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Un freddo inverno nucleare per Macron

Un freddo inverno     nucleare per Macron

Altissimi costi di gestione per impianti troppo vecchi. Errori di programmazione nella nuova costruzione di centrali. Approvvigionamento dell’uranio spesso complesso a causa delle tensioni internazionali. Uno dei settori cruciali dell’economia d’oltralpe (con interessi strategici anche per l’Italia) vive una grave crisi. Che si ripercuote sulle bollette dei francesi…


A reti unificate, quest’inverno i francesi torneranno a sentire appelli al risparmio energetico, a partire dalla riduzione del riscaldamento. Ma stavolta non sarà l’appello televisivo di Emmanuel Macron a convincerli: saranno le bollette. In crescita del 10 per cento dal primo agosto, dopo il +15 per cento di febbraio scorso. E altri aumenti in prospettiva. Non il miglior viatico per un presidente che vivrà nel giugno 2024 la sua ultima campagna elettorale, quella delle europee. Sulla testa di Macron aleggia l’ombra di un primato perduto, di nodi storici che vengono al pettine.

La Francia costruiva reattori nucleari in giro per il mondo: ora non ha più questo lucroso mercato, a tutto vantaggio della Russia. Parigi andava fiera della sua capacità nucleare che consentiva un’invidiabile sovranità energetica e un consistente export.

Poi, l’inverno 2022, la fiammata dei prezzi che avrebbe potuto favorire i francesi li ha invece costretti ad aprire gli occhi: perché nello stesso tempo era ferma più della metà dei reattori, tra manutenzioni ordinarie e imprevisti. Il Paese è stato quindi costretto a sospendere l’export verso l’Italia e a importare energia pagandola a peso d’oro. Però il suo colosso energetico, Électricité de France (EdF), la doveva rivendere sottocosto ai distributori privati, in ossequio alla liberalizzazione del mercato…

All’Assemblea nazionale il relatore di una Commissione parlamentare d’inchiesta concludeva, dopo sei mesi di lavoro e 150 audizioni dei protagonisti degli ultimi 30 anni: «È il racconto di una lenta deriva, di una divagazione politica, spesso incosciente e incoerente, che ci ha allontanati dalla transizione ecologica e dalla nostra sovranità energetica». Un allarme gravissimo, se non un requiem.

La Francia è di gran lunga la nazione al mondo con più reattori in rapporto alla popolazione: sono 56, in 18 centrali. Con un’età media di 38 anni, molti oltre i 40. Il governo ha da poco rinazionalizzato EdF, in cui sono via via confluite tutte le attività. E l’azienda ha un debito monstre: oltre 64 miliardi di euro. Un macigno ingestibile, e nello stesso tempo l’impresa di nuovo statale deve investire: nelle rinnovabili, dove deve recuperare pesanti ritardi. Ma anche nella costruzione di centrali nucleari a tecnologia avanzata, che dovranno rimpiazzare quelle esistenti.

Ecco che, se non partono i cantieri la Francia – costretta nei prossimi anni a pensionare i vecchi impianti atomici – avrà un enorme buco nell’approvvigionamento energetico. E nessuno in Europa ha interesse a un collasso, men che meno l’Italia, che per le forniture elettriche dipende in larga parte da Oltralpe.

EdF, in ogni caso, ha depositato proprio in questi giorni la richiesta d’autorizzazione per la costruzione di due nuovi reattori a Penly, in Normandia. I lavori dovrebbero concludersi nel 2035, ma ci credono in pochi. Anche perché c’è carenza di manodopera specializzata. Un rapporto confidenziale del governo stima i costi per i dodici reattori previsti in almeno 52 miliardi di euro, 64 in caso di ritardi dei cantieri.

Ma la storia recente del nucleare francese non è fatta di puntualità: basti pensare all’Epr di Flamanville, reattore di terza generazione che sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2012, ha accumulato ritardi dovuti anche a errori sia di progettazione sia di lavorazione e sarà avviato, forse, quest’anno. Con costi lievitati a quasi 20 miliardi di euro, dai 3,3 previsti in origine. I nuovi reattori sono Epr2, cioè un riadattamento del reattore di terza generazione, che ha comportato tanti problemi, in Francia e nei cantieri aperti all’estero (Cina, Finlandia, Regno Unito). Quanto alla quarta generazione – la tecnologicamente più evoluta – vari progetti sono stati abbandonati.

