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Francia, c’è sempre un motivo per essere antisemita

Francia, c’è sempre un motivo per essere antisemita

Dopo la reazione di Israele contro Hamas e nella Striscia, ci sono stati centinaia di episodi contro la comunità ebraica più grande d’Europa. Un’intolleranza che Oltralpe ha radici storiche e ora si rafforza con la componente islamica della popolazione.


Tutto è durato pochi minuti: la colonna di fumo che si alza dalla sinagoga di Rouen e l’algerino responsabile dell’incendio che scende dal tetto con un coltello in mano per attaccare gli agenti prima di essere abbattuto da uno dei poliziotti. È l’istantanea di un’aggressione che a metà maggio ha spaventato la Francia per modalità e matrice. Si è trattato «evidentemente di un atto antisemita» ha subito commentato il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, esprimendo l’emozione dell’intero Paese contro l’ennesimo attacco a una comunità che vive ormai in un clima di angoscia.

Un virus latente in Francia quello dell’antisemitismo, sempre pronto a manifestarsi in modo improvviso e doloroso, per poi scomparire fino all’episodio successivo. Dall’offensiva di Hamas contro Israele del 7 ottobre, la «sindrome» non ha fatto altro che acutizzarsi alimentando un’ondata di odio che appare in continuo aumento, stando al bilancio annunciato circa un mese fa dal premier Gabriel Attal: durante i primi tre mesi dell’anno nel Paese con la più importante presenza ebraica d’Europa (circa 500 mila persone) si sono registrati 366 casi, il 300 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Un rigurgito che si è verificato in tutto l’Occidente, ma particolarmente violento Oltralpe dove prende le forme di insulti, aggressioni e allarmanti casi di cronaca. Per questo molti ebrei hanno cambiato abitudini: il quotidiano Le Monde parla di fedeli che a Parigi evitano di mostrarsi in pubblico con la kippah, il tradizionale copricapo circolare, mentre sulle sue colonne Le Figaro racconta che a Lione qualcuno preferisce togliere il nome dalla cassetta delle lettere perché riconducibile al proprio credo. Segnali inquietanti, in un Paese storicamente segnato dall’Affaire Dreyfus, il capitano ebreo accusato ingiustamente di spionaggio per la Germania alla fine del XIX secolo, diventato simbolo di un antisemitismo istituzionalizzato.

Quello di oggi sembra avere radici diverse, come spiega lo storico francese Georges Bensoussan, che individua un fenomeno cominciato almeno 25 anni fa: «C’è un nuovo antisemitismo legato all’immigrazione araba in arrivo dal Maghreb che si coniuga con la re-islamizzazione di queste comunità» spiega il saggista. «Non vuol dire che non ci siano più le vecchie manifestazioni di intolleranza, ma è stato in gran parte sostituito da questa nuova tendenza d’importazione». A colpire è soprattutto la diffusione del fenomeno nelle fasce più giovani della popolazione che, a sorpresa, si mostrano particolarmente permeabili all’antisionismo. Da un sondaggio condotto dall’Ifop per la sede francese dell’American Jewish Committee in collaborazione con la fondazione Fondapol emerge che il 35 per cento degli under 25 definisce normale prendersela con gli ebrei a causa del loro sostegno a Israele. «Chi ha meno di trent’anni ha sempre delle idee più radicali, ma a ciò si aggiunge il fatto che quei freni morali come la memoria della Shoah non funzionano più: l’immagine dell’ebreo visto come vittima è stata trasferita sui palestinesi» sostiene Bensoussan, prima di ricordare che «oggi la popolazione immigrata di origine araba è molto più giovane della media francese».

Intanto, il governo corre ai ripari. Il presidente Emmanuel Macron promette di essere «inflessibile» e lancia l’Assise della lotta contro l’antisemitismo: un’iniziativa che dovrebbe favorire un dialogo tra le parti contrapposte. La République cerca così di risanare le fratture interne utilizzando i suoi valori fondanti a mo’ di collante nella speranza di rimettere insieme i pezzi. Le Stelle di David dipinte nei mesi scorsi sui muri di alcune case abitate da ebrei e le impronte delle mani rosse sul Memoriale della Shoah a Parigi, secondo i primi elementi raccolti dagli inquirenti, farebbero parte di un piano di destabilizzazione orchestrato dalla Russia, ma rendono anche bene l’idea di un Paese profondamente diviso, con alcuni nervi sempre scoperti. Il margine è spesso quello che delimita l’antisemitismo dall’antisionismo, a cavallo del quale si posizionano molte delle proteste contro Israele scoppiate dopo l’attacco a Gaza. Tra esse anche quelle che hanno portato all’occupazione di alcune importanti università parigine da parte dei movimenti filopalestinesi emersi sulla scia delle più ampie contestazioni scoppiate nelle facoltà statunitensi. Anche in questi casi non sono mancati episodi controversi, come quello di Sciences Po, fucina dell’élite dove l’Unione degli studenti ebrei di Francia (Uejf) ha denunciato discriminazioni contro una ragazza che a marzo si è vista rifiutare l’ingresso nell’anfiteatro occupato a causa della sua confessione, prima di essere definita «sionista». Una versione confermata dalla direzione dell’istituto al termine di un’inchiesta interna. Allo sforzo di riconciliazione dell’esecutivo si uniscono anche le opposizioni. Un esercizio assai delicato per Marine Le Pen, che si è trovata costretta ad ammettere i «disaccordi» avuti in passato con il padre Jean-Marie, responsabile di una lunga lista di uscite antiebraiche. Come quella del 1987, quando il «vecchio leone» dell’estrema destra definì le camere a gas dei nazisti un «dettaglio» della storia.

Tuttavia, nel coro di condanne c’è qualche voce stonata. La France Insoumise, partito della sinistra radicale guidata da Jean-Luc Mélenchon, ha assunto un atteggiamento ambiguo fin dall’inizio della nuova crisi mediorientale. La mancata condanna di Hamas in quanto organizzazione terroristica, le bandiere della Palestina sbandierate nell’Assemblea nazionale (prima dal deputato Sébastien Delogu, espulso per 15 giorni, poi dalla collega Rachel Kéké), e le conferenze sulla Palestina vietate per motivi di ordine pubblico: una serie di passi falsi che hanno catalizzato sul partito le critiche degli altri alleati di sinistra, della maggioranza macroniana e di tutta la destra, pronta a rispolverare lo spauracchio dell’«islamo-gauchisme» (termine solitamente utilizzato per indicare una presunta connivenza tra gli ambienti musulmani radicali e la sinistra estrema).

Ma per Mélenchon, «l’antisemitismo resta residuale in Francia». «In lui c’è un calcolo elettorale: punta molto sulle popolazioni di origine musulmana per recuperare il ritardo accumulato nel voto popolare, che oggi va soprattutto al Rassemblement National» aggiunge Bensoussan. «Questo non vuole dire che i membri della France Insoumise siano antisemiti, ma che una parte della sinistra francese presenta dei riflessi di questa tendenza attraverso il suo anticapitalismo». Fantasmi secolari di una Paese che non riesce a svegliarsi dal suo incubo.

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