La presidente della Sardegna si scaglia contro impianti eolici e fotovoltaici. Peccato che per il suo Movimento cinque stelle l’energia pulita sia da sempre una battaglia irrinunciabile.Ma succede un po’ in tutt’Italia che a sinistra si appoggino proteste anti-green: E’ il bello della contraddizione.
Mai sottovalutare i pentastellati. Un’interminabile lista di prodezze ne conferma il valore. Sono coriacei, impavidi, combattivi. Nessuno, però, ha mai raggiunto le audaci vette di Alessandra Todde, la prima presidente di Regione nella storia del Movimento. E adesso tenetevi forte. La governatrice della terra dei Nuraghi muove guerra alla Cina, già punto di riferimento grillino. Cagliari sfida Pechino. Xi Jinping trema. L’impianto fotovoltaico nella Nurra, tra Sassari e Alghero, non si farà. «Difenderò le prerogative dei sardi. Non ho paura della Cina» annuncia la generalessa nuorese. È pronta a tutto per combattere le orripilanti rinnovabili. La sua giunta ha approvato una moratoria di diciotto mesi per bloccare eolico e solare, in nome del rischio di scempio ambientale. «C’è una richiesta di autorizzazioni superiore di oltre dieci volte il tetto stabilito» duella Todde. «E l’energia non viene neppure sfruttata dai sardi». Beh, certo. Federalismo pure lì, altroché.
La governatrice prepara imboscate e arruola adepti. Proprio mentre il suo partito, con uguale spirito battagliero, dirama incompatibili dispacci: «No a questo governo fossile, vogliamo un futuro rinnovabile!». Solo dove non governano i Cinque stelle, ovvio. «Le rinnovabili, abbondanti e democratiche, sono le uniche in grado di garantire un approvvigionamento libero e sostenibile». La premier, Giorgia Meloni, «se ne infischia dei cittadini che sono costretti a pagare bollette sempre più alte». Del resto, anche il programma elettorale delle ultime europee spiega: «Occorre triplicare la capacità rinnovabile entro il 2030» scrive il partito di Giuseppe Conte. «Tuttavia, nell’ultimo periodo, c’è stata una tendenza a ridimensionare. Dobbiamo assolutamente invertire questa rotta».
Come dargli torto? Gli ultimi dati di Terna, gestore pubblico della rete, certificano: nonostante l’accelerazione del 2023, siamo ancora lontani dagli obiettivi che ha fissato Bruxelles. Ma si può pensare di vincere contro guerriglieri alla Todde, disposta perfino a sfidare l’onnipotente Xi? È Chint Solar difatti, colosso statale del fotovoltaico, ad aver comprato il progetto nella Nurra. L’impianto, scrive la multinazionale cinese, «si estende su una superficie di oltre 900 ettari che comprende aree destinate a colture e pascoli». La giunta sarda, in carica da due mesi, adesso blocca però ogni richiesta di autorizzazione, vista anche l’avversione dal territorio. Del resto, già durante la campagna elettorale per le regionali, Conte deflagra: «Prestarsi alla speculazione in Sardegna è assolutamente inaccettabile». Tre mesi dopo, in vista delle ultime europee, avverte: «Abbiamo solo una certezza: l’unica energia pulita, sicura e democratica viene da fonti rinnovabili. Investiamo in quelle».
L’ennesima prova di camaleontismo dell’ex premier esemplifica l’ultimo cortocircuito della sinistra. Da anni l’impero del bene dileggia chiunque eccepisca su onerose ecofollie e forzosa transizione. Imputa al governo l’astronomico costo delle bollette. Infarcisce i programmi di velleità green. Professa ambientalismo intransigente. Salvo poi alzare interessate barricate, come in Sardegna. Per carità: pale e pannelli possono deturpare l’ambiente, certo. Ma non si può agitare lo spauracchio solo dove conviene. E la minaccia cinese incombe più che mai, ci mancherebbe. Dopo le auto elettriche, Pechino ora invade l’Europa con pannelli e turbine. Un vantaggio ottenuto, ancora una volta, grazie a giganteschi sussidi di Stato.
Insomma, il fotovoltaico nella Nurra non è un’ubbia di Todde. Ma resta la solita, insuperabile, incoerenza. Aggravata, spiega Paolo Truzzu, dai trascorsi della governatrice: viceministro dello Sviluppo economico nel precedente governo Draghi, che avrebbe causato l’attuale «Far west». «Questa situazione è frutto del decreto di due anni fa» spiega il capogruppo di Fratelli d’Italia in Sardegna. «Oggi sta concretamente dispiegando i suoi frutti, con centinaia di richieste per installare impianti ovunque». Poco importa. La colpa, comunque, viene addossata all’impero del male meloniano. Così anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, da sempre preda del furore ecologista, spalleggia la governatrice nell’impari conflitto: «Serve una programmazione regionale, per non esporre il piccolo agricoltore al ricatto della multinazionale, che vuole fare una grande distesa di pannelli sul suo suolo». Solo qualche mese prima, invece, era stentorea: «Il nucleare è insostenibile, bisogna puntare sulle rinnovabili».