Ma anche i recenti fermi delle centrali esistenti, tra manutenzioni ordinarie e problemi di ossidazione emersi negli impianti più «giovani», non riescono a rispettare i calendari. «In realtà EdF ha perso il controllo dei suoi strumenti di produzione: quando ferma un reattore non sa quando potrà farlo ripartire» spiega a Panorama Mycle Schneider, analista indipendente, coordinatore del World nuclear industry status report. «Già nel 2019 i “fermi reattori” sono stati del 44 per cento più lunghi del previsto e si sono perse ulteriori 1.700 giornate di produzione». E nel 2022 la produzione media del parco nucleare francese è stata appena del 52 per cento rispetto alla capacità nominale delle centrali.

Il problema è strutturale, secondo l’analista: «Negli anni Ottanta se ne sono costruite troppe, che hanno generato un eccesso di capacità produttiva. Si è quindi puntato a creare più domanda, da una parte con l’export, in particolare verso l’Italia, dall’altra puntando al mercato termico: il riscaldamento elettrico nelle case, eccetera. Ora però la situazione è diventata estremamente difficile da gestire, perché c’è un consumo altissimo d’inverno e basso d’estate: dai 30 GW della giornata di consumo minimo si passa ai 100 GW del picco invernale. La Germania, che ha 18 milioni di abitanti in più, ha picchi massimi intorno agli 85 GW». I picchi di consumo in Italia raggiungono a malapena i 60 GW.

EdF deve quindi investire massicciamente nelle rinnovabili e contemporaneamente anche nel nucleare, e c’è un altro grosso problema che si aggiunge: il riacquisto di Alstom. L’azienda, che era considerata strategica in Francia perché produce a Belfort, in Borgogna, le turbine Arabelle usate nelle centrali francesi fu venduta nel 2015 agli americani di General Electric (GE), dopo l’arresto di un alto dirigente di Alstom negli Usa. Macron all’epoca era ministro dell’Economia. La compagnia era privata ma esisteva la possibilità di bloccarne la cessione da parte del governo.

Di fatto, i francesi da quel momento sono dipesi dagli Stati Uniti per molti aspetti della loro sovranità energetica, a partire dalle manutenzioni delle centrali e fino ai contratti internazionali. Ora la EdF nazionalizzata riacquista l’attività nucleare extra-americana di GE, a un prezzo che si dice molto più alto rispetto ai 12 miliardi di euro incassati dalla prima vendita.

«Non sapremo mai il costo reale di quell’operazione, anche perché vanno considerati tutti i contratti in essere e i costi dell’integrazione della nuova entità in EdF» confida a Panorama una fonte sindacale di GE a Belfort, e aggiunge: «Comunque la vendita non è stata ancora del tutto finalizzata perché manca l’avallo di un fondamentale “convitato di pietra”, ovvero Rosatom…».

È infatti l’azienda nucleare russa, con cui l’ex-Alstom condivide una joint venture, a dover dare l’ultima autorizzazione al riacquisto francese dell’importantissimo produttore di turbine. Cosa non semplice perché le centrali russe sono le uniche, oltre a quelle francesi, a usare i prodotti di Belfort. In caso di embargo, evidentemente, non ci sarebbero più clienti.

Nella complessa gestione del nuclere, c’è anche l’approvvigionamento dell’uranio. La Francia ne consuma 7 mila tonnellate all’anno ed è tutto d’importazione: Orano, filiale di EdF, ha miniere in Niger, Canada e Kazakistan; il governo canadese ha imposto il vincolo dell’uso non militare; il Kazakistan diverrebbe un interlocutore difficile in caso di embargo alla Russia e anche i fatti dei giorni scorsi in Niger certificano i rapporti già deteriorati della Francia in Africa: dal vicino Mali è stato cacciato il contingente militare di Parigi, rimpiazzato dai mercenari della Wagner, stessa cosa è accaduta nella Repubblica Centrafricana e anche i golpisti nigerini sono ritenuti vicino alla milizia russa. Inoltre, l’ultima «tournée» di Macron nel continente nero, nel marzo scorso, si è contraddistinta per un duro scambio, pubblico, con il presidente della Repubblica Democratica del Congo che chiedeva più rispetto e meno paternalismo dall’Europa, Francia in primis.

Anche la fine della cosiddetta «France-Afrique», il sistema di rapporti privilegiati con le ex colonie, più volte riconosciuta dallo stesso Macron, potrebbe complicare l’approvvigionamento, a lungo termine. Almeno in termini di prezzo. Vedremo.

Per il prossimo inverno, intanto, Rte France, il gestore nazionale delle reti elettriche, rassicura: quasi tutti i reattori dovrebbero tornare operativi, il Paese è di nuovo esportatore netto d’energia. Ma avverte: «Restano forti tensioni sui prezzi finali». La colpa sarebbe dei distributori che non si fidano e scaricano il rischio sul consumatore. «La verità è che tutti hanno interesse a che le tariffe aumentino» aggiunge amaramente il sindacalista di Belfort, «semplicemente perché il settore non è più redditizio come un tempo».

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