«Trasferirò la sensibilità a chi di dovere. Senza litigare e senza smanie». L’ultima frase di Matteo Salvini, espunta da molti resoconti del congresso di Firenze, compare il giorno dopo come un mantra sotterraneo fra i colonnelli della Lega, impegnati a interpretare la proposta della base di spingere il segretario a tornare al Viminale. In bilico fra l’autocandidatura e la volontà del popolo leghista, lo scenario diventa suggestivo per cogliere – sempre che ci sia – un punto d’attrito dentro il governo. Basta l’intenzione espressa alla Fortezza da Basso per suscitare flash che arrivano dal passato. «Salvini vuole il Papeete 2», tuonano a sinistra. «Il ministero dell’Interno non si tocca», è il sentimento degli alleati, che ritengono Matteo Piantedosi un punto fermo dell’esecutivo.
La faccenda dell’Opa salviniana sul Viminale è reale. La proposta è sponsorizzata dai fedelissimi del leader leghista, i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, più il sottosegretario Claudio Durigon che la spiega così ad Affaritaliani: «Durante un congresso c’è un’attività di partito con una visione sul presente e sul futuro. Salvini ha subito un’enorme ingiustizia se pensiamo alle chat di Luca Palamara («Bisogna fermarlo a tutti i costi») e all’ingiusto processo per Open Arms. Gli va ridato ciò che gli è stato tolto. Piantedosi sta facendo il suo ma, in un momento di immigrazione clandestina ancora fuori controllo, c’è bisogno di una forza politica al ministero dell’Interno». Gli risponde Paolo Barelli (capogruppo di Forza Italia alla Camera): «Piantedosi è uno dei ministri migliori, guai a generare dubbi di inadeguatezza. Capisco le legittime aspirazioni, ma il Paese viene prima. Una cosa è l’auspicio, un’altra la realtà».
Il tema sembra più fumo che arrosto, ma di solito dove c’è il fumo c’è anche l’arrosto. Il premier Giorgia Meloni glissa e invita ad andare avanti «a pancia a terra fino alla fine della legislatura». Il ministro Adolfo Urso, nome pesante di Fdi, alza il muro: «L’attività di Piantedosi nel contrasto a criminalità e immigrazione clandestina è significativa ed efficace così come lo è, per le infrastrutture e i trasporti, quella di Salvini». Il vicepremier Antonio Tajani taglia corto: «Piantedosi sta lavorando benissimo». Nell’area centrista di Forza Italia nessuno vuole cambiare. Maurizio Lupi (Noi moderati) sottolinea: «Cambiare squadra non avrebbe senso. Piantedosi sta facendo bene e Salvini deve poter portare a termine alcune sfide fondamentali come il ponte sullo Stretto».
Salvini non ha alcuna intenzione di destabilizzare il suo governo e di creare problemi a un ministro tecnico fortemente voluto dalla Lega. Per lui ha parole di miele: «È un amico, è un ottimo ministro, persona di fiducia e di parola. Ci siamo già sentiti, con lui non si saranno litigi né oggi né domani». Ma assicura che parlerà con palazzo Chigi perché ha l’obbligo «di ascoltare la voce profonda che arriva dal partito» (dal quale è stato rieletto fino al 2029). Le logiche della politica talvolta si allontanano da quelle di governo, perché «siamo i secondi della coalizione ma vogliamo tornare primi».
Quanto a Piantedosi, il futuro sarebbe assicurato: candidato governatore della Campania. La risposta del ministro è diplomatica ma dice tutto: «Questo fine settimana per me è stato molto bello perché l’Avellino ha vinto a Catania confermando il primo posto in serie C, questo ha completamente monopolizzato la mia attenzione. Via dal ministero ambirei solo a un ruolo all’Avellino calcio, è l’unica passione che coltivo al di fuori del Viminale». Traduzione facile, basta la battuta di Bartleby, lo scrivano di Herman Melville: «Preferirei di no». Dove il condizionale è dettato solo dalla gentilezza.
Anche se lo stigma del processo Open Arms è evaporato con le richieste dei pm di Palermo, gli alleati non colgono la necessità di forzature; nessun rimpasto ad personam pare all’orizzonte. E lo stesso Salvini li limita a osservare i cerchi lasciati dal sasso gettato nello stagno. Spiega un vecchio leone leghista dalle mille battaglie: «In un contesto generale colmo di problematiche delicate, il Capitano non intende certo forzare la mano su questo. Anche perché è consapevole di essere uscito dal congresso più forte di come è entrato».
Salvini stamane guida un partito ricompattato sulla linea politica. Con la tessera d’oro all’uomo delle 500.000 preferenze in Europa, Roberto Vannacci. Con una posizione chiara nello scacchiere degli euroscettici: no al riarmo delirante della baronessa Ursula von der Leyen, no all’esercito europeo «perché non concediamo più devoluzioni a Bruxelles a livello di sovranità nazionale». In più i sondaggi tornano a salire (il Carroccio è attorno al 9,5%). E soprattutto il Nord dei governatori – Luca Zaia innanzitutto – è placato dalla conferma che «il terzo mandato non si tocca». Sarà la merce di scambio con la premier Meloni per garantire una stabilità duratura. «Ringraziamo l’opposizione. Evocando il Papeete mette a tacere ogni polemica perché quell’estate fu alla base di tutti i mali», spiffera il leghista della prima ora. Il voltafaccia di Giuseppe Conte, il governo delle quattro sinistre, i deliri della pandemia gestita da Roberto Speranza, il trasformismo di Mario Draghi, la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Brividi, barra dritta.