I tartufeschi distinguo, però, stavolta non convincono nemmeno i Verdi, fedeli e inscalfibili alleati. Quelli dei «no a prescindere». Quelli che bloccano una salvifica diga per due lontre. E ad eccepire, adesso, è perfino l’indomabile portavoce del partito, Angelo Bonelli. Colui che in parlamento mostrò i sassi del fiume Adige, a riprova della siccità causata chiaramente dalla premier. Eppure, boccia la moratoria sarda: «Non l’avrei fatta» giura al Foglio. Ma come? «Bisogna piuttosto accelerare per definire le aree idonee agli impianti». Capite, la rivoluzione copernicana? «Anni fa venivo accusato di essere l’animatore dei Nimby e oggi mi trovo dall’altra parte» dice il leader dei Verdi. In zona Meloni, più o meno. «Dobbiamo avere un atteggiamento di responsabilità». Capite? Bonelli. Proprio lui. Che dà garbatamente degli sfascisti a Elly e Giuseppi: «Se si cominciano a mettere degli stop, dobbiamo capire come alimentare energeticamente questo Paese».
Il mondo alla rovescia. Pazzesco. Ma il cortocircuito su solare ed eolico si estende anche all’associazionismo d’area. Legambiente, da sempre succursale dem, resta favorevole senza tentennamenti. Il titolo del suo ultimo dossier è eloquente: «Scacco matto alle rinnovabili». Segue polemico svolgimento: alla fine dello scorso febbraio, gli impianti in attesa della valutazione «erano complessivamente 1.364, di cui il 76 per cento tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna». Insomma: visto il quadro «sconfortante», quali sarebbero «i blocchi che ancora impediscono lo sviluppo di queste tecnologie?».
Lungaggini burocratiche a parte, sono i Nimby, fautori delle opere pubbliche solo nel giardino altrui, ovvero soprintendenze e amministrazioni locali. E i ben più temibili «Nimto». Sta per Not in my term of office: non durante il mio mandato elettorale. Come insegna Todde in Sardegna, disposta a tutto pur di bloccare Chint. La società cinese, a ulteriore riprova della diatriba a sinistra, «supporta attivamente» la campagna nazionale di Legambiente «Voler Bene all’Italia», che si è appena svolta, per promuovere «la transizione energetica nei piccoli comuni». Fa parte della «lobby delle rinnovabili», l’accusa Italia Nostra, intrepida rivale: «Legambiente chiede un ulteriore deregolamentazione sui mega impianti», impipandosene del «consumo di suolo, devastazione paesaggistica, danni all’avifauna e all’agricoltura». Botte da orbi. Il sotteso è ancor più infamante: presunta intelligenza con il nemico, l’industria delle rinnovabili. Difatti, mentre viene diffuso quell’arrembante dossier, Italia Nostra organizza gli Stati generali contro l’eolico e il fotovoltaico a terra: «Non si può salvare il pianeta danneggiando il paesaggio e la biodiversità». E all’iniziativa aderiscono pure un centinaio di sindaci.
D’altronde, la lista dei territori dove gli ex giallorossi contrastano nuovi impianti è sterminata. «Quando vedo alcune meravigliose colline violentate da queste pale eoliche mi viene il male al cuore» condensa Vincenzo De Luca, presidente della Campania. Così la Puglia, guidata dal dem Michele Emiliano, si oppone al fotovoltaico tra Santeramo e Altamura. Il governo spinge. E la regione frena, mutuando gli argomenti sardi: «La Puglia sarà completamente trasformata senza altri obiettivi, se non quelli di consentire extra profitti alle multinazionali» allerta l’assessora regionale all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio, appena deposta. La colpa sarebbe del solito e mefistofelico ministero guidato da Gilberto Pichetto Fratin: «Continua a ignorare i pareri paesaggistici». Urge ulteriore regolamentazione, insiste dunque Maraschio. «Non solo per definire dove è possibile insediarsi, ma anche quanto: perché la nostra regione deve sacrificare il suo paesaggio più delle altre?».
Abbiamo già dato. È l’altro grido di battaglia dei rivoltosi, dagli Appennini all’Aspromonte. E tra i ribaldi, quasi sempre, ci sono appunto i più entusiasti fautori della transizione energetica: Pd e Cinque stelle. Il parco eolico sul monte Giarolo, tra le province di Pavia e Alessandria? I dem si schierano contro, «vista la valenza naturalistica, ambientale e culturale». Al pari dei grillini, ovviamente. Pronti alla barricate pure nella valle del Novito, in Calabria. «Un altro scempio che minaccia un territorio bellissimo» assalta il Movimento. Ribadendo l’altro assunto dei riottosi: «Quest’insostenibile installazione non porterà lavoro né energia, perché quella prodotta sarà riservata al nord Italia». Come insegna ancora la Sardegna, l’opposizione alle rinnovabili diventa autonomia rovesciata: nemmeno un megawatt vada al Nord. Un tonante diniego sull’eolico a Badia Tedalda, tra il Riminese e l’Aretino, unisce invece le due storiche regioni rosse: «L’Emilia-Romagna si batterà in tutte le sedi contro questo impianto» annuncia la vicepresidente e assessora all’Ambiente, Irene Priolo. E lo stesso farà la Toscana. Ma pure in Basilicata si muove il Pd. L’eolico off-shore al largo delle coste lucane? No pasarán! E anche nell’alto Molise i dem provano a bloccare sei nuovi progetti, già approvati, «per tutelare coltivazioni di pregio e animali». Con i Cinque stelle, ancora una volta, a denunciare la strisciante colonizzazione: «La regione non può essere preda delle “big company” energetiche, che non garantiscono alcun vantaggio economico ai nostri cittadini». Lotta impari, in effetti. Come quella di Alessandra contro Jinping: la regina dei Nuraghi contro l’imperatore del Dragone. Che la decisiva battaglia per le rinnovabili abbia inizio.