Migliaia di blindati e munizioni «intelligenti». E poi costosi sistemi missilistici. Mentre un sistema integrato tra i Paesi europei resta una chimera, il ministero guidato da Lorenzo Guerini si appresta ad acquisti di armamenti, che corrispondono al 2% del Pil italiano.
Missili, droni, blindati, radar, munizioni di nuova generazione. C’è tutto questo nel carrello della spesa del Governo italiano, per un ammontare stimato superiore ai 7 miliardi di euro. Un investimento considerevole, soprattutto se contestualizzato nell’attuale periodo storico. E così, mentre ovunque si taglia, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini chiarisce come la priorità del suo dicastero e dunque dell’intero governo Draghi sia raggiungere il 2% del Pil in fatto di spesa militare. Proprio come chiesto dalla Nato.
Evidentemente la già consistente spesa del nostro Paese, che sfiora l’1,5% del Prodotto interno lordo (dati aggiornati al 2020 dell’Alleanza Atlantica) con oltre 22 miliardi di euro, è ancora ritenuta inadeguata. Sarà solo un caso, ma a pochi mesi dalla riapertura del Parlamento, dopo la pausa estiva, tra i primi dossier che senatori e deputati si sono trovati davanti c’è proprio una sequela di decreti ministeriali per varie spese e progetti pluriennali sul tema. A pronunciarsi, dunque, dovranno essere le commissioni parlamentari competenti (Difesa e Bilancio) che verosimilmente autorizzeranno quanto previsto e voluto dal governo.
Ma di cosa stiamo parlando, nel dettaglio? Uno dei programmi riguarda l’acquisto «di munizioni a guida remota (Loitering ammunitions) per il comparto Forze speciali». Si tratta di munizioni orbitanti volte a incrementare la «protezione delle unità impiegate nei Teatri operativi, grazie a un miglioramento delle capacità di sorveglianza e allertamento, e comando e controllo, unite a una riduzione dei potenziali danni collaterali». Il costo nei prossimi cinque anni ammonta a 3,88 milioni di euro.
Naturalmente non poteva mancare un rafforzamento anche per la via terrestre, deciso attraverso l’acquisto di 1.600 blindati «Lince» che saranno in dotazione del nostro Esercito e nei prossimi anni ci costeranno la bellezza – stando a quanto recita il Documento programmatico pluriennale della Difesa – di 3,5 miliardi di euro, cui si aggiungeranno ulteriori 165 milioni per altri blindati volti a sostenere «la mobilità tattica terrestre dell’Arma dei carabinieri».
Un ulteriore decreto futuristico riguarda «la capacità di comando e controllo multidominio delle Brigate dell’Esercito italiano». In questo caso, nei piani della nostra Difesa, si mira a «garantire adeguati standard di performance, sicurezza, digitalizzazione, proiettabilità e interoperabilità per pianificare, organizzare e condurre operazioni all’estero (anche in ambito Ue e Nato) e sul territorio nazionale (in concorso alle forze dell’ordine o di pubbliche calamità/emergenze sanitarie)».
In parole meno oblique: si prevede il potenziamento delle reti, dei posti di comando digitalizzati anche per scongiurare ed evitare cyber-minacce, e si stima un fabbisogno di 1,1 miliardi di euro. Senza sottovalutare che «ne risulta finanziata una tranche per totali 501 milioni di euro distribuiti in 11 anni».
Nella lista della spesa ci sono pure sensori radar e ottici (111 milioni) e, soprattutto, i droni europei. In attesa che nasca l’Esercito europeo, l’Italia contribuirà alla progettazione e creazione di droni che rientrano «nell’ambito di un consorzio continenatle mirato al potenziamento delle capacità di Intelligence, Surveillance & Reconnaisance, alla promozione dell’industria europea, a iniziative di difesa congiunta».
Secondo il programma ministeriale, tutto questo ci costerà 1,9 miliardi da qui al 2035 (105 nel 2022, 125 nel 2023, e poi a salire). Chi pagherà? La Difesa. Ma forse anche lo Sviluppo economico dato che «la valenza strategica ai fini della promozione dell’industria nazionale […] è oggetto di valutazione col ministero dello Sviluppo economico in merito a una sua possibile sostenibilità finanziaria congiunta e, in tal senso, per la valutazione di specifico finanziamento in sede di prossima Legge di Bilancio». Staremo a vedere.
L’intervento degno di maggiore nota riguarda però i nuovi sistemi missilistici. Sono addirittura due gli atti di governo sottoposti a parere parlamentare. Uno focalizzato sull’ammodernamento «dei sistemi missilistici di difesa aerea» e dei radar «per la sorveglianza a lunga distanza» sulle navi Andrea Doria e Caio Duilio, con una spesa prevista nei prossimi anni di 900 milioni di euro.
L’altro, invece, volto al rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica «a protezione del territorio nazionale e dell’Alleanza atlantica» si stima comporti una spesa di 2,3 miliardi spalmati in 15 anni. Il conto finale, se i decreti dovessero essere autorizzati, non è niente male: si arriva a 7 miliardi di euro, appunto. Nonostante la crisi. O, forse e piuttosto, proprio per questo.