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Cosa c’è al di là di Silvio

Cosa c’è al di  là di Silvio

Dopo la scomparsa del suo leader, Forza Italia sarà «congelata» per la tenuta del governo. Almeno fino alle europee. Poi, molto dipenderà dal ruolo della figlia Marina.


«Adelante Pedro, con juicio». Il colonnello meloniano sembra Antonio Ferrer dei Promessi sposi, il gran cancelliere che suggerisce al cocchiere di procedere con prudenza mentre la carrozza fende una folla inferocita. Così il fedelissimo di Giorgia, prima di involarsi verso la navata laterale del Duomo per l’addio al Cavaliere, sibila: «Effetto freezer». Dopo la morte di Silvio Berlusconi, Forza Italia diventa l’assillo di tutto il centro destra: come sopravviverà al suo insostituibile leader? Urge cristallizzare, imbalsamare, procrastinare: mettere il partito nel congelatore, appunto. Da Palazzo Chigi a Cologno Monzese si concorda: «Bisogna andare avanti». Non per nostalgia, ma per necessità. La maggioranza deve procedere senza scossoni. E va definita la storica alleanza tra conservatori e popolari a Bruxelles, in caso di vittoria alle prossime europee.

La famiglia del Cavaliere, per ora, non si sottrae. Il patto tra Giorgia la premier e Marina la primogenita era già stato sancito mesi fa, con il ridimensionamento degli antigovernativi. È stato rinsaldato. Forza Italia non verrà liquidata, nonostante il debito di 90 milioni che grava sugli eredi di Silvio. Soldi che non saranno mai restituiti. A conferma di quanto la creatura politica del padre sia ora legata ai cinque figli, che finanziano anche personalmente il partito. Ma i parlamentari azzurri si tormentano: «Fin quando andrà avanti questa generosità?». Erano già in subbuglio. Ma i ronzulliani, dal nome dell’indomita capintesta Lucia, si sarebbero acquietati.

Intanto, come segno di rispetto verso l’uomo cui tutti devono tutto. Poi, per calcolo: nessuno, al momento, nel centro destra sarebbe disposto ad accogliere eventuali transfughi. Unica alternativa, nel Terzo polo, potrebbe essere Italia Viva di Matteo Renzi. Ma l’iperattivismo post mortem dell’ex premier, che i meloniani definiscono «sguaiato», ha convinto i pochi tentati a soprassedere. Interviste, tweet, dichiarazioni: Renzi ha zompato da un programma all’altro, lasciando intendere che, nonostante le differenze, rimane l’unico erede politico del Cavaliere. Risultato: anche i pochi bendisposti sono rimasti allibiti.

Adelante con juicio, dunque. E con il più giudizioso di tutti: il vicepremier Antonio Tajani, che Berlusconi aveva già designato suo vicepresidente. «Non ha carisma» dicono. «Meglio!», replica l’addetto all’operazione freezer: «Faremo di tutto per garantirlo». Dopo l’inarrivabile leader, chiunque verrebbe annichilito dall’impietoso paragone. Serve un buon amministratore, piuttosto. Fino alle europee, intanto. E poi, chissà. Uno che stempera, incassa e concilia. A Tajani è affidata un’impresa impossibile: trasformare il partito più personalistico in un partito normale. Sempre nel nome del padre, ovviamente. Perché, soprattutto nei primi mesi dopo la morte del fondatore, piuttosto che caracollare, Forza Italia potrebbe perfino crescere. Sarebbe l’onda emotiva. Le idee del Cavaliere, ripeteranno gli smarriti superstiti, vivono e lottano insieme a noi: la rivoluzione liberale, meno tasse per tutti, la necessità di moderatismo. Così, a sorpresa, gli azzurri magari potrebbero guadagnare qualche decimale. A meno che, nel frattempo, non cominci la diaspora.

Il prossimo obiettivo è lontano, certo. Ma l’orizzonte almeno si intravede: le prossime elezioni europee, tra maggio e giugno 2024. Tornata decisiva. Potrebbe sancire la nascita di una nuova maggioranza tra l’Ecr, presieduto da Meloni, e il Ppe, di cui fa parte Forza Italia. La strategia è quella del vecchio generale prussiano: marciare divisi per colpire uniti. A maggior ragione, visto che l’architetto dell’alleanza a Bruxelles è Manfred Weber, il presidente del Ppe. È uno dei leader più vicini a Meloni. E resta saldissima la sua amicizia con Tajani, ex presidente dell’europarlamento, illustre trascorso che lo rende ancor più adeguato alla contingenza.

Il ministro degli Esteri italiano, comunque, sarà anche l’ambasciatore con il Ppe. Già, ma riuscirà a infiammare l’elettorato, in fuga da anni? Improbabile. E Forza Italia, alle prossime europee, deve superare il 4 per cento, pena la sua scomparsa a Bruxelles. L’effetto Silvio potrà durare qualche mese, forse. E poi? Si ragiona allora su una lista unica, nel nome del Ppe, con dentro tutti i cespugli centristi, da Unione popolare a Noi Moderati. Esperimento che, tra l’altro, potrebbe essere pure replicato.

