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Golden Power, l’arma «sovranista» che arriva da sinistra

Golden Power, l’arma «sovranista» che arriva da sinistra

Dalle telecomunicazioni alla sicurezza alimentare. Il «potere di interdizione» dello Stato nelle acquisizioni in settori strategici è oggi cruciale (si veda il recente caso di Pirelli e della cinese Sinochem). Ma questo strumento, eredità dal governo Cinque stelle-Pd, avrebbe bisogno di norme più specifiche per situazione complesse che espongono a forte rischio le produzioni nazionali.


La vera arma «sovranista» del governo Meloni è un regalo dell’opposizione. Sarà paradossale, ma è andata proprio così: siamo nell’aprile 2020, piena emergenza Covid, e il governo giallorosso (Cinque Stelle più Pd) usa il decreto liquidità per allargare a dismisura gli ambiti di applicazione del «Golden power», il potere di interdizione che ha uno Stato rispetto a operazioni in settori considerati strategici. La difesa è strategica? Certo, così come le telecomunicazioni e la tecnologia 5G, cosìcome l’energia, i trasporti, l’acqua, la salute, il mondo dell’informazione, le infrastrutture aerospaziali, la robotica, i semiconduttori e la sicurezza agroalimentare.

Non la tiriamo per le lunghe e sintetizziamo: nel nuovo elenco, che fa peraltro riferimento a un regolamento Ue, c’è dentro di tutto. C’è anche la possibilità che il governo possa aprire d’ufficio la procedura se le aziende interessate (chi sta acquisendo un «asset» in Italia) non assolvono gli obblighi di notifica previsti. Mentre, pochi mesi dopo, con il governo Draghi, si è provveduto a rendere più semplice e spedita la procedura per applicare i poteri speciali. Bingo. Il centrodestra ha oggi in mano una sorta di «bazooka» per proteggere gli interessi nazionali: è emerso in tutta la sua evidenza con la recente operazione su Pirelli e con l’affare «interrotto» su Electrolux, dov’è bastata la semplice minaccia di applicazione dei poteri speciali per dissuadere i potenziali acquirenti.

Da una parte il governo ha ritenuto necessario mettere al sicuro i sensori cyber impiantabili negli pneumatici del colosso della Bicocca attraverso i quali è possibile raccogliere i dati del veicolo su strade, geolocalizzazione e stato delle infrastrutture. Queste informazioni se assemblate ed elaborate attraverso gli algoritmi dell’intelligenza artificiale potrebbero rivelare a potenziali concorrenti i dati sensibili del Paese. Secondo Giorgia Meloni un po’ troppo. Così Palazzo Chigi ha deciso di sterilizzare i poteri del primo azionista, la società statale cinese Sinochem, che detiene il 37 per cento di Pirelli. A titolo di esempio: Sinochem non potrà mettere bocca sulla scelta dell’amministratore delegato che sarà deciso dalla Camfin – la holding di Marco Tronchetti Provera (attuale ad e vicepresidente del gruppo) che detiene il 14 per cento di Pirelli – non avrà poteri di direzione e controllo e, inoltre, verrà esclusa da alcune informazioni rilevanti.

Non solo. Perché ogni modifica alla «governance» richiederà la notifica al governo italiano e per evitare qualsiasi rischio s’impone la creazione di un’unità organizzativa autonoma per la sicurezza dentro il gruppo. Un Golden power pesante tanto che in molti si chiedono che senso abbia per Sinochem restare in Pirelli. Dall’altro c’è il caso Electrolux e le ambizioni di Midea, multinazionale cinese specializzata nelle applicazioni per la casa (dagli elettrodomestici al trattamento dell’aria) e presente in più di 200 Paesi. Qui non c’è stato bisogno di applicare il golden power, è stato sufficiente minacciarlo: «Nel caso, che ora riteniamo ipotetico, ci fosse la volontà, da parte di chiunque, di cedere, vendere o trasferire le aziende di Electrolux», ha chiarito il ministro per i Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, «il governo sicuramente farà sentire la propria voce attraverso l’esercizio del Golden power, come sta facendo in questi giorni con Pirelli».

