si esaurisce nel giro di una settimana al massimo e se i degenti (anche quelli oncologici) non sono rapidi a prenotare dovranno ritentare il mese successivo. Il sindacato Cisl Fp ha calcolato che il 97 per cento delle prestazioni in riabilitazione è erogato dai centri accreditati. Complessivamente ci sono 133 strutture private che incassano 318 milioni di euro pubblici all’anno per fare quel che la sanità regionale non fa. La difesa dello «Sceriffo» è che, causa Covid, è saltato l’intero meccanismo. Insomma, non è proprio così. In Italia la media di recupero delle cure non erogate durante la pandemia (operazioni chirurgiche, screening oncologici e ambulatoriali) si è assestata al 65 per cento mentre la Campania non riesce a fare meglio del 10 per cento, peggio pure della Calabria che ha toccato quota 18 e lontanissima dalla Puglia di Michele Emiliano con l’83 per cento. All’opposto le committenze ai privati sono stabilmente al 37 per cento con un 8 per cento in più rispetto al resto del Paese. Altro che «Obamacare»: questo è il De Luca-care. E non migliora certo l’umore dei campani leggere i manifesti ufficiali della Regione con cui il governatore accusa il governo di destra dello sfascio della sanità.
«Così i cittadini deboli o malati perdono fiducia nel settore della salute che, ricordiamolo, è di esclusiva competenza di Palazzo Santa Lucia» spiega a Panorama l’avvocato Angelo Pisani, presidente di Noiconsumatori, «e non solo vengono impauriti e traumatizzati da questo scontro istituzionale ma sono quasi istigati a rivolgersi ai privati per potersi curare. Quanta gente si sarà indebitata, magari affidandosi anche dagli strozzini, per una visita o una operazione dopo aver capito che nel pubblico non c’è speranza?». La situazione è talmente disordinata e intricata che nemmeno i magistrati si riescono a orientare. «Il rapporto Regione-strutture accreditate è molto conflittuale anche perché la Regione ha cambiato metodo di assegnazione delle risorse» ha sottolineato Vincenzo Salamone, presidente del Tar Campania. «C’è una difficoltà di fondo e difficilmente riusciamo a mettere un punto finale perché c’è anche questa tendenza della Regione a cambiare continuamente metodi d’assegnazione che ci crea problemi perché non riusciamo a definire questi giudizi». Più fortunati sono invece i colleghi della Procura della Repubblica del capoluogo che sulla sanità hanno indagato e indagano sui centri nevralgici di spesa e su piccoli e grandi disastri. Come il crollo di gran parte del parcheggio dell’Ospedale del Mare (gennaio 2021) che ha portato sott’inchiesta, in qualità di collaudatore della struttura, Edoardo Cosenza, docente universitario e assessore della giunta del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. È approdato invece davanti al giudice per le udienze preliminari il procedimento sugli ospedali modulari che dovevano sorgere proprio accanto al nosocomio di Ponticelli.
Al centro delle verifiche le procedure con cui la Regione Campania, attraverso la società speciale Soresa, ha individuato in appena 48 ore la Med di Padova per realizzare un fabbricato di tipo «cinese» con 48 posti di terapia intensiva al costo di 15,5 milioni di euro. Il sospetto dei pm è che la gara possa essere stata manomessa attraverso informazioni riservate passate via WhatsApp o con un accordo a monte con l’azienda vincitrice. Sul caso la consigliera regionale Maria Muscarà (ex Cinque stelle) ha denunciato: «L’autorizzazione sanitaria rilasciata dal Comune di Napoli per l’Ospedale del Mare non ha mai ricompreso le strutture modulari di terapia intensiva. Dunque è mancata l’autorizzazione per la sicurezza delle cure e la determinazione del numero di posti letto utilizzabili. Una cosa gravissima, la mancanza di autorizzazione sanitaria è un reato». Tra i 19 indagati c’è il direttore generale dell’Asl Na1, Ciro Verdoliva. Già sotto processo, da tre anni, nel filone sugli appalti pubblici che vede coinvolto anche Alfredo Romeo. Il manager è imputato per frode in pubbliche forniture, rivelazione di segreti d’ufficio, favoreggiamento, falsità materiale, corruzione e induzione a dare o a promettere utilità. Nonostante i guai giudiziari, Verdoliva resta comunque al suo posto. È uno dei fedelissimi di don Vincenzo. Una delle ultime apparizioni pubbliche lo mostra mentre accarezza cavalli e coniglietti nella «fattoria didattica» che l’Asl Na1 ha costruito nell’ex ospedale psichiatrico Frullone per la «modica» cifra di 3,6 milioni di euro, camuffandola dietro la pomposa definizione di «Polo integrato per le prestazioni di elevata complessità, la didattica e la ricerca finalizzata in materia di sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria».
Ma ai capataz della sanità campana piace fare le cose in grande, è un fatto. Solo per la pausa caffè di due corsi di formazione dirigenziali la stessa Asl ha speso oltre 100 mila euro. «Il diritto alla salute, in Campania, è diventato un’elemosina. E tutto ciò a causa di De Luca, che con cinismo continua ad attaccare il governo con la precisa volontà di nascondere il suo fallimento e di scaricare le responsabilità rispetto al disastro che ha provocato» sostiene il capogruppo regionale della Lega, Severino Nappi, uno degli avversari del presidente dem. «La sanità si è ridotta a mezzo per alimentare il cerchio di potere del governatore, mentre si negano quotidianamente servizi fondamentali alla comunità. Invece di investire su presidi territoriali e di prossimità, De Luca continua a chiudere i Pronto soccorso, mentre a causa delle liste d’attesa infinite, una vergogna per un Paese civile, chi non può permettersi di aspettare o di pagare di tasca propria, rinuncia alle cure». E non si tratta di ordinaria contrapposizione politica, come ringhia il presidente campano che riduce tutto a scontro ideologico. Altrimenti non si spiegherebbe la denuncia alla Procura contabile del sindacato Nursind nei confronti della Regione Campania per aver rinunciato a spendere nove milioni di euro stanziati durante la pandemia per la campagna dei vaccini; oppure la querela che il vicesindaco (di area progressista) del Comune di Roccadaspide, nel Salernitano, ha firmato per la mancata tutela della salute nelle aree interne. O ancora il rinvio a giudizio, da parte della della Corte dei conti, per i quattro milioni di euro bruciati per realizzare le inutili «card anti-Covid» in concorrenza al green pass varato dall’esecutivo dell’epoca (De Luca rischia di dover pagare personalmente un milione). Eppure tutto questo per Delukashenko è propaganda. E così, convinto come il Candide di Voltaire di vivere nel migliore dei mondi possibili, ha deciso di schierare la Regione sul fine vita varando un’équipe di esperti per studiare gli spazi di manovra sull’eutanasia. Dimenticando (forse) che morire, in Italia, non è un diritto. Curarsi, invece, sì.