Forza Italia, quindi, resta determinante: non tanto nei numeri, quanto negli equilibri. Per questo, deve sopravvivere. Almeno fino alle europee. E dopo, chissà. La fine naturale della legislatura, fissata per l’autunno 2027, sembra un’era geologica. Prevedere la prematura implosione pare scontato, con i singoli parlamentari a cercar riparo ovunque s’intravedano seppur flebili possibilità di rielezione. Ma meloniani e salviniani non potranno essere scalzati. Non si potranno certo infarcire le liste di ex forzisti. Ma se l’esodo dovesse cominciare subito dopo le europee? Percentuali esiziali scatenerebbero il fuggi fuggi generale. A quel punto, visto anche il granitico rapporto tra Giorgia e Marina, i berlusconiani ortodossi potrebbero essere accolti da Fratelli d’Italia. Da una parte, certo, Giorgia dovrebbe affrontare l’inevitabile scontento dei suoi. Dall’altra, però, potrebbe rivendicare con coerenza di aver esaltato pure in patria quell’alleanza tra conservatori e popolari già imperante in Europa. Arrivando a celebrarla con un partito unico. Dicasi: far di necessità virtù.

I forzisti più riottosi, tendenza Ronzulli, guarderebbero invece alla Lega di Matteo Salvini. Con Renzi pronto a raccogliere gli apolidi. Per adesso, però, non si intravedono migrazioni. Lo schema del centro destra resta lo storico attacco a tre punte. Fino a data da destinarsi. Meloni al momento non vuole imbarcare nessuno, anche perché scontenterebbe molti dei suoi. E il partito unico resta un’idea «prematura». A meno che tra gli azzurri non parta subito la resa dei conti, appunto. In quel caso la premier dovrà decidere rapidamente cosa fare. Forza Italia conta 45 deputati e 18 senatori, determinanti sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. Nessuno può permettersi che eventuali rappresaglie mettano a rischio i numeri della maggioranza. O che rivalsa e afflizione finiscano per ingrossare la pattuglia dei terzopolisti.

Governare il gruppone azzurro sarà ardito. Ma Tajani non sarà solo. Il vicepremier ha ripreso in mano il partito dopo aver estromesso Licia Ronzulli, fino a qualche mese fa zarina di Arcore e fervente antimeloniana. È stata però necessaria una santa alleanza con Marta Fascina, l’ex compagna del Cavaliere. L’ultima first lady. A lei adesso sarebbe destinato, tra le altre cose, il compito prioritario: continuare a far da tramite con la famiglia e garantire l’ortodossia. Ha già cominciato a piazzare fedelissimi in alcuni ruoli chiave: Alessandro Sorte è diventato responsabile della Lombardia, al posto di Ronzulli. Mentre Tullio Ferrante, suo migliore amico ed ex compagno di scuola, è stato nominato responsabile del tesseramento. La chiamano «Evita». Lei si nutre di grandi ambizioni, nel ricordo dell’amato Silvio. Come riorganizzare Forza Italia in tre grandi aree, per esempio: Nord, Centro e Sud. Il fondatore ci pensava da anni. E lei, magari, ci riproverà. Ma con calma. Adelante con juicio. Ora bisogna congelare. Anche i migliori intendimenti.

Si profila una formale diarchia. Tajani avrà il ruolo operativo: traghettatore del partito, garante nel governo, ambasciatore in Europa. Fascina sarà la vestale: depositaria del berlusconismo ed emissaria della famiglia. Marina resterà dietro le quinte: nonostante il feeling con Meloni, non avrebbe intenzione di gestire le beghe forziste né rianimare le truppe smarrite. Certo, il nuovo corso porterà inevitabili malumori. Qualcuno, dopo le ultime nomine, evoca le carte bollate. Vedi Alessandro Cattaneo, deposto capogruppo a Montecitorio. Ha presentato ricorso ai probiviri contro il commissariamento del partito nella sua Pavia.

Insomma: Marta, d’ora in poi, parlerà «nel nome di Silvio». Ma fino a che punto deputati e senatori saranno disposti a riconoscerla come erede politica del Cav? Molto dipenderà dal sostegno di Marina, che adesso sembra inscanfibile. Dall’appoggio di Tajani. Infine dai superbi consigli dell’eterno consigliere: Gianni Letta, l’eminenza azzurrina. Nelle ultime settimane è stato l’indispensabile collegamento tra partito, famiglia e governo. Ha chiuso proficuamente per Forza Italia la partita delle poltrone di stato. Attivissimo, insostituibile, scaltro. Sarà il prezioso nostromo dell’operazione freezer. Nessuno meglio dello zio Gianni incarna la continuità. Stavolta, da ibernare con cura. n

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