Tanto è bastato, sembra, per far rientrare le ambizioni di Pechino. Ora, se per Pirelli l’interesse strategico è comprensibile, qualche dubbio in più sorge per la salvaguardia dell’interesse nazionale relativo all’attività di produzione di lavastoviglie e frigoriferi. «Per comprendere modifiche ed estensione dell’utilizzo del Golden power» spiega il giurista e presidente della commissione Via-Vas Massimiliano Atelli «bisogna capire che il mondo e gli equilibri geopolitici stanno cambiando molto velocemente. La Cina, tanto per dare l’idea delle dinamiche in atto, sta continuando ad acquistare vaste estensioni di territorio d’Africa aumentando la sua sfera di influenza in Nigeria, Angola, Zambia, Repubblica democratica del Congo… Non si parla più solo di conquista del petrolio, ma anche di terre rare con tutto ciò che ne consegue. Ovvio che anche il concetto di tutela dell’interesse nazionale si sia esteso rispetto ai confini tradizionali che erano quelli della difesa, dell’energia e delle telecomunicazioni».

Il caso di scuola è dato dalla sentenza del Tar del Lazio dell’aprile del 2022. Il Tribunale amministrativo respinge il ricorso avanzato da Sygenta, la multinazionale svizzera che produce semi e prodotti chimici per l’agricoltura, controllata da ChemChina, contro la decisione del governo di applicare il Golden power. Per la prima volta Palazzo Chigi (c’era Mario Draghi) pone un veto assoluto per difendere il Made in Italy agroalimentare e bloccare l’acquisizione delle società italiane del gruppo Verisem. Un’operazione da circa 200 milioni di euro. Il caso Sygenta fa capire da un lato come si siano estesi ambiti e settori dove è possibile applicare i poteri speciali e dall’altro, stando alle motivazioni del Tar, evidenzia come la decisione dello Stato di esercitare o meno il Golden power attraverso l’imposizione di prescrizioni o opponendosi del tutto all’operazione, si connoti per una «amplissima discrezionalità», in ragione della natura degli interessi tutelati. «Per dare un’idea di come gli ambiti di applicazione si siano estesi» continua Atelli, «si pensi al caso di scuola di un distretto della rubinetteria che dà lavoro a 30-40 mila persone. Ci saranno decine di micro-aziende che per forza di cose sono strettamente collegate tra di loro. Anche se una sola avesse investito in ricerca e sviluppo brevettando una tecnologia che dà impulso a tutto il distretto, non sarebbe irragionevole una sua difesa con il Golden power perché l’eventuale cessione all’estero potrebbe mettere in pericolo 30-40 mila posti di lavoro».

Facendo un passo indietro è interessante analizzare la relazione sui poteri speciali presentata al Parlamento dall’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. Fa riferimento al 2021 ed evidenzia che il governo aveva «studiato» 496 operazioni potenzialmente rischiose per l’interesse strategico del Paese. Su quel numero c’era stato un unico veto secco, ancora una volta rispetto a un’azienda statale cinese. La Shenzhen Investment Holdings che voleva acquisire il 70 per cento di una società italiana che produce semiconduttori, la Lpe. Nello stesso anno, l’86 per cento delle notifiche aveva riguardato i settori energia, trasporti e comunicazioni, il 10 per cento la sicurezza nazionale e il 4 per cento il mobile 5G. Oggi c’è una maggiore diversificazione rispetto ai settori analizzati ed è vero che le ambizioni di Pechino restano preoccupanti, ma c’è da guardarsi anche da altri.

«La nostra normativa», aggiunge, «è all’altezza di quelle di Francia e Germania. Il tema però è la cultura e l’abitudine a tutelare l’interesse strategico nazionale che è un concetto non solo non estraneo ma anzi radicato nel diritto comunitario. In Francia, per intenderci, in settori come l’automotive o l’energia, dove lo Stato ha quote di partecipazione decisive non c’è necessità di ricorrere ai poteri speciali. In Italia ci sono maggiori rischi ed è indispensabile dotarsi di una struttura organizzativa forte e molto attenta nell’attività di prevenzione. Così come si può lavorare di più per diversificare gli strumenti relativi al Golden power». Non esistono solo i veti assoluti o le prescrizioni più o meno forti da imporre. «Nel caso Wartsila a Trieste» conclude il giurista, «dove una multinazionale finlandese ha deciso, oltre a chiudere il sito industriale, di portare nel suo Paese macchinari insostituibili. In tal caso, con la normativa vigente, quali poteri interdittivi potrebbe esercitare un governo?».

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