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Una via comune alla difesa europea

Una via comune alla difesa europea

Rheinmetall produce tecnologie in questo settore strategico. Attraverso la sua divisione che opera nel nostro Paese, ora vuole cooperare per lo sviluppo del comparto «terrestre» nell’esercito dell’Unione, come spiega l’a.d. dell’azienda, Alessandro Ercolani.


Rheinmetall è componentistica per l’Automotive, sistemi integrati per Difesa, lanciatori per missili, radar terrestri e navali, radar tattici, armamenti veicolari. Soluzioni elettroniche fino ai carri e ai veicoli blindati. Alla fine degli anni Novanta, il colosso tedesco è sbarcato a Roma partendo dall’acquisizione della storica Contraves Italiana ed è cresciuto fino ad avere lungo la Penisola quasi duemila dipendenti. Ora si entra in una nuova fase, quella della Difesa comune europea. Abbiamo chiesto all’amministratore delegato Alessandro Ercolani di aiutarci a capire quali sono i paletti pronti per essere piantati a terra.

Il nome dell’azienda che amministra è finito sulle colonne dei giornali per una importante presa di posizioni e un intervento netto nel panorama dell’industria della Difesa italiana e pure europea. Carta e penna ed è stata mandata la proposta di acquisizione del 49 per cento di Oto Melara, storica azienda spezzina che si occupa di sistemi di difesa o cannoni, come venivano chiamati un tempo. Le lettere, spedite ai vertici di Leonardo, controllante sia di Oto che della «cugina» Wass, e ai ministri competenti, hanno smosso le acque rese un po’ stagnanti da un braccio di ferro tra due aziende italiane. Con la caduta del governo Draghi e un nuovo esecutivo da definire che cosa vi aspettate?

Al di là delle ricostruzioni giornalistiche lette sui quotidiani nazionali, la nostra scelta non mira a intervenire sul mercato italiano, ma ad avviare una partita più ampia che riguarda il consolidamento della Difesa Ue e l’accelerazione delle necessità tecnologiche.

Pensa a qualcosa di specifico?

Sì e no. Nel senso che la transizione ecologica ed energetica, il Metaverso e il turbo impresso alle comunicazioni da parte del 5G richiedono investimenti sempre più ampi e dunque onerosi sul bilancio di un singolo Paese, figuriamoci su quello di una singola azienda. Per questo riteniamo che la nostra sia una proposta di integrazione della piattaforma e di cooperazione tra aziende e Stati. Andando proprio a prendere di questo e di quello gli aspetti più performanti. In questo modo si aumentano le dimensioni, la capacità di stare sul mercato e anche le aree di penetrazione commerciale extra Ue.

La vostra casa madre è tedesca. I vertici di Leonardo si erano espressi per un possibile interesse del consorzio della Difesa in parte francese di Knds. Il vostro intervento ha anche un sapore geopolitico.

Se desidera allargare lo zoom della lente d’ingrandimento non possiamo non notare che le relazioni del sistema-Paese Italia sono molto forti con la Francia. Mi riferisco al comparto spaziale e anche a quello del comparto della marina. Il settore aeronautico è più vicino alla lingua inglese o americana attraverso i programmi F-35 e Tempest. Resta però un ultimo ambito che si chiama terrestre. Crediamo che qui Italia e Germania possano muoversi in sinergia. E questo è completamente in linea con gli attuali scenari che chiedono per l’Italia un multipolarismo. Inoltre dobbiamo considerare che la Germania è il Paese che prima di tutti, dall’inizio della guerra in Ucraina ha stanziato un budget straordinario di 100 miliardi di euro per ammodernare la Difesa e ha promesso di raggiungere il budget del 2 per cento del Pil. La Germania sarà sempre più un riferimento all’interno dell’architettura di sicurezza europea.

Si riferisce al «carro» del futuro?

Mi riferisco a una filosofia più ampia. Le esperienze del Covid e della guerra in Ucraina hanno insegnato ai singoli Paesi che è importante essere padroni della propria sovranità tecnologica e la crescita della complessità dei singoli progetti ha insegnato che non si può fare tutto da soli. Da qui nasce l’importanza di bilanciare la sovranità e la proprietà tecnologica. Questa credo sia la chiave di volta che tiene su l’intero arco. Dunque sarà importante per noi non solo poter discutere insieme a Oto Melara ma anche dei futuri progetti. Sia delle piattaforme intermedie sia degli obiettivi finali che potranno consentire agi eserciti europei la superiorità terrestre.

Quindi serve condivisione transnazionale di competenze, personale ma anche di materiali. Il fatto che la globalizzazione stia regredendo e stia di nuovo innalzando un muro tra Oriente e Occidente non può essere un ostacolo.

Per anni si è lavorato lungo una strada che in inglese prende il nome di «offshoring»… Più o meno una sorta di delocalizzazione. Improvvisamente con la fine della prima fase della pandemia. Le grandi aziende, ma anche le piccole, si sono trovate a fare i conti con il cosiddetto «reshoring». Il tentativo di riportare in patria almeno una parte della capacità produttiva. È però una fase intermedia e forse di breve durata. Come ha detto il segretario del Tesoro Usa Janet Yellen, adesso il percorso è guidato dal termine «friendshoring». Si lavora solo con i Paesi alleati dal punto di vista politico e geopolitico e che condividono la stessa base di valori.

Tocca un tasto interessante e delicato anche dal punto di vista burocratico. Il nostro settimanale si è occupato di un intervento limitativo dell’export verso gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita che ha colpito anche la vostra azienda e più in generale ha congelato rapporti economici in essere da oltre un ventennio. La decisione è partita dal ministero degli Esteri e non da una scelta di Palazzo Chigi. Non ritiene che sarebbe arrivato il momento di aggiornare la legge, la «185», che regola l’export di sistemi d’arma?

L’Italia è un Paese a vocazione di export. Al di là della specifica vicenda ritengo sia opportuno rivedere il modello della legge per cogliere al meglio le opportunità, comprendendo che il mondo della Difesa si muove su cicli di lungo termine. Uscire da un mercato non significa solo perdere una commessa, ma vuol dire starne fuori per la durata di vita della piattaforma d’arma. Può quindi significare perdere 20 o 25 anni di relazioni e opportunità. In pratica una generazione.

A proposito di generazioni. In che modo un’azienda in crescita come la vostra affronta il mondo del lavoro?

Riguardo ai più giovani per noi è importante utilizzare lo strumento dell’alternanza scuola-lavoro, molto più efficace dell’apprendistato per via delle assunzioni dirette. Ma il tema cruciale è fare in modo poi di mantenere la giusta sinergia tra dipendenti e azienda. Tra marzo 2020 e giugno 2021 abbiamo erogato oltre 70 ore di formazione extra per dipendente. Perché con il modello di industria 4.0 la concorrenza tra aziende si è decuplicata. Un tempo le risorse si cercavano dentro il perimetro della Difesa adesso con la transizione digitale dobbiamo guardare all’automotive e a numerosi altri settori. La trasversalità è sempre più importante. Difficile da intercettare, ma una volta attratta non può mai essere data per scontata. Tutto ciò rende la vita in azienda una grande scommessa quadrimensionale. Professionalità, conoscenze tecniche, rapporti umani e ambiente.

I dipendenti vi chiedono conto dell’ambiente?

Sempre più spesso capita durante i colloqui di lavoro che un aspirante chieda cosa fa Rheinmetall per l’Esg, la sostenibilità. Anche se le aziende della Difesa sono meno sensibili al tema Esg, noi non possiamo sottrarci. Per esempio siamo i primi in Europa a mettere a disposizione dei nostri dipendenti una app che consenta a ciascuno di ottimizzare il proprio piano nutrizionale indicando l’impatto calorico e l’impronta carbonica del pasto. Un modo di donare a tutti la consapevolezza dell’impatto di quello che mangiamo su noi stessi e sull’ambiente